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«Se qualcuno vuole seguirmi … ».

Il Vangelo di questa domenica è in strettissimo collegamento con quello della domenica precedente. Dopo la ‘confessione’ di Pietro che a Gesù aveva detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», Gesù stesso aveva ordinato ai suoi discepoli «di non dire ad alcuno che egli era il Cristo».


Un ‘ordine’ incomprensibile, per noi, se non lo mettiamo in stretta relazione con le parole immediatamente successive, con le quali comincia proprio il Vangelo di oggi: «da allora», cioè dal momento in cui aveva ‘ordinato’ di non dire «che egli era il Cristo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli …».

Sono parole importanti e belle, anche per noi, perché ci aiutano a ricordare che la relazione con Gesù è un cammino, che attraversa diverse fasi e tappe.

La fede è un cammino che passa attraverso momenti oscuri e difficili e altri momenti più spediti e sereni, proprio come accade nella vita, perché la fede per un cristiano coincide con il cammino della sua vita.

Non dobbiamo dunque spaventarci delle incertezze, delle cadute, delle difficoltà. Tutto questo fa parte del cammino della fede.

Il Vangelo dice che «Gesù cominciò a spiegare…»: vedete, è chiaro che anche Gesù ha spiegato mano a mano, poco a poco, quello che, in prima battuta, non avrebbero potuto capire. Per colui che avevano riconosciuto «come il Cristo, il Figlio del Dio vivente», i (suoi) discepoli non avrebbero mai potuto immaginare il futuro che invece Gesù pian piano comincia a spiegare loro: che avrebbe dovuto «soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi», che sarebbe stato «ucciso» e che sarebbe infine risorto «il terzo giorno».

Gesù non aveva mai parlato di sé in questi termini.

Lui stesso aveva capito solo dopo l’opposizione durissima contro di lui dei capi religiosi di Israele che, se fosse andato avanti nella sua testimonianza, avrebbe suscitato il loro rifiuto ostinato, fino alla decisione di sbarazzarsi di lui, di ucciderlo.

Noi forse, siamo troppo abituati alla croce per comprendere bene, fino in fondo, lo ‘scandalo’ di questo ‘destino’ che si apriva dinanzi a Gesù, come un baratro che si apre all’improvviso e ti risucchia, ti divora e ti cancella.

In questa luce possiamo ben comprendere la reazione di Pietro che prende Gesù «in disparte» e si mette a «rimproverarlo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai», gli dice.

Pietro parla a Gesù esattamente come avrebbe fatto ciascuno di noi.

Voleva bene a Gesù e non poteva accettare quelle parole dure e drammatiche. Per lui era incomprensibile che «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» avrebbe potuto fare una fine così ingloriosa, fino a essere ucciso.

La parola con cui Gesù risponde a Pietro ristabilisce le cose, mette in ordine i sentimenti e i pensieri, nostri e di Pietro.

Gesù dice: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

Sono parole nette, chiare, di una franchezza impressionante.

A Pietro Gesù comanda, con estrema forza, di andare «dietro» di lui. Pietro non deve stare davanti, non deve pretendere di tracciare lui la strada di Gesù, di decidere e scegliere lui che cosa sia bene o male per Gesù.

È la tentazione, diabolica, di ogni cristiano: proprio a motivo della nostra ‘confidenza’ e ‘familiarità’ con Gesù, con Dio, noi siamo sempre tentati di ‘metterci al suo posto’, siamo tentati di sostituirci a lui.

In questo modo smettiamo di ubbidirgli e siamo noi che pretendiamo di imporci su Dio, su Gesù. Niente di peggio per la nostra vita!

In questo modo infatti, noi cerchiamo di soffocare la signoria di Dio, nella storia di Gesù.

Così Pietro, per Gesù, diventa uno ‘scandalo’, un impedimento, una via di inciampo sul suo cammino, perché – come dice con estrema chiarezza Gesù stesso – «non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

Proprio questo è il punto centrale! Gesù pensa «secondo Dio».

Come dicevano le bellissime parole del profeta Geremia: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre».

Il profeta intende dire al Signore: “mi hai conquistato, mi hai affascinato, mi hai attirato a te, mi hai attratto con una forza tale che io non posso che abbandonarmi a te. Non posso fare altro se non pensare a te, parlare nel tuo nome, anche se questo scatena contro di me «violenza», «derisione», «oppressione», «beffa».

«Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente …; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo». L’abbandono al Signore costa a Geremia un caro prezzo, ma è il prezzo dell’amore. Ama il Signore con tutto se stesso, anche se questo amore diventa per lui motivo di rifiuto e di violenza da parte degli altri.

È questo, in sommo grado, il ‘destino’ di Gesù.

È una strada, all’apparenza incomprensibile, se ragioniamo «secondo gli uomini». Occorre, se vogliamo comprenderlo, che cominciamo a pensare «secondo Dio». Allora possiamo metterci in ascolto delle parole straordinarie della parte finale del Vangelo di questa domenica: «Se qualcuno vuole venire dietro a me…».

Sono parole forti, che risuonano come un appello: non siamo obbligati a seguire Gesù. La fede, e la sequela, sono una scelta libera di affidamento a Lui.

In questo senso la fede ci chiede di ‘rinnegare’ noi stessi. Non perché il cristiano sia uno che dovrebbe disprezzare, odiare, non amare se stesso. Non è in questo senso che il Signore ci chiede di ‘rinnegarci’.

Gesù ci chiede di rinnegare la tentazione dell’incredulità, la tentazione di voler dettare noi la legge della nostra vita, di essere i ‘signori’ di noi stessi!

Gesù invece ci chiede di ‘seguirlo’, fino in fondo, fin là dove Lui stesso è arrivato: la croce!

Gesù non ci chiede affatto di amare la croce, che è la morte, ma ci chiede di seguire Lui, senza porre condizioni, laddove Lui ci condurrà. Lo seguiamo perché lo amiamo. E lo amiamo perché ci fidiamo dell’amore infinito che egli ha per noi.

Allora comprendiamo la bellissima parola di Gesù: «Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

Questo è il nocciolo del Vangelo. È il nocciolo della fede. Che cosa abbiamo noi di più prezioso della nostra vita?

Ecco, Gesù ci insegna che se noi pretendiamo di salvare la nostra vita con le nostre forze, le nostre idee, i nostri progetti – per quanto buoni ci appaiano – allora di sicuro la perdiamo, perché la vita – o la felicità – diventa per noi la nostra trappola.

Se invece noi ci fidiamo di Gesù, della sua parola, e questa diventa la ‘causa’ per la quale spendiamo la nostra vita, allora questa sarà salva. Non c’è altro modo per ‘raggiungere’ la felicità se non quello di smettere di inseguirla, per lasciarci raggiungere da essa, in Gesù che ci viene incontro e ci chiede di abbandonarci a Lui.

Questo è quanto ciascuno di noi è chiamato a decidere nelle sue azioni quotidiane.

Dedicarci a Lui, nell’attesa del suo ritorno!

don Maurizio



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