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«Signore, salvami!»: la fede è un cammino per scoprire Dio accogliendolo.

06È particolarmente suggestiva questa Parola di Dio, oggi, XIX domenica del tempo ordinario. È una parola che ci parla di come Lui oggi parla a noi, agisce tra noi, continua ad essere presente, in modo sorprendente.


È sempre preziosa la Parola. Senza di essa saremmo sommersi dalle chiacchiere del quotidiano o nel silenzio di una solitudine sterile e impotente.

È affascinante la scena raccontata nella prima lettura, dal primo libro dei Re. Minacciato di morte dalla potente regina Gezabele, il profeta Elia fugge nel deserto. È stanco, deluso, triste. Gli sembra di aver fallito nella sua testimonianza del Dio vivente. Protetto dall’ombra di una ginestra, cerca un po’ di ristoro. Arriva a desiderare di morire.

Dov’è finito tutto il suo entusiasmo, il suo zelo, la forza invincibile della sua fede?

Sfinito, si addormenta, ma viene risvegliato, per due volte, da un angelo del Signore, che, per ben due volte, lo scuote e gli chiede di mangiare e di bere. Elia alza gli occhi e vede accanto a sé una focaccia, profumata e calda, con una brocca d’acqua.

Il Signore gli è vicino così, in quel terribile momento di delusione e di prova. Diventa per lui cibo e sostegno per un lungo cammino.

Dice il racconto che, «con la forza di quel cibo» Elia camminò ininterrottamente «per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb».

L’Oreb è un altro nome del monte Sinai, la montagna dove Dio si era rivelato, nella tempesta, nell’uragano, nei lampi, nei fulmini, in tutta la sua potenza, prima di donare al suo popolo l’istruzione della sua Legge.

Ecco, al termine di quel lungo, ma prodigioso cammino, nel quale Elia fa l’esperienza personale del cammino di tutto il suo popolo, egli entra «in una caverna per passarvi la notte».

Elia è solo.

Con la forza di Dio ha affrontato un lungo cammino nel deserto, lasciandosi alle spalle la stanchezza mortale e l’agonia che l’avevano attanagliato. Ora è lì. Non sa che cosa gli accadrà. È solo, in quel luogo che era il luogo della rivelazione di Dio. Ma Dio sembra assente.

Il profeta trova rifugio in una caverna. È notte.

All’improvviso, «gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore».

Sono parole bellissime e sorprendenti. Nell’assenza di Dio, annunciano una presenza. È la presenza dell’assenza. Dio è assente, eppure si annuncia nei segni, alcuni segni, che rivelano la sua presenza.

Capiamo bene come tutto ciò parli a noi, oggi, in modo vivo.

Anche noi viviamo, come Elia, in un mondo in cui Dio ci sembra assente, un mondo in cui gli uomini sembrano inseguire idoli morti, proprio come al tempo di Elia. Oggi noi non siamo particolarmente cattivi o peccatori. In modi diversi, il male è sempre stato presente nel mondo, da quando noi lo abbiamo introdotto, lasciando che devastasse la bellezza del mondo.

«Ed ecco che il Signore passò».

Elia esce dalla sua caverna. È notte. Sta lì, ad attendere che il Signore si riveli, gli doni la sua Presenza.

Noi Dio lo possiamo cercare, oppure possiamo anche non cercarlo, perché crediamo di non averne bisogno, e pensiamo, illudendoci, di bastare a noi stessi, Ma anche se lo cerchiamo, è Lui che ci viene incontro.

Il primo passo verso Dio non è la pretesa di scoprirlo. Il primo passo è un passo indietro. È lasciare che sia Lui a venire a noi.

Noi ‘scopriamo’ Dio solo accogliendolo, mettendoci lì ad aspettarlo.

E come passa Dio, per Elia?

Non nel «vento impetuoso e gagliardo», non nel «terremoto», non nel «fuoco». Questi erano i segni ‘classici ‘ della manifestazione di Dio: segni di potenza, come la forza del vento e del terremoto, oppure segni di una presenza misteriosa e affascinante, come il fuoco.

Dio, stavolta, non si rivela così.

Dio è libero, immensamente libero e per questo sorprendente, stupefacente. Dio è imprevedibile, ‘fantastico’, perché ha una fantasia irriducibile alle nostre previsioni, ai nostri progetti, ai nostri schemi!

Per Elia Dio passa nel «sussurro di una brezza leggera».

Dolce, delicato, impercettibile.

Chissà quante volte abbiamo sentito, con piacere, specialmente nei giorni di caldo, la percezione di un leggero venticello, che ci sembra accarezzare la pelle, il volto, le braccia …

Quando mai abbiamo pensato a questa «brezza leggera» come a un segno, un modo in cui siamo toccati da qualcosa di bello, di piacevole, che ci dà sollievo e speranza, conforto?

Dio non è la brezza, ma è nella «brezza leggera», perché questa – come moltissimi altri segni – ci parla di Lui!

«Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna».

Elia riconosce in quella ‘cosa’, la «brezza leggera», un segno di Dio che gli è accanto. Pensiamo anche noi a quante volte non sappiamo riconoscere i segni, misteriosi ed eloquenti, della presenza discreta, nascosta della bellezza e della bontà, della grazia e della misericordia di Dio!

Il Vangelo oggi è una pagina altrettanto bella della vita di Gesù.

Lo possiamo rileggere e riascoltare alla luce della storia di Elia. Non c’è un segno più pieno e compiuto di Dio se non Gesù. Lui è Dio stesso. Lui è la Presenza.

Dopo aver donato alla folla il pane, segno sovrabbondante della sua grazia, Gesù manda via i discepoli, con la barca, verso l’altra riva del lago. Lui congeda la folla. Poi, però, sale «sul monte, in disparte, a pregare». Nella solitudine della preghiera, Gesù dà spazio alla relazione col Padre, che è il suo cibo, la sua forza!

È un tempo disteso, lungo, che Gesù gusta e assapora, con piacere, con gioia. Gesù amava pregare!

«Egli se ne stava lassù, da solo».

Anche qui c’è il monte, il monte della presenza. È Gesù la presenza che rivela il volto di Dio, la sua paternità universale.

Nel frattempo, in piena notte, i discepoli con la barca, stanno attraversando il lago. Il vento è «contrario. Le onde agitano la barca.

Anche questi piccoli particolari del racconto ci possono parlare di questo nostro tempo. Anche a noi, oggi, come sempre, sembra che la barca di Dio, la Chiesa, stia attraversando un mare in tempesta.

Quand’ecco che, all’improvviso, «sul finire della notte», i discepoli vedono Gesù camminare sulle acque venendo verso di loro.

Già erano in difficoltà per le onde, quella notte, sul mare. Ma adesso si agitano ancora di più. «I discepoli furono sconvolti», dice l’evangelista. Cominciano a gridare dalla paura. Credono di vedere «un fantasma».

La paura … quante volte anche noi siamo presi, come catturati dalla paura. Ci sentiamo soli, abbandonati, impotenti.

All’improvviso, però, giunge una voce, ‘la’ voce di Gesù. La riconoscono subito: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Quello là non è un fantasma. È Gesù! E, oltretutto, sta camminando pacificamente sulle acque, raggiungendoli, mentre loro stanno facendo tanta fatica con la loro barca.

Che differenza, tra Gesù e i suoi, Gesù e noi!

È allora che Pietro, con felice intuizione, con coraggio, e con un filo di dubbio, dice: “«Signore», se sei davvero tu, se io e tutti noi non stiamo sognando, se non stiamo vedendo le allucinazioni delle nostre paure: «comandami di venire verso di te sulle acque».

«Vieni!» è la risposta sorridente, dolce e forte di Gesù.

E Pietro, al di là delle sue forze, scende dalla barca e, anche lui, si mette «a camminare sulle acque». Grazie a Dio, anche noi possiamo compiere l’impossibile, perché è Lui che agisce in noi!

Poi però Pietro si ‘dimentica’ di Gesù, si accorge di quanto sta accadendo.

Pensa, di nuovo, di essere solo. Si impaurisce e comincia ad affondare.

La fede è un cammino, perfino sulle acque del mare. Non è un bottino o una fortezza!

Allora, Pietro grida di nuovo a Gesù: «Signore, salvami!».

Da Lui, allora, si lascia afferrare di nuovo.

Da Lui si lascia scoprire e stimolare, a crescere nella fede.

Con Lui e con gli altri discepoli, sulla barca, anche noi siamo qui, per dire: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

don Maurizio



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