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Davvero il Signore è risorto e resta con noi.

Molti di noi hanno già partecipato alla Veglia pasquale, che, lungo tutto il corso dell’anno liturgico, di tutte le celebrazioni è la più preziosa e la più ricca di simboli, davvero straordinari.


Quella celebrazione è il cuore di tutte le celebrazioni, la festa di tutte le feste. Tutto il giorno di Pasqua è come l’alba di una nuova umanità, come l’inizio di un nuovo giorno.

Anche per noi che celebriamo questa eucarestia quando ormai si fa sera.

San Paolo, scrivendo ai Corinzi, li invita a togliere «via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi». Durante la cena pasquale, che ricordava l’uscita dall’Egitto, e poi per sette giorni, gli ebrei mangiavano pane azzimo, più facile da conservare perché senza lievito. E così sono anche le ‘particole’ della nostra comunione: pane azzimo, senza lievito.

Questo è un fatto simbolico: indica appunto il dono e il compito di essere azzimi: togliere via, dice ancora San Paolo, «il lievito vecchio», quello che è «lievito di malizia e di perversità», per accogliere e vivere secondo il lievito nuovo che fa fermentare tutta la pasta.

Ricevere il pane azzimo significa dunque voler vivere con «àzzimi di sincerità e di verità».

È l’inizio di una nuova vita, grazie a Gesù.

San Pietro lo dice in modo molto forte, nel discorso di Atti 10 (nella prima lettura), rivolto a Cornelio e la sua casa, i primi pagani che ricevono il dono dello Spirito e che vengono battezzati dall’apostolo!

Parlando di Gesù, Pietro dice che egli «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui». Un’espressione, questa, forse un po’ strana per noi, ma proprio per questo molto realistica: l’umanità, anche oggi, sta «sotto il potere del diavolo» e cioè è tutta divisa al suo interno. Gli uni contro gli altri!

Anche in questo nostro mondo è così facile cadere nella tentazione di sottolineare ciò che divide: questo succede non solo nella società e tra le nazioni, ma anche nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità.

Il male è proprio questa divisione: esso è tutto ciò che ci oppone gli uni agli altri, con invidie, gelosie, sospetti, falsità, menzogna, infedeltà, cupidigie, avidità, imbrogli, accuse, violenze, abusi …

È in questo nostro mondo che Gesù è passato, facendoci del bene, rimanendo anzitutto Lui vittima dell’odio. Vittima per amore.

Gratuitamente amati, noi scopriamo grazie a Lui che è possibile un altro modo di vivere, anche per noi oggi.

È una parola di speranza, rivolta a tutti gli smarriti, gli scoraggiati, i disorientati, gli scettici, tutti coloro che hanno perso la speranza e vivono nel ‘disincanto’ e nella disillusione!

Il brano del Vangelo della sera di Pasqua è bellissimo, per comprendere ancor più il cammino di fede che possiamo fare, grazie a Gesù e insieme con Lui: il Vangelo di Emmaus!

L’evangelista Luca parla di due discepoli, uno di nome Cleopa, che tutti conoscevano a Gerusalemme, e l’altro anonimo, quasi a dirci che ciascuno di noi si può – si deve! – identificare con questo discepolo ‘senza nome’.

A piedi, i due si stanno incamminando verso Emmaus, un villaggio distante pochi chilometri da Gerusalemme.

È, probabilmente, il pomeriggio del primo giorno della settimana, quello che per noi è la domenica, il ‘dies dominicus’, il giorno del Signore, appunto, l’inizio dei nuovi giorni, il primo giorno della settimana.

I due sono in cammino.

Già questa è un’immagine molto bella della nostra vita. Vivere è camminare. Non è mai stare fermi. Camminare significa muoversi, cambiare – lentamente – il paesaggio, lo sguardo, gli orizzonti.

Camminare è anche fare fatica.

Camminare è avere una direzione, una meta.

Camminare sulla strada, è l’occasione per incontrare la gente, altre persone come noi, ciascuno con la sua strada, i suoi desideri, il suo mondo.

Oggi rischiamo, però, spesso, di camminare troppo di corsa e di non vedere più il volto delle persone che incrociamo, quasi travolti dalla nostra fretta, dai nostri affanni.

Questi due, nel Vangelo, mentre camminano, conversano e discutono tra di loro, riguardo a «tutto quello che era accaduto».

Ad un certo punto, però, a questi due si affianca uno sconosciuto.

Noi, che leggiamo questa bellissima pagina di vangelo, sappiamo che quest’uomo è Gesù, ma loro, no, non lo sapevano: «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo».

Anche questa è figura di quello che accade a noi nella vita: quante volte non solo non sappiamo riconoscere chi cammina accanto a noi, perché siamo troppo presi dalle nostre cose, ma soprattutto non sappiamo riconoscere che nel volto dell’altro si nasconde il volto stesso di Gesù.

Comunque, tornando alla pagina del Vangelo, questo ‘sconosciuto’ stuzzica i due discepoli: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?».

È una domanda strana, un po’ (troppo) curiosa, quasi invadente. Più di tutto però, in profondità, questa domanda rivela l’interesse di questo ‘terzo’, nei confronti dei due discepoli.

La risposta dei due è sorprendente: «Si fermarono, col volto triste».

In queste parole con poche sillabe, è descritto lo stato d’animo di questi due. Il volto è triste. Sono nel lutto. Hanno perduto …

«Che cosa?» chiede loro questo terzo sconosciuto.

Poi, il Vangelo racconta, con abbondanza, di che cosa stavano parlando.

A Gesù – ma non lo sanno – si mettono a parlare di Gesù: questi «fu profeta potente in opere e in parole…».

Ma questo Gesù era stato condannato a morte e crocifisso. È una fine ingloriosa, deludente, dicono questi due: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele …».

Come molti discepoli, anche questi due avevano sperato in Gesù, un Messia ‘politico’, che avrebbe finalmente restituito il popolo di Israele alla sua libertà.

Questi due, dunque, avevano verso Gesù delle attese sbagliate.

Per questo non potevano riconoscerlo.

Anche questa è una metafora eloquente della nostra vita: quante volte noi ci facciamo delle attese su Dio che corrispondono ai nostri desideri e non siamo capaci di incontrare il Signore che ci viene incontro, a partire da quello che Lui ci rivela di sé!

I due discepoli sanno delle donne che sono tornate al sepolcro, la mattina, e lo hanno trovato ‘vuoto’. Raccontano, questi due, della visione degli «angeli, i quali affermano che egli è vivo».

Sanno anche che alcuni discepoli, al sepolcro, hanno trovato tutto «come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Sì, il sepolcro è vuoto, ma che cosa significa questo?, si chiedono.

Questo ‘profeta’ potete è sparito. Non c’è più.

Gesù ascolta con grande attenzione queste parole. Ascolta in silenzio.

Li ha fatti parlare, Lui, invitandoli a dire la loro delusione, le loro aspettative, tradite.

A questo punto, però, li scuote, con veemenza, con franchezza, con forza. Li chiama: «Stolti e lenti di cuore a credere».

Questi due sono ancora ciechi. Non hanno fede. Resistono agli eventi, nei quali Dio si è rivelato.

Lo ‘sconosciuto’ – Gesù – con incredibile sapienza, spiega loro «in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui». Mostra loro, nelle sue parole, che la Parola di Dio annunciava che il Cristo avrebbe dovuto ‘patire’ «per entrare nella sua gloria».

Non sappiamo quanto questo sconosciuto abbia parlato. Forse il tempo era volato, tanto le sue parole erano sconvolgenti e affascinanti.

Così arrivano al villaggio.

Ora siamo al culmine del racconto. Lo sconosciuto sembra voler andare più lontano. Allora i due lo trattengono, insistono, perché rimanga con loro.

È bellissima la loro preghiera: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto».

A questo punto lo sconosciuto non dice più una parola.

Alle parole si sostituiscono i gesti. Sono i gesti della ‘Cena’, l’Ultima Cena’. «A tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro».

Deve essere stato un momento sconvolgente.

In quel gesto i due riconoscono il dono di Gesù: pane spezzato e condiviso.

Anche noi, oggi, siamo qui a compiere questo memoriale dell’Ultima Cena. Abbiamo ascoltato la sua Parola.

Lo riceviamo, in Dono, nel pane azzimo, perché la nostra vita rinasca «nella sincerità e nella Verità».

Anche noi siamo qui convocati, come comunità di discepoli, al di là delle delusioni e divisioni, perché Lui ci parli e ci doni la sua speranza!

don Maurizio



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