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Ascensione: Gesù non ci abbandona, l’Emmanuele rimane con-noi in una nuova ed eterna alleanza.

rupnik-collegiosstanislaoOggi è la solennità dell’Ascensione in cielo di Gesù. È l’ultimo e definitivo atto di Gesù, tra noi. Solo Luca ne parla, sia nel Vangelo sia negli Atti. Anzi, solo negli Atti Luca parla di quaranta giorni. Lo ascoltiamo oggi, nella prima lettura: «Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio».


Quaranta giorni è un numero chiaramente simbolico: indica un tempo pieno, il tempo della manifestazione di Gesù ai suoi, come i quaranta anni di Israele nel deserto, i quaranta giorni di Mosè sul monte, i quaranta giorni di Gesù nel deserto.

Gli altri evangelisti non dicono nulla di questi quaranta giorni! Ma tutti raccontano delle apparizioni o delle manifestazioni di Gesù Risorto, che porta nella carne i segni della Passione.

È un tempo decisivo, importantissimo.

Nel racconto degli Atti, oggi, si sottolineano due cose, prima che Gesù venga «assunto in cielo».

Mentre Gesù Risorto si intrattiene a tavola con i suoi, ordina loro «di non allontanarsi da Gerusalemme». Lì, nella città santa, nel ‘cuore’ dell’ebraismo, lì dove era cominciato il Vangelo di Luca, nel tempio con Zaccaria, è proprio lì che termina la vita di Gesù e riparte la vita della Chiesa.

C’è una profonda unità tra Gesù e i discepoli. Certo, i discepoli non sostituiscono Gesù, che rimane colui che noi annunciamo, come il nostro salvatore.

Ma senza la Chiesa, con tutti i suoi difetti, Gesù oggi non ci sarebbe più!

Ai suoi Gesù chiede di rimanere a Gerusalemme per attendere «l’adempimento della promessa del Padre».

È la promessa dello Spirito: «sarete battezzati in Spirito Santo». L’espressione è molto bella: essere battezzati in Spirito Santo è un atto di Dio, è l’ultimo atto e definitivo di Dio, in Gesù, che ci immerge nello Spirito, nel suo Amore gratuito e sovrabbondante. Questo dono dello Spirito è il compimento della promessa del Padre, annunciata da Gesù.

Anche noi ora stiamo attendendo la Pentecoste, il battesimo in Spirito Santo. È questo il compimento di ogni promessa. Gesù quindi rimanda allo Spirito che ci fa entrare – immergendoci! – nella comunione della Trinità di Dio.

Questo è dunque il primo momento importante del racconto degli Atti: prima di andarsene, Gesù ci lascia il dono dello Spirito!

Il secondo aspetto nel racconto di Luca è il dubbio dei discepoli.

Pongono a Gesù una domanda che sembra rivelare la loro incomprensione, dura a scomparire: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?».

Nonostante le parole di Gesù, i discepoli hanno ancora molto da comprendere. Sarà solo il dono dello Spirito che li aiuterà a ‘ricordare’ e a comprendere sempre più la Parola.

Questo rimane vero anche per noi oggi.

In fondo è compito della Chiesa riattingere sempre, ogni volta da capo, in ogni tempo, per gli uomini di oggi, la Parola del Vangelo che ci annuncia «l’adempimento della promessa del Padre». Ma questo compito, che è assicurato dal dono dello Spirito, passa attraverso i dubbi, le resistenze, le fatiche, le incomprensioni, la lotta, le debolezze della comunità dei discepoli.

Dobbiamo sempre ‘convertirci’ al dono dello Spirito.

Gesù, ai suoi, dice: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere».

Tra noi, i discepoli, e Dio rimane una differenza insuperabile. Noi non possediamo le ‘chiavi’ della storia. Siamo anche noi immersi nella storia, con tutti i suoi drammi, le guerre, i conflitti, le ingiustizie, con tutto il male che la flagella. Ma, dentro questo dramma, noi abbiamo ricevuto «la forza dallo Spirito Santo».

Questa è la promessa di Gesù ai suoi. La potenza dello Spirito, la grazia del Dono, ci rende testimoni di Gesù, in tutto il mondo.

Scrive Luca negli Atti: «e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». A partire da Gerusalemme i discepoli andranno in tutto il mondo.

C’è un bellissimo respiro universale nel soffio dello Spirito. Il dono di Dio non può essere ‘trattenuto’ nelle nostre mani, come un possesso nostro, e nemmeno può essere contenuto, come se fosse una piccola cosa.

Lo Spirito ci spinge ad annunciare Gesù «fino ai confini della terra». La fede stessa è universale. La Chiesa è cattolica, cioè universale! È infatti destinato a tutti il Vangelo: non è un privilegio di pochi.

Una cosa molto simile è detta nel bellissimo finale del Vangelo di Matteo, che pure non parla esplicitamente dell’Ascensione di Gesù in cielo.

Qui Gesù convoca i discepoli non a Gerusalemme, ma in Galilea. Perché il Vangelo di Matteo parte dalla Galilea, che è la terra di Gesù. In Galilea, Gesù convoca i suoi sul monte, che ci ricorda sia il monte delle Beatitudini sia il monte Tabor. È il monte in cui la Parola si manifesta nel suo splendore massimo.

Appena i discepoli vedono Gesù, che è il Risorto, si prostrano dinanzi a Lui.

La prostrazione è il gesto riservato a Dio. Dice la nostra adorazione davanti a Lui. Dice anche la nostra totale dedizione e consacrazione. Dio solo merita il nostro servizio. Dice anche, la prostrazione, che noi non possiamo ‘vedere’ Dio. Anche quando gli stiamo davanti, egli sfugge ai nostri occhi.

La prostrazione, infine, dice il nostro legame alla terra. Il nostro corpo, nella prostrazione, aderisce alla terra. Noi, così, ricordiamo a noi stessi che Dio è Dio, è il vasaio’ della nostra vita, e noi siamo solo la creta, la terra nelle sue mani.

Mentre si prostrano, però, i discepoli, gli undici, dubitano.

Vedete, anche qui, i discepoli di Gesù sono lacerati dal dubbio. Credono, ma con molte perplessità, con molte fatiche, con molte resistenze. La fede è un cammino di fiducia e di libertà che non è mai concluso.

A questa gente così fragile Gesù consegna l’annuncio del suo Vangelo. È a lui che è stato dato «ogni potere». Il crocifisso, apparentemente sconfitto dalla morte, in realtà ha vinto la morte, poiché è Risorto.

La morte è il simbolo di ogni potere, perché – apparentemente – essa sembra l’ultima parola della nostra vita.

Ma Gesù ha potere sulla morte. È il Risorto. Perciò chiede ai suoi, a noi, di fare «discepoli tutti i popoli». È la forza universale del Vangelo.

E poi Gesù assicura i suoi con una parola bellissima, la parola con la quale si conclude il Vangelo di Matteo: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». L’Emmanuele, il-Dio-con-noi rimane con-noi. È la nuova ed eterna alleanza. Gesù non ci abbandona. È tra noi. Anche se non è più visibile ai nostri occhi.

La conclusione della prima lettura, negli Atti, oggi cerca di fissare, quasi come in una fotografia, l’istante del distacco. È una scena bellissima, carica di nostalgia e di speranza, di memoria e di attesa.

Mentre i discepoli guardano Gesù, lui viene «elevato in alto» e «una nube» lo sottrae ai loro occhi. Gesù scompare nella nube, che era il simbolo tradizionale della manifestazione di Dio. Nella nube, come sul Tabor, noi vediamo di non vedere.

Mentre i discepoli sono lì, rapiti, a guardare colui che non possono più vedere, in quell’istante «due uomini in bianche vesti» – i due uomini (angeli!) che richiamano i «due uomini» che stavano davanti al sepolcro, in Luca – li scuotono con forza, li richiamano con la loro parola. Non è questo il tempo di «guardare il cielo».

Il cristiano non è uno che si bea di cielo, ma si nutre di terra.

È qui, sulla terra, che annuncia il ‘cielo’, quel Dio che si è fatto carne e salva la nostra vita, la nostra storia.

Qui noi lo attendiamo, perché Lui ritornerà, per portarci tutti con Lui!

Don Maurizio



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