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Adottati da un Dio che è Padre e non padrone.

Oggi è la solennità della Santissima Trinità. «Il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro».


Il Signore Dio è Unico. Eppure è in tre persone. Qui siamo al cuore della rivelazione biblica, la Parola di Gesù.

La Parola di Dio oggi ci traccia come un cammino luminoso da percorrere, per condurci lungo la strada di questa stupefacente verità. È un invito allo stupore, nella prima lettura; c’è un comando di Gesù e una sua promessa, nel Vangelo. E la seconda lettura ci mostra quanto tutto questo sia fecondo per noi.

Nel libro del Deuteronomio le parole di Mosè sono un invito a lasciarsi stupire. Al popolo di Israele, il grande profeta dice: “prova a interrogare «i tempi antichi, che furono prima di te», sin dal momento in cui il mondo ha avuto inizio. E prova ad indagare «da un’estremità all’altra dei cieli».

Non fermarti mai, cerca ovunque. Estendi la tua ricerca, sempre e dappertutto. Ebbene: «vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa»?.

Che cosa, ci viene da domandare?

Mosè indica due ‘cose’, due ‘segni’, due ‘eventi’ che stanno all’origine di un così grande stupore: «che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?».

Dunque: c’è, da qualche parte, un Dio che abbia parlato, rivelandosi nel fuoco del roveto, senza che chi lo ha udito rimanesse folgorato dalla voce che si rivolgeva a lui? Qui Mosè ricorda, chiaramente, l’episodio stupefacente del roveto che ardeva senza consumarsi.

A quel roveto egli si era avvicinato, affascinato, ma era stato fermato, invitato a togliersi i sandali, per non calpestare quella terra santa.

Da quel roveto parlava una voce. Egli udì una Parola, che lo chiamava per nome! Mosè non vide Dio. Ne udì, però, la voce. E Dio gli si era presentato.

Questo è il primo segno, il primo grande motivo di stupore.

E il secondo è questo: «O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie … come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi?».

Ecco l’altro grande segno che ha rivelato Dio nella storia del popolo: i prodigi, meravigliosi, con i quali Egli ha liberato Israele dalla condizione terribile dell’Egitto.

È un Dio che parla e che agisce.

Da qui lo stupore di Mosè. Da qui l’invito a stupirsi, al suo popolo.

Da qui anche l’invito per noi: lo stupore, la meraviglia.

Ecco, la fede nasce proprio da qui: dal lasciarci stupire.

Non c’è nulla di banale, di ovvio, di scontato, nel Dio che si rivela nella storia biblica. Dio non è il risultato di un calcolo matematico, né è la conclusione necessaria di una dimostrazione ‘razionale’, per la quale tutti sarebbero costretti a credere in Lui.

Questo è un Dio che si rivela nella storia, come un Dio alleato e benevolente, un Dio che ‘si sporca le mani’, a favore del suo popolo oppresso, un Dio che parla, si rivela, si fa ascoltare, si presenta, ci chiama per nome, attende una risposta.

Perciò, conclude Mosè: «Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te …».

Se ascolti la sua Parola, allora sarai felice, perché questo è ciò che il Signore vuole da te, che tu sia felice!

Ecco, allora il primo, fondamentale invito: è quello a lasciarci stupire.

Lo stupore, però, non può essere un obbligo, non è una forzatura. Lo stupore è un sentimento che nasce spontaneo, dinnanzi a qualcosa o a qualcuno che ci sorprende, e che non avevamo previsto.

Lo stupore sorge davanti a qualcosa che ci colpisce, ci strappa un grido di ammirazione o, magari, ci lascia in silenzio, perché non abbiamo nemmeno parole per dire …

La fede nasce dallo stupore, dalla meraviglia.

La fede nasce quando, invece che cercare, attendiamo e lasciamo che l’altro – l’Altro! – ci venga incontro.

La fede non è la conclusione dei nostri sforzi, e delle nostre ricerche, non è l’incontro che corona le nostre attese.

Così, con questo sentimento di stupore, dovremmo sempre metterci davanti alla Parola del Vangelo.

In particolare questo accade nel Vangelo di oggi. «Gli undici» sono in Galilea, «sul monte che Gesù aveva loro indicato».

Il monte è il luogo della Rivelazione di Dio, e di Gesù stesso.

È sul monte che Gesù ci ha dato le beatitudini.

È sul monte che Gesù si è trasfigurato, per rivelare davanti agli occhi stupiti dei suoi la sua gloria.

È sul monte che Gesù è stato crocifisso.

È sul monte – che ricorda il Sinai, la montagna di Dio! – che Gesù si congeda dai suoi.

«Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono».

Dinnanzi al Risorto, in quel momento solenne, i discepoli si inchinano profondamente, con la faccia a terra, come a non volere e a non potere vedere Dio, perché la sua luce li abbaglierebbe e li accecherebbe.

Insieme a questo gesto, però, essi dubitano.

L’adorazione, che è il vertice dello stupore, non esclude il dubbio o la domanda, l’interrogativo. La fede si nutre delle nostre domande, dei nostri dubbi.

Guai se smettessimo di cercare, di interrogarci, di lasciarci scuotere e sconvolgere da questo Dio che ci parla!

A questi uomini Gesù si avvicina e dà una consegna. Lui, al quale «è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra», Lui, chiede a quel piccolo gruppo di discepoli, adoranti e confusi, di andare ovunque, nel mondo.

Gesù chiede agli undici discepoli, da Lui istruiti con pazienza infinita, di fare «discepoli» in mezzo a «tutti i popoli».

La parola del Vangelo è universale, è per tutti, è un dono da diffondere, non è una parola ‘privata’ per qualche anima bella o un insegnamento esoterico per qualche privilegiato.

Gesù comanda ai suoi di andare a battezzare «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Sono le ultime parole di Gesù e sono le prime parole, nel Vangelo di Matteo, nelle quali Lui stesso ci rivela la Trinità di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Detto questo, Gesù aggiunge un comando e una promessa.

Chiede agli apostoli di insegnare, a chi crede, ad osservare tutto quello che Egli, il Maestro, ci ha insegnato.

E aggiunge una bellissima promessa: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»Non dobbiamo attendere nessun altro, nessuna nuova alleanza o rivelazione. Egli è il Dio-con-noi, fino alla fine, per sempre!

È nel suo nome che noi possiamo chiamare Dio: ‘Padre’.

Come dice la seconda lettura, dalla lettera ai Romani, questo ‘nome’ di Dio ci è suggerito e anzi ‘gridato’ dallo Spirito. È lo Spirito che, strappandoci alla paura, grida in noi, con la nostra voce: «Abbà! Padre!».

È un grido di assoluta fiducia, confidenza, abbandono filiale.

Ma è un grido che si accompagna al gemito, al soffrire, al patire, al dramma della vita e della storia.

Immersi nelle vicende del mondo, noi siamo sorretti da una fiducia profonda, quella dei figli che sono stati ‘adottati’ da un Dio che è Padre e non padrone, che è Figlio e nostro fratello, che ha dato la vita per noi, e da un Dio che è Spirito, che abita in noi, rendendoci figli, «eredi di Dio», chiamati a gustare, per sempre la «sua gloria»!

don Maurizio



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