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Cercare, conquistare e amare la Sapienza.

La Parola di Dio, in questa domenica, ci apre lo sguardo verso un orizzonte a cui non siamo molto abituati, in questi nostri giorni: la ricerca della saggezza. Oggi, più che la saggezza, noi cerchiamo, soprattutto, il ben-essere. È la parola magica’ per molti di noi.


In un mondo complesso, e spesso complicato, con tante preoccupazioni, affanni, fatiche, dolori, circondati da tanti mali, noi cerchiamo il benessere come cerca l’aria uno che fa fatica a respirare perché è in affanno. Cerchiamo un po’ di sollievo psicologico, cerchiamo serenità, soprattutto benessere. Tecniche di meditazione, centri di cura del corpo, perfino le religioni diventano dei ‘mezzi’ per trovare benessere, per ‘stare bene’ con noi stessi, come spesso diciamo.

Questa ricerca è senza dubbio sintomo di un disagio, che non possiamo sottovalutare. È il sintomo di una fatica di vivere che va ascoltata, in profondità.

Ma la domanda è se, in tutto questo, il benessere è davvero ciò che dobbiamo cercare.

Oppure ciò che noi cerchiamo, in realtà, è altro e solo di conseguenza, come un effetto benefico, ci sarà dato di trovare quel ‘benessere’ o meglio quella felicità che andiamo cercando?

Ma che cos’è la sapienza?

La Parola di Dio, oggi, è una luce meravigliosa che ‘accende’ questa nostra domanda, facendo emergere in noi un interrogativo che c’è già, nascosto nel profondo dell’animo, nel profondo dei nostri affetti!

Che cos’è la sapienza e come si fa a ‘conquistare’ la sapienza?

Ma davvero la sapienza è da ‘conquistare’?

E davvero è tanto importante?

Se dovessimo riassumere in poche parole il senso di questa Parola, direi così: la sapienza è attesa e sorpresa, la sapienza è ricerca e meraviglia.

L’una e l’altra vanno insieme, non mai l’una senza l’altra!

Il libro della Sapienza, la prima lettura, dice che la sapienza, che è «splendida e non sfiorisce» mai perché è sempre nel pieno della sua bellezza, «facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano».

Dunque: se uno cerca e ama la sapienza, la trova facilmente, perché essa si lascia trovare, non si nasconde, non si sottrae.

Anzi: addirittura, dice la Sapienza: essa «previene coloro che la desiderano». Ti anticipa. Per questo non richiede nessun affanno.

Con un’immagine molto bella, la Sapienza dice di sé che «chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta».

Ecco, pensavi di dover andare tanto lontano, ti eri preparato a un lungo viaggio, e invece se la cerchi davvero, la sapienza, te la trovi lì accanto a te, accovacciata alla tua porta, lì ad aspettarti.

Anzi, ancora di più, la Sapienza dice di sé che «lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei!».

Mentre tu la stai cercando, ti accorgi che è lei che ti sta venendo incontro, «benevola», sorridente, radiosa, felice. Per questo mentre tu la cerchi, la attendi, è lei che ti sorprende. Ti sorprende, se la cerchi, ma è lei che ti sorprende.

La trovi, mentre ti viene incontro, proprio là dove non la aspettavi e quando non la aspettavi.

Questo bellissimo incrocio tra l’attesa e la sapienza, che è la ‘chiave’ della felicità umana, Gesù lo racconta con un’affascinante parabola, nella quale egli ci parla di sé, proprio come faceva la Sapienza. Non è un caso. Gesù è la Sapienza che si è fatta carne e ha abitato in mezzo a noi.

In questa parabola Gesù si identifica con lo sposo, attribuendosi un bellissimo ruolo nei nostri confronti, offrendoci un dono meraviglioso, che è il dono di tutto sé stesso.

La parabola racconta di dieci giovani ragazze, dieci vergini, giovani donne non sposate, che appartenevano al corteo nuziale, per andare «incontro allo sposo» e far festa con lui, portandolo all’incontro con la sposa.

Queste giovani donne attendono lo sposo. Qui domina il tema dell’attesa. È un’attesa bella, di un incontro di festa e di gioia.

All’inizio – come noi quando aspettiamo lo sposo e la sposa davanti alla chiesa prima di un matrimonio – è un’attesa carica di … attesa, quasi di frenesia, ‘composta’, però!

L’attesa di queste giovani donne, però, lentamente si spegne. Passano le ore. Arriva la notte: «lo sposo tardava». Si assopirono, «tutte e si addormentarono».

È sempre così quando attendi qualcosa o qualcuno, all’inizio l’attesa è molto viva, è vivace, è elettrica. Però, se, pian piano, il tempo passa e quello che attendi non arriva, lentamente l’attesa si smorza, perde di mordente, addirittura svanisce.

Se prima attendevi, cercavi, spinto dal desiderio che era in te, ora, lentamente, non attendi più nulla. Ti addormenti.

Non ci accade così, tante volte, nella nostra vita?

Quanti desideri nascono e nutrono le nostre attese e poi lentamente si smorzano, svaniscono, muoiono. Così all’attesa succede la delusione, la noia, il sonno. E la fine dell’attesa. Lo dice anche il proverbio: ‘Chi dorme, non piglia pesci’.

Nella splendida parabola di Gesù, però, a un certo punto accade qualcosa all’improvviso, in modo inatteso.

Mentre queste giovani donne stanno tutte dormendo, perché l’attesa era troppo lunga, «a mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”». Un grido, nella notte, le sveglia tutte.

L’atteso, non più atteso, nel sonno, in modo sorprendente, adesso, si avvicina, va’ loro incontro.

È una sorpresa bellissima, questo grido. È un grido che annuncia la gioia!

Però questo ci rivela una differenza radicale. Queste giovani donne, che sono il simbolo dell’umanità e della nostra libertà, all’improvviso scoprono che c’era una differenza nella loro attesa.

Alcune avevano molto olio per le loro lampade, perché ne avevano preso una scorta. Avevano preso, «insieme alle loro lampade … anche l’olio in piccoli vasi».

La loro era (stata) un’attesa viva. Anche se si erano addormentate come le altre, avevano però immaginato, in anticipo, che lo sposo sarebbe arrivato all’improvviso, quando loro non lo attendevano più, quando erano stanche di attendere, quando meno se lo sarebbero immaginato. Aspettavano, ma non sapevano quando avrebbero incontrato l’atteso, lo sposo.

Le altre no.

Queste giovani donne stolte sono il segno che effettivamente la nostra libertà può rinunciare ad attendere lo sposo.

Tutti noi corriamo il rischio, nella nostra vita, di ‘sprecare’ la nostra attesa, quando è troppo lunga, e diventa pesante e difficile da sopportare.

L’attesa è l’attesa di un altro, che non siamo noi.

La vera attesa è la capacità di lasciarci sorprendere. Allora il saggio è colui che, proprio perché attende, si lascia sorprendere dalla bellezza di un fiore, di un tramonto, di una ‘bella persona’, di una amicizia, di un amore sponsale o filiale o paterno o materno …

Quante piccole e grandi gioie, nella fatica di una lunga attesa, sono disseminate nella nostra vita, se solo abbiamo gli occhi per riconoscerle e le orecchie per ascoltarle!

Il culmine di questa attesa è quello di Gesù, lo sposo, un amore gratuito e sovrabbondante.

In questo incontro sta tutta la nostra gioia!

don Maurizio



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