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Il dono sovrabbondante del Signore

Il profeta Isaia, nella prima lettura, rivolge una domanda bruciante, parlando ai suoi uditori, in nome di Dio: «Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?».


Accadeva ai suoi tempi e accade anche oggi.

Potremmo tradurre questa domanda in molti modi: “perché fate tanta fatica per guadagnare denaro e acquistare poi un pane che non è pane, un cibo che non sazia?”. È una domanda che, anche oggi, ci aiuta e ci stimola ad aprire gli occhi. Se non lo facciamo, rischiamo di cadere di tranello in tranello, di trappola in trappola. Rischiamo di entrare in un vortice di illusioni, in cui rimaniamo prigionieri del nostro desiderio.

«Perché spendete … il vostro guadagno per ciò che non sazia?», domanda ancora il profeta Isaia.

È un invito a riflettere, per ciascuno di noi.

Non è un invito a disprezzare le ‘cose’ del mondo, dicendo che sono passeggere, transitorie e quindi futili! Al contrario, è un invito ad apprezzarle in profondità, per quello che sono: un simbolo, un segno!

All’origine della nostra vita c’è un desiderio profondo di felicità, di totalità, di pienezza, di compimento. C’è il desiderio di essere ‘saziati’.

Ecco, il desiderio è proprio questo: è aspirazione verso un bene che ci manca, un bene al quale tendiamo perché aspettiamo da esso il dono della felicità, una pienezza di vita.

Questo è bello: in ognuno di noi, c’è questo desiderio di una bontà, di una bellezza che ci possa saziare, che possa colmare ogni nostro desiderio.

Il rischio sta nel fatto che noi possiamo ingannarci: possiamo ‘investire’ il nostro desiderio in qualcosa o in qualcuno che poi ci delude, o perché non mantiene le promesse che ci aveva fatto o perché sembra, all’apparenza, promettere una felicità che invece non può darci.

In fondo, questo è il peccato dell’uomo, di ‘adam, così come è raccontato all’inizio della Genesi: non si fida della Parola, vorrebbe diventare ‘come Dio’, proprio mentre accusa Dio di essere ‘geloso’.

Cogliendo il frutto di quell’albero misterioso, si illude di trovare lì il compimento di ogni suo desiderio.

Il profeta ci dice: “«Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti». Inseguendo un pane che non è pane, una felicità che è illusione, alla fine voi farete morire in voi il desiderio di Dio. Se invece vi fidate della mia parola («ascoltatemi»), allora con vostra immensa sorpresa «gusterete» le delizie della vita”.

Perché solo il Signore è grazia e in Lui tutto è grazia: ma se dimentichiamo che tutto è grazia sua, allora, perdiamo il gusto delle cose. Tutto ci appare scontato, dovuto, tutto ci appare un diritto.

Così perdiamo il gusto di assaporare le cose come un dono, non ‘dovuto’.

L’episodio del Vangelo di oggi ci rivela come Gesù sia il compimento della promessa di Dio, annunciata dal profeta: «venite, comprate senza denaro, senza pagare …».

Siamo in un momento molto particolare della vita di Gesù. L’evangelista ha appena raccontato della morte drammatica di Giovanni Battista, e, poco prima, ha detto che Erode, sentendo parlare di Gesù, crede di vedere in lui proprio quel Giovanni Battista che lui ha fatto uccidere. C’è qui, un rimando velato alla passione di Gesù. Anch’egli morirà per mano d’uomo.

Dopo la notizia della morte di Giovanni, che, in un certo senso, anticipa la sua, Gesù sente il desiderio della solitudine: «Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte».

Non è una fuga, è una ricerca. Gesù non scappa. Desidera la solitudine, per stare tra sé e sé, alla presenza del Padre, per fare spazio alla sua parola, Lui che è la Parola.

Le folle però intuiscono i suoi movimenti, le sue intenzioni e, quando scende dalla barca, Gesù si trova davanti agli occhi «una grande folla». Lo hanno seguito a piedi. Lo cercano, affascinati dalla sua Parola – Gesù ha appena terminato di raccontare delle stupefacenti parabole che ci hanno parlato del Regno dei cieli! –.

Davanti a tutta questa gente, che lo aveva ‘inseguito’, Gesù non ha affatto un moto di disappunto, non si infastidisce, non perde la pazienza. Al contrario: «sentì compassione per loro e guarì i loro malati».

Non è la compassione pietosa di chi dice ‘poverino’ e poi si volta dall’altra parte! Com-passione è come la sim-patia e la em-patia. È la capacità profonda di entrare in sintonia con i pensieri, il sentire, le emozioni, dell’altro che ci sta di fronte, per accoglierle e farle nostre, semplicemente – all’inizio – per stargli vicino, per essergli prossimo.

Così, dalla com-passione nasce l’agire: «e guarì i loro malati».

Questa gente non gli ha chiesto nulla. Era lì, con le sue sofferenze, disagi, necessità, bisogni, desideri.

Gesù risponde ‘guarendo’ i malati, restituendo loro il dono prezioso della salute.

A questo punto, però, all’improvviso, accade qualcosa di nuovo.

Siamo «sul far della sera», perché il tempo è trascorso veloce. Apparentemente Gesù non si accorge di nulla, ma in realtà egli è ben cosciente di quanto accade.

Sono i discepoli che, molto preoccupati, si agitano. “«Siamo in un posto deserto – gli dicono – si è fatto tardi». Tutta questa gente ha fame. «Congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare»”.

Questo racconto è carico di un bellissimo senso simbolico. Il deserto, l’uomo, l’umanità, che non ha la possibilità di saziarsi da sola ed è affamata.

I discepoli, poi, ci richiamano la Chiesa. Ma anche loro, come uomini, che cosa possono fare?

È attorno a Gesù che ruota tutto: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare».

Qui il Vangelo sottolinea, nelle parole di Gesù, che lui vuole che siano i discepoli – non Lui! – a dare da mangiare a questa grande folla.

I discepoli si spaventano, si preoccupano, forse, semplicemente prendono coscienza della loro impotenza. Loro, da soli, non possono saziare tutta quella gente!

I discepoli di Gesù sono come gli altri uomini. Non sono loro a saziare la folla. Lo potranno fare solo grazie a Gesù.

I discepoli hanno solo «cinque pani e due pesci!». Vedete la sproporzione? Quel poco che hanno, non serve a nulla. Ma è proprio con quel poco che Gesù ci dà tutto.

Il Signore non scarta nulla, non disprezza la nostra umanità. È a partire dal nostro ‘poco’ che ci dà la sua sovrabbondanza.

È Lui che ordina alla folla di sedersi, per prepararsi a ricevere il dono del cibo, in quel luogo deserto, senza pane né acqua.

Il Vangelo, a questo punto, descrive i gesti e le parole di Gesù.

Sono l’anticipo di quella sera, alla vigilia della sua morte, quando quel ‘pane’ diventa il corpo di Gesù donato fino al sangue, la vita!

«Prese … alzò gli occhi… recitò … spezzò … e li diede».

Sono gesti e parole semplici, ma stupendi. Dicono l’umanità di Gesù, l’umanità di Dio, e la divinità di Gesù, la divinità di un Dio, che è dono, grazia.

Questo ‘dono’ raggiunge tutti, la folla, solo grazie ai discepoli.

È un dono sovrabbondante. Tutti sono sazi. Tutti sono ‘felici’, perché quella sazietà non è solo del corpo. È un simbolo, un anticipo, la figura di quella felicità che solo Dio può donarci.

E ne avanza pure!

Il braccio di Dio è potente. Nulla ci potrà separare da questo amore, dice Paolo, nella seconda lettura.

Dunque, affidiamoci a questo amore, l’«amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore».

don Maurizio



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