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«Ma voi, chi dite che io sia?» La fede è sempre una risposta ad un dono.

Apparentemente, il Vangelo di questa domenica potrebbe sembrare un po’ lontano e distante dalla nostra concreta esperienza di cristiani. Ma, evidentemente, non è così!


Al centro di questo testo c’è la domanda di Gesù ai suoi discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?». È un interrogativo diretto, forte, che chiede una presa di posizione personale, una decisione.

La forza di questa richiesta è sottolineata dalla domanda precedente di Gesù: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?».

Gesù ha già compiuto molte opere, anche prodigiose, ha già seminato abbondantemente la sua parola, ha già incontrato anche molte resistenze e perfino il rifiuto, soprattutto da parte dei farisei e degli scribi, coloro che avevano in mano le ‘chiavi’ della Scrittura, i capi religiosi del popolo. In questo clima, giunge agli estremi confini del Nord della Palestina, nell’attuale Siria, non lontano da Damasco, ai piedi del monte Ermon.

È come se, prendendo un po’ la distanza dai luoghi abituali del suo ‘ministero’ Gesù voglia fare quasi una ‘sintesi’, insieme con i suoi discepoli.

Subito dopo il testo che abbiamo letto questa domenica, segue il primo annuncio della sua morte e resurrezione, con un vivace scambio dialogico con Pietro e poi seguono delle parole molto belle e forti rivolte da Gesù a tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli.

Siamo dunque in un momento particolarmente importante della vita di Gesù e del suo rapporto con i discepoli. Alla sua domanda su che cosa pensi la ‘gente’ di lui, gli rispondono: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».

Non sono parole di poco conto: Gesù viene paragonato, da molta gente, ad alcuni tra i profeti più importanti della storia di Israele, da Elia a Geremia. Qualcun altro vede in Lui lo stesso spirito di Giovanni Battista.

È a questo punto che Gesù provoca e chiama i suoi a una scelta personale.

È Simon Pietro che risponde, a nome di tutti: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Questa è una risposta che già riflette la fede, dopo Pasqua, della comunità cristiana, in particolare quella di Matteo.

Gesù qui è designato come il Cristo, cioè il Messia, colui che avrebbe portato il Regno di Dio e, in più, addirittura come «il Figlio del Dio vivente».

Queste parole di Pietro sono molto belle. Vanno al di là della attesa di Israele. Sono già parole che esprimono una fede bella, piena, forte.

Non per nulla Gesù esprime un apprezzamento chiaro verso Pietro. Addirittura lo chiama: «Beato», con grande forza e solennità: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona …». È una vera e propria beatitudine, una parola di benedizione, da parte di Gesù, in nome di Dio stesso. Pietro, infatti, è beato perché ha ricevuto un grande dono: «perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». È per grazia, per la ‘rivelazione’ del Padre che Pietro ha potuto confermare così la sua fede.

La fede non è mai una conquista, non è una iniziativa solitaria, umana, non è un ‘merito’, ma è sempre una risposta ad un dono.

È proprio così anche per tutti noi, per la Chiesa tutta. Noi non abbiamo inventato la nostra fede, sulla base di qualche suggestione, immaginazione, fantasia o illusione.

La fede è l’atto della libertà che si affida alla grazia del Padre, nella vita di Gesù.

Infatti, in modo ancor più solenne («e io a te dico), seguono parole molto importanti di Gesù, rivolte a Pietro, direttamente. Ascoltiamole di nuovo: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli …». La prima frase di queste parole di Gesù, è stampata a caratteri cubitali, sulla base della cupola di San Pietro a Roma.

Sono parole molto belle e autorevoli. Contengono una promessa, un riconoscimento e un compito: «le potenze degli inferi», cioè la forza del male, la menzogna e la violenza, non potranno prevalere né cancellare la Chiesa di Cristo («la mia Chiesa!»), la comunità di coloro che si riconoscono discepoli di Gesù.

In questa comunità, Simone ha un ruolo decisivo: egli è la pietra su cui su cui Gesù stesso edifica la sua Chiesa. Per questo, d’ora innanzi, egli si chiamerà Pietro. Il nome che Gesù dà a Simone figlio di Giona, rappresenta ciò che egli vuole che sia: la pietra della casa che è la Chiesa!

Le parole di Gesù sono molto forti. Potremmo anche riassumerle così: “non c’è Pietro senza Chiesa, non c’è Chiesa senza Gesù, non c’è Gesù senza il Padre”.

È Gesù che rivela il Padre.

È Lui la Parola fatta carne.

È Lui il volto di Dio, la pienezza della rivelazione della grazia del Padre.

Il Dio di Gesù è il Padre che è nei cieli. È Gesù che ci permette di accedere a Dio. Lui è l’Unico.

Certo, il desiderio di Dio abita nel profondo di ogni uomo. Di Lui parla tutta la creazione. Ma è solo in Gesù che noi troviamo la ‘via’, perché in Lui è Dio stesso che si comunica e si dona a noi.

Proprio da questo scaturisce il compito fondamentale della Chiesa e, nella Chiesa, di Pietro.

Tante volte, anche oggi, noi ci illudiamo di poter avere con Dio un rapporto ‘personale’ diretto, che salti la mediazione della Chiesa. Ci illudiamo di poter ‘regolare’ la nostra relazione con Dio in modo intimo, solitario, individuale.

Ci dimentichiamo che è Dio che ci permette di incontrarlo perché è Lui che si è donato a noi.

Il compito della Chiesa tutta è di essere oggi la testimonianza viva della presenza di Cristo e della sua opera nel mondo.

Le parole molto forti, che Gesù dice a Pietro, sono dette a tutta la Chiesa, perché Pietro è, nella Chiesa, come la pietra sulla quale essa è edificata: «tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Il ‘potere’ di Pietro, nella Chiesa – e non sopra la Chiesa! – è il ‘potere’ stesso del Padre che è nei cieli ed è il ‘potere’ stesso di Gesù. Non è quindi un potere arbitrario e dispotico.

È il ‘potere’ della grazia. È il ‘potere’ di fare grazia.

‘Legare’ e ‘sciogliere’ è il potere di ‘aprire’ e di ‘chiudere’, di cui parlava anche la prima lettura, dal profeta Isaia, che, nominando un nuovo «maggiordomo del palazzo», a nome di Dio, diceva: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide».

Tra gli Apostoli, nella Chiesa, è a Pietro che – come spesso lo rappresentano statue e dipinti – è affidato il ‘potere delle chiavi’, ma Pietro è al servizio di Gesù e della grazia del Padre.

Questo è il dono di Pietro, nella Chiesa e a questo grande dono corrisponde un compito altrettanto grande.

Pietro, nella Chiesa, e tutta la Chiesa, con Pietro, hanno in dono la grazia, e il compito di essere per tutti gli uomini segno e mediazione dell’incontro con Dio e del suo dono, che solo ci permette di incontrarlo.

Questo dono, naturalmente, per tutti i cristiani, con Pietro e sotto Pietro, rimane un compito impegnativo. È un dono che non diventa affatto un privilegio né un pretesto di arroganza e di fanatismo.

Il Vangelo è un dono offerto da Dio a tutti gli uomini.

Questo è oggi il compito della Chiesa: donare agli altri quanto ha ricevuto. Testimoniare che Gesù è «il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Non è un compito facile!

Occorre rimanere legati, nell’obbedienza, a Gesù (che qui dice ai suoi «di non dire ad alcuno – per il momento – che egli era il Cristo»).

È Lui che noi annunciamo e testimoniamo al mondo.

Questo è il bellissimo dono e l’impegnativo compito della Chiesa, oggi e sempre!

don Maurizio



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