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Avvento: un tempo di attesa della pazienza di Dio.

Dopo la solennità dell’Immacolata oggi celebriamo la seconda domenica di Avvento. È un tempo prezioso per potersi preparare alla solennità grande del Natale.


Oggi la Parola ci parla attraverso tre grandi figure, molto diverse l’una dall’altra, ma tutte e tre importanti nel nostro cammino incontro al Signore che viene: il profeta Isaia, il profeta Giovanni Battista, l’apostolo Pietro.

La prima lettura, dal profeta Isaia, si apre con un invito dolcissimo e ricco di speranza: «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio -. Parlate al cuore di Gerusalemme …». Il profeta si rivolge, a nome di Dio, a un piccolo gruppo di persone e chiede a questi di ‘consolare’ il suo popolo, di parlare al suo cuore e cioè ai suoi affetti, più profondi, ma non solo: parlare «al cuore di Gerusalemme» è parlare al profondo della sua coscienza.

Così questa parola del profeta giunge oggi anche a noi: la Parola di Dio giunge a toccare le corde più profonde del nostro animo, non è una parola lontana da noi, dalla nostra vita. Non è una parola estranea, anche se giunge all’improvviso e ci sorprende.

È una Parola di consolazione: non è una parola di illusione, che ci venderebbe soluzioni a buon mercato, illusorie e fallaci. È una Parola di consolazione profonda e radicale. Perché?

«E gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata».

Ha già sofferto abbastanza, questo popolo, si è già fatto tanto male, da solo: questo significa «ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati», perché noi, con il peccato, ci facciamo del male, da noi stessi, ci priviamo di quel bene che ci fa bene!

Così è per l’umanità di sempre e così è anche per l’umanità di oggi.

A volte ci sembra di essere sommersi dal male, travolti da esso come da un’onda che tutto travolge e distrugge.

A questo popolo, così provato, il profeta chiede di gridare che la colpa è scontata e la tribolazione è compiuta. È finito il tempo della colpa. È finito il tempo della tribolazione, del dolore, dell’angoscia.

Soprattutto è finito il tempo della colpa.

Quante volte anche noi, siamo perseguitati dalle nostre colpe, dalla coscienza dei nostri peccati e del male compiuto.

Certo, molti sembrano oggi non farsi troppi problemi.

Il nostro mondo sembra pieno di persone spregiudicate, che approfittano degli altri senza scrupoli, persone che sembrano ‘girare’ solo attorno a sé e che sembrano pretendere che tutto ruoti attorno a sé.

Ma, insieme a queste, ci sono molte altre persone che sono alle prese con la coscienza della propria colpa e che sono schiacciate da questo.

Ebbene, a tutti il profeta grida: è finito il tempo della colpa!

E perché? Perché mai il profeta osa gridare così?

«Una voce grida».

La ragione profonda della consolazione è questa: c’è una voce, da qualche parte, che grida, in modo che tutti sentano: «Nel deserto preparate la via al Signore … la strada per il nostro Dio».

Ecco la ragione profonda della nostra consolazione e di ogni consolazione umana: il Signore viene a noi e ci chiede di preparagli la via, un sentiero.

Ci chiede di andargli incontro.

Se noi non lo cerchiamo, come possiamo incontrarlo quando lui ci viene incontro?

Ma se lui non ci viene incontro, come possiamo trovarlo solo con le nostre forze? L’incontro avviene per la ‘grazia’ di un duplice movimento: noi cerchiamo colui che ci viene incontro. Lui ci precede, ma non ci salva senza di noi!

Questa è la lieta notizia, questo è il Vangelo; l’espressione è ripetuta per due volte dal profeta: «Sali su un alto monte … Alza la tua voce con forza … Alza la voce, non temere».

“Non aver paura di disturbare. Quello che tu annunci, è una gioia immensa e una consolazione” per tutti: «Ecco il vostro Dio!».

Il profeta descrive il nostro Dio come un pastore, come un pastore buono, che «fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna». Dio qui è paragonato a un pastore che si prende cura di noi, che non ci abbandona, che non ci lascia vagare, nella dispersione, lontano da lui!

E poi, con un’immagine dolcissima, questo pastore «porta gli agnellini sul petto»: si fa carico di chi è incerto, piccolo, debole, lo porta in braccio, gli risparmia la fatica del cammino.

E infine «conduce dolcemente le pecore madri». Questo pastore ha cura di chi porta la vita, ha cura lui stesso della vita.

A ciascuno chiede quello che può!

Il Vangelo di Marco è dominato dalla figura, forte, austera e perfino aspra di Giovanni Battista.

È un uomo che si è rifugiato nel deserto, lontano dalla città, alla ricerca di Dio.

Questo profeta è, anche per noi, un invito e un monito: abbiamo bisogno anche noi, in certi momenti, di staccarci dal traffico, dalla “bella” confusione e dagli affanni pericolosi della vita di tutti i giorni, per ritornare all’essenziale, a ciò che dà gusto e sapore alla vita: «proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati». Questa è la prima parola di Giovanni: era un gesto, un lavacro nel Giordano, un bagno che in modo simbolico significasse il desiderio di ‘cambiare la vita’, di trovare il perdono dei peccati.

Giovanni chiede di ‘ritornare a sé’, nel deserto, nella solitudine, per tornare a Dio e scoprire che egli è perdono.

Così, ed è la seconda parola di Giovanni, questo profeta annuncia un altro: «Viene dopo di me colui che è più forte di me».

Giovanni non parla di se stesso. In questo, è figura di ogni cristiano e di tutta la Chiesa, perché noi non parliamo di noi stessi, non carichiamo gli altri di pesi insopportabili, non imponiamo dei dogmi. Noi annunciamo la sorpresa di un Dio che si fa carne.

Noi non siamo nemmeno degni di lui. Non siamo “chissà chi e che cosa”.

Giovanni ha un senso profondo della propria indegnità e della sua differenza rispetto a Colui che egli annuncia: davanti a lui, sa di essere meno di un servo.

«Egli vi battezzerà in Spirito Santo». “Io, dice Giovanni, vi battezzo nel segno dell’acqua. Lui, invece, nella grazia e nella potenza di un Dio che opera e che tutto rinnova”.

L’evangelista Marco vede in Giovanni il realizzarsi delle parole del profeta Isaia, che aveva parlato del messaggero, della «voce che grida», annunciando «la via del Signore».

Infine la seconda lettura ci presenta alcune parole, forti, dell’apostolo Pietro. Anche lui annuncia il «giorno del Signore». Dice che questo giorno arriverà all’improvviso: «verrà come un ladro». Allora sarà la fine.

Con immagini molto forti, l’apostolo si immagina questa fine: «un grande boato … i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! … e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta».

Ma questa fine non sarà la fine.

L’apostolo parla di «nuovi cieli» e di «una terra nuova». Tutto sarà non distrutto, ma rinnovato, non annientato, ma trasformato: un nuovo cielo e una nuova terra. Lì abiterà la giustizia, la pace, la comunione con Dio e la pace tra gli uomini.

Pietro dice a tutti noi di non perdere la pazienza, di aspettare: «davanti al Signore … mille anni sono come un solo giorno». Apparentemente, egli ritarda e si fa aspettare. Ma in realtà ci dà tempo per pentirci.

Questo è (anche) il tempo dell’Avvento: un tempo di attesa della pazienza di Dio.

Nel frattempo Pietro ci esorta a non perdere di vista quello che attendiamo: «nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia».

“Vivete in pace, nell’attesa di Dio.

Abbiate cura di non sporcarvi con il male.

Se necessario, pentitevi.

Aspettate il Signore, che viene a voi per salvarvi.

Accogliete la buona notizia del Vangelo!”

don Maurizio



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