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Amati, amiamo!

Siamo giunti all’ultima settimana della Quaresima, prima della Settimana Santa.


La Parola di Dio ci ha guidato in questo cammino quaresimale. Uno dei temi conduttori, specialmente nelle prime letture di queste domeniche di Quaresima, è stata l’alleanza.

Ecco, con la lettura del profeta Geremia questo cammino giunge al suo compimento.

A un popolo infedele, un popolo che si era allontanato dal Signore, e che aveva già sperimentato la deportazione e l’esilio, a nome di Dio, il profeta annuncia «giorni», che «verranno», nei quali «con la casa d’Israele e con la casa di Giuda» egli concluderà «un’alleanza nuova». Non sarà più, dice il profeta, come la prima alleanza, quella stipulata con i padri, all’uscita dall’Egitto, e sul monte Sinai.

Quell’alleanza è stata infranta, è stata spezzata. Perché, per fare un’alleanza, occorre essere in due. E Israele ha rotto questa alleanza. Per quanto essa fosse gratuita, da parte di Dio, il popolo ha voluto camminare per la sua strada. E si è perso.

Allora ecco l’annuncio di una alleanza nuova.

La caratteristica fondamentale di questa nuova alleanza è che, con essa, la legge di Dio, la Torah, sarà scritta ‘dentro’, sarà scritta «sul cuore». Attenzione, non c’è nulla di sentimentale in questo richiamo al cuore, come spesso pensiamo noi moderni e nemmeno si vuole ridurre questa alleanza a qualcosa di puramente interiore, inavvicinabile e inafferrabile.

Al contrario!

Questa alleanza sarà impressa nella vita concreta, andrà fino alla radice più profonda, così da innervare le scelte della vita. Sarà impressa così profondamente da essere definitiva e inseparabile.

Nulla potrà mai spezzare questa alleanza!

Finalmente, «allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo».

Sarà un legame con Dio, di reciproca appartenenza.

Alla grazia del suo Dio Israele risponderà con fedeltà, riconoscenza e gratitudine, per sempre!

Il popolo ‘conoscerà’ profondamente il Signore, farà un’esperienza viva, personale, della sua grazia, del suo perdono, della sua misericordia.

Questa alleanza, nuova ed eterna, troverà il suo sorprendente compimento nella storia di Gesù.

Questo significa essere cristiani: riconoscere che le promesse fatte ai padri hanno trovato la loro realizzazione proprio nella storia di Gesù.

Ma questo ci richiede un cammino che non è mai compiuto!

Nel Vangelo di Giovanni si racconta di alcuni Greci, di lingua greca, «che erano saliti – a Gerusalemme – per il culto», la Pasqua.

In quei giorni si era parlato molto di Gesù, a Gerusalemme.

Gesù era entrato, nella città, accolto da una folla festante, che gli era andata incontro osannante, con le palme, mentre Lui sceglieva un asinello per passare tra la folla.

Pochi giorni prima, a Betania, Gesù aveva compiuto il ‘segno’ straordinario della resurrezione di Lazzaro e i capi dei sacerdoti avevano deciso di uccidere non solo Gesù, ma anche Lazzaro. Volevano eliminare le ‘prove’ …

È in questo contesto, altamente drammatico, che alcuni ebrei di lingua greca si avvicinano a uno dei discepoli, che parlava greco, Filippo, per chiedergli: «Signore, vogliamo vedere Gesù».

È la richiesta di poterlo non solo vedere, fisicamente, ma di poterlo incontrare personalmente.

C’è un significato molto bello anche per noi, in questa richiesta.

Anche noi, oggi, siamo invitati a crescere nella conoscenza personale di Gesù.

Lo abbiamo davvero questo desiderio? O siamo dei cristiani all’acqua di rose, cristiani annacquati, sbiaditi e senza convinzione?

Ad ogni modo, Filippo, con Andrea, va da Gesù e, stranamente, non si parla più della ricerca di questi Greci.

Gesù risponde ai due discepoli, pronunciando delle parole che vanno ben al di là della circostanza concreta che le ha originate.

Sono delle parole di rivelazione.

Gesù parla di un’ora, che è venuta proprio adesso, nella quale egli, «il Figlio dell’uomo», sarà «glorificato». E poi, alla fine di queste sue parole, egli rivolge la sua preghiera al Padre: «Padre, glorifica il tuo nome».

Mentre il Figlio viene glorificato, proprio allora, il Padre glorifica il suo nome.

Ma che cos’è questa gloria, questa glorificazione del Figlio e del Padre?

Che cos’è questa ‘gloria’ che avviene nell’ora di Gesù, e cioè nella sua Pasqua?

Gesù lo dice con parole formidabili, che sono una piccola parabola di amore.

«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto».

È un’immagine della vita quotidiana, tipica dei contadini.

Quando il seme viene deposto nella terra, scompare, come fosse morto. Marcisce. Ma poi, in primavera, questo seme che sembrava morto, produce un frutto abbondante di vita.

Se invece un seme viene trattenuto e non viene gettato nella terra, allora non produce nulla, perché non muore.

Ecco, questa è un’immagine formidabile per comprendere il senso della morte di Gesù. È Lui quel seme che, caduto in terra, muore.

La morte però non sarà l’ultima parola. Al contrario, la morte sarà il luogo, l’ora, nella quale si rivela la potenza di una grazia che salva, producendo in noi molto frutto.

Tutto questo non è facile, nemmeno per Gesù.

Nel Vangelo di oggi dice: «Adesso l’anima mia è turbata». È un momento terribile, anche per Lui. La morte, l’uccisione, gli fa paura. È solo una piccola parola: «l’anima mia è turbata», per dire lo sconvolgimento profondo di Gesù.

La lettera agli Ebrei, nella seconda lettura, parla di «preghiere e suppliche», di «forti grida e lacrime».

Ma dice anche che Gesù, in questa situazione, in questo ‘passaggio’ drammatico, si abbandona pienamente. Con una formula bellissima, si dice che: «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì».

Gesù non è andato incontro alla morte come un attore che recita sulla scena una parte che non gli appartiene. Gesù ha attraversato il dramma del rifiuto, della solitudine, delle lacrime, delle forti grida. Gesù ha pianto e sofferto.

Certo, era il Figlio, ma in quel momento ha sperimentato l’abbandono del Padre. E tuttavia, proprio mentre si sentiva abbandonato nelle mani degli uomini che lo uccidevano, in quel momento Lui si è abbandonato. Si è lasciato istruire da ciò che ha patito. Non è fuggito. Non è scappato. Ha attraversato il dolore e la morte.

Gesù stesso dice nel Vangelo di Giovanni: «che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!».

Gesù si abbandona, perché nella sua morte risplenda la gloria dell’amore del Padre per questa nostra umanità.

Questa è l’alleanza nuova e definitiva, che nulla potrà mai più spezzare.

A noi che crediamo in questo Vangelo, Gesù chiede di seguirlo, fino in fondo, mettendoci al suo servizio.

Se non ci fidiamo di Lui, finiamo col perdere la nostra vita: «chi ama la propria vita, la perde».

Ci chiede, Gesù, di amare, seguire e servire Lui, fidandoci delle sue parole.

Allora ‘conserveremo’ la nostra vita, per la vita eterna.

Amati, amiamo!

Rispondiamo all’amore, amando e camminando dietro a Gesù, fidandoci di Lui, fino in fondo!

don Maurizio



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