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Accogliere Gesù per accogliere i figli come ‘dono’.

Nella domenica che si celebra la settimana dopo il Natale (ottava), si fa sempre memoria della famiglia di Gesù, la ‘santa famiglia’.

Questo per ricordarci che Gesù, come ogni uomo che viene al mondo, nasce in una famiglia. Certo, la sua fu una famiglia molto particolare, però quello che è vero per Lui è vero anche per tutti noi: ciascuno di noi è nato in una famiglia particolare, perché nessuna famiglia è uguale all’altra.

Tanto più che oggi viviamo in un contesto culturale così diverso da quello ai tempi di Gesù e, ancor più, da quello ai tempi di Abramo, Sara e Isacco.

Oggi la famiglia sta vivendo molte difficoltà, anche se queste non sono mai state assenti, pur se in altra forma, anche nel passato. Stiamo attenti a non idealizzare il passato, ricordando un tempo e una famiglia che non sono mai esistiti, una specie di epoca d’oro della famiglia.

In realtà, ogni tempo ha le sue difficoltà, i suoi drammi, le sue fatiche.

Certo, quelle di oggi non erano quelle di un tempo, anzi in un certo senso sono proprio l’opposto, ma questo non ci autorizza a dire che un tempo non ci fossero problemi, difficoltà, tensioni, angosce, anche nel mondo della famiglia.

Oggi la Parola di Dio ci presenta un piccolo e breve ritratto di due ‘famiglie’ particolari: quella di Isacco, con Abramo e Sara, e quella di Gesù, Giuseppe e Maria.

Il libro della Genesi si apre con una grande promessa.

Ad un uomo che se ne va «senza figli» e che avrà come «erede» della sua casa il capo dei suoi servi, a questo uomo il Signore fa una promessa: «uno nato da te sarà il tuo erede».

È una promessa incredibile e per nulla ‘scontata’.

In una scena bellissima, il Signore conduce Abram fuori dalla sua tenda, nel deserto, di notte, dove il cielo è nerissimo, lontano dalle luci delle (nostre) città, e gli dice: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» … «Tale sarà la tua discendenza».

Queste parole, che per Abramo hanno un significato molto particolare, rivelano però un’esperienza universale: ogni figlio è un dono. Non è scontato che, in una coppia, arrivi un figlio. Questa era l’esperienza di Abramo.

Questa è anche l’esperienza di molte coppie che, oggi, non riescono ad avere un figlio. È una ‘prova’ molto dura, la sterilità.

Tuttavia, questa situazione difficile rivela – proprio nella sua asprezza – una verità profonda, che tocca ogni figlio: nessun figlio è un diritto! Anzi, un figlio non è nemmeno riducibile a un desiderio.

Un figlio può essere atteso, cercato, voluto, desiderato ma … anche quando arriva, sarà sempre ‘altro’, diverso da quello che il papà e la mamma volevano.

Ogni figlio viene da più lontano, rispetto ai genitori: viene da Dio. Egli è figura eloquente della fantasia di Dio!

Non c’è un uomo uguale all’altro sulla faccia della terra. Nemmeno due gemelli o due sosia sono uguali l’uno all’altro. Ciascuno di noi è un’opera unica! Siamo opera delle mani di Dio, attraverso la nostra opera, che è chiamata a col-laborare con Lui.

Ogni figlio è un sorriso di Dio, secondo il significato originario del nome Isacco. Ogni figlio è un atto di benevolenza, di grazia, da parte di Dio. Non è qualcosa di scontato, che potrebbe essere strumentalizzato per le nostre pretese o ridotto alle nostre attese. In ogni figlio c’è il sorriso di Dio, al di là di ogni desiderio.

Per questo la Scrittura dice che Abramo «credette al Signore». L’accoglienza di ogni figlio è un atto di fede riconoscente e grato!

Abramo è figura straordinaria di fede. La lettera agli Ebrei, nella seconda lettura, ha delle espressioni meravigliose a proposito di Abramo, di Sara e anche di Isacco.

Abramo è l’uomo dell’obbedienza. È l’uomo di una fede assoluta: «chiamato da Dio», avendo ricevuto da Lui un appello, «obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava».

Abramo è modello credente di ogni uomo. È un pellegrino: un uomo sempre in viaggio, in via, per strada. Abramo non arriva mai.

La sua meta è la promessa di Dio e questa promessa va al di là di ogni nostra immaginazione e desiderio.

Dio apre a tutti noi, nel cammino a volte travagliato e molto arduo della vita, una speranza che va oltre.

Ci chiede semplicemente, di credere alla forza e alla bellezza della sua promessa.

Insieme con Abramo, dice la lettera agli Ebrei, ci fu Sara: «sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre».  Sara è modello e figura di una lunga schiera di donne che, nella Scrittura, riceveranno da Dio il dono inaspettato di un figlio, perché sterili. Fino a Elisabetta. Questo dono, dice la lettera agli Ebrei, Sara lo ricevette perché si affidò al Signore: «ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso».

E, anzi, ottenne molto più di un figlio; accolse, come un dono stupendo, «una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare».

Espressioni davvero belle, queste, per dire la ‘fantasia’ trascendente di Dio, che va oltre e al di là di ogni nostra attesa e desiderio.

A modo suo, però.

Appartiene in modo singolare a questa colonna di madri meravigliose anche Maria. Ne ha parlato il Vangelo.

Maria, insieme con Giuseppe, trascorsi i giorni stabiliti dai riti della purificazione, obbediente alla Legge di Mosè, si reca a Gerusalemme, per ‘presentare’ il bambino Gesù, che era il suo primogenito.

In questo atto di presentazione gli ebrei compivano un rito bellissimo: essi ‘offrivano’ al Signore il figlio, come se fosse un dono ‘restituito’.

In realtà la parola ‘restituire’ non rende bene l’idea.

Un dono non può essere restituito. Se lo fosse, prederebbe la sua qualità sorprendente di dono. Diventerebbe oggetto di scambio.

Offrire un dono significa accoglierlo come un dono, ‘presentarlo’, riconoscere che quel dono è un presente, perché nel presente ci è dato un presente! Questo è un figlio.

Questo era il figlio per gli ebrei.

Questo è il figlio per Maria e Giuseppe.

Questi è stato chiamato a diventare ‘padre adottivo’ di Gesù. È molto brutto e riduttivo dire: padre ‘putativo’, perché Giuseppe non ha fatto finta di essere padre di Gesù. Lo ha adottato, quel figlio, pur non essendo suo, perché era di Dio, era Dio, ed era per tutti, compimento di ogni promessa.

Come ricorda ancora la seconda lettura, quando dice che Isacco, per Abramo e per tutti noi, fu come un ‘simbolo’. Isacco figlio della promessa e del sorriso di Dio, è simbolo che anticipa Gesù, che è compimento di ogni promessa e di ogni dono!

Le parole che Simeone rivolge alla madre, parole ispirate dal dono dello Spirito Santo, dicono molto bene chi è questo figlio: è un «segno di contraddizione». Davanti a Lui molti troveranno la luce e la pace. Tra questi, c’è Simeone, oltre a Maria e Giuseppe.

Sono bellissime le parole di questo venerando vecchio, carico di anni, che dice al Signore, stringendo nelle sue mani rugose il piccolo Gesù: “adesso posso morire. Ho visto quello che desideravo. Ho visto quel che la tua parola aveva promesso: questo bimbo è la luce con cui tu ti riveli al mondo, questo figlio è la gloria di Israele”.

Come Simeone anche Anna appartiene alla schiera di Abramo: uomini e donne di fede, che hanno accolto il compimento della promessa di Dio.

Però Simeone dice, in modo franco, che questo bimbo sarà rifiutato, morirà di spada, quella stessa spada che «trafiggerà l’anima» di Maria ai piedi della croce.

Ma la morte di questo bimbo non sarà l’ultima parola della sua vita.

Egli rimane luce, perché muore per coloro che lo uccidono, per annunciare a loro e a noi, che Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre!

don Maurizio



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