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Chi sono i santi?

Oggi è il giorno in cui noi lodiamo il Signore per tutti i santi e cioè non solo e non tanto per tutti coloro che sono stati riconosciuti ‘santi’, nella ‘gloria’ dell’altare, come si dice, ma per la straordinaria ‘schiera’ dei santi di tutti i giorni, che ci hanno preceduto e che ora sono nella gloria di Dio.

Anche se non sono stati innalzati alla ‘gloria’ dell’altare, nella Chiesa, questi santi sono stati innalzati alla gloria di Dio. Questo è ciò che conta!

Per questi ‘santi’, tutti i santi, noi oggi lodiamo e ringraziamo Dio.

Alla domanda: “chi sono i santi?”, possiamo rispondere in molti modi, con tante immagini. A me piace oggi rispondere in tre modi, quelli che mi sembrano suggeriti da questa Parola di Dio.

La prima immagine è quella del ‘figlio’.

Sono santi, sono beati, sono felici coloro che nella loro vita hanno fatto l’esperienza di essere ‘figli di Dio’. È la seconda lettura, dalla prima lettera di Giovanni, che ci parla di questo dono di grazia.

L’apostolo dice che «noi fin d’ora siamo figli di Dio». Il Padre, che è il Padre di Gesù, in Lui ci ha rivelato e donato un amore così grande che, nel Battesimo, ci ha ‘generato’ a una vita nuova, una vita filiale.

Tutti noi siamo figli. Nessuno escluso.

E la parola ‘figlio’ è forse la più dolce che possa esistere.

Quasi sempre, o molto spesso, anche se non sempre, i figli fanno l’esperienza di essere amati senza condizioni. Un figlio è accolto e amato non per le sue qualità, per i suoi doni, per la sua bellezza o per la sua intelligenza, ma semplicemente perché c’è e perché tu l’hai messo al mondo.

C’è qualcosa di sorprendente e di meraviglioso nel diventare padre e madre!

Dare la vita ad un altro, un figlio, ‘darlo alla luce’, è qualcosa di più grande che ‘scolpire‘ una statua o dipingere un quadro, costruire un bell’oggetto o scrivere un libro. Nell’atto di dare la vita c’è qualcosa che ci supera, perché va oltre le nostre capacità.

È vero che sono il padre e la madre a ‘dare la vita’, ma questo dono, più che darlo, essi stessi lo ricevono.

Dare la vita infatti è opera di Dio.

Nella loro opera meravigliosa di dare la vita, un padre e una madre scoprono che c’è all’opera la grazia di qualcun altro.

Questo, a volte, è così scontato che i genitori non se ne accorgono nemmeno. Se ne accorgono di più, ad esempio, tutti quegli sposi che sono ‘sterili’, e che vorrebbero dare la vita, ma questo non dipende (solo) dalla loro volontà.

Se ne accorgono poi anche quelli che perdono un figlio, quando è ancora bambino o giovane e comunque tutti i genitori che vedono morire un figlio prima di loro. È una lacerazione profonda, questa, che però ci rivela che nessun genitore è ‘padrone’ della vita del proprio figlio.

Essere figli è questa esperienza di grazia e quindi di gratitudine. È fonte di gioia.

Ecco chi è il santo: è colui che, nella sua vita, ha fatto e fa l’esperienza di essere amato da Dio, dal Padre, come un figlio.

«Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato». C’è quindi una tensione nella vita del cristiano: siamo figli di Dio, ma non possiamo sulla terra fare questa esperienza in modo pieno, compiuto, perfetto.

Siamo in attesa, viviamo nella speranza di poter gustare e vivere per tutta l’eternità questa meravigliosa grazia di essere ‘figli di Dio’.

Se siamo figli, siamo fratelli … Vivremo l’eternità nella fraternità, nella gioia condivisa di un amore, quello del Padre, che diventerà la ‘fonte’ dell’amore fraterno, gli uni per gli altri.

La seconda immagine della Parola di Dio, oggi, è molto ricca e difficilmente riassumibile in una sola parola. È la pagina delle beatitudini.

Per nove volte in questo Vangelo, Gesù si rivolge ai discepoli con la parola ‘beati’. La sua parola però è rivolta a tutti, perché attorno a Lui ci sono le folle, anche se egli insegna espressamente (solo) ai discepoli: in realtà ai discepoli è chiesto di testimoniare a tutti ciò che Gesù dice a loro …

Chi è beato, secondo Gesù?

È sorprendente questa sua parola.

Non sono ‘beati’, fortunati o felici diremmo noi, chi ci aspetteremmo secondo un criterio superficiale: non è beato chi ha tutto, chi non manca di nulla, chi ha potere e forza, chi non ha problemi o difficoltà.

La ‘beatitudine’ non dipende da ciò che hai.

La ‘beatitudine’ la puoi vivere in ogni condizione e stato, in ogni circostanza della vita. La beatitudine dipende da te o meglio dipende dal modo in cui ti relazioni con Dio e con Gesù, come dicono la prima e l’ultima di queste nove beatitudini.

Chi è infatti il povero, se non colui che, consapevole della sua piccolezza, si affida ad un altro, perché da Lui spera e perché di Lui si fida?

Il ‘povero in spirito’ è chi si mette dinanzi al Signore, invocandolo, supplicandolo, dicendogli le sue fatiche, i suoi drammi, le sue pene, i suoi dolori, affidandoli a Lui e fidandosi di Lui.

Il ‘povero’ è uno che affida al Signore i suoi desideri di bene, di pace e di giustizia. Il ‘povero’ è uno che nel pianto non cessa di sperare di essere consolato.

Il ‘povero’ è uno che è misericordioso, perché sa di essere stato oggetto di ‘misericordia’.

Il ‘povero’ è chi è mite, perché sa che ogni cosa è dono di Dio.

Il ‘povero’ è un ‘puro’; non è doppio, non è menzognero, non è ipocrita.

Il ‘povero’ è uno che accetta«ogni sorta di male», ma non perché non ama se stesso, ma «per causa mia»come dice Gesù.

Il ‘povero’ è un mendicante che ama perché sa di essere amato. Ha trovato nel Signore la ‘causa’ alla quale dedicare la propria vita e in questo trova la sua beatitudine, la sua felicità.

Questo sono stati i santi!

L’Apocalisse dice, in una scena imponente e drammatica, che i santi, ‘quelli che sono vestiti di bianco’ e stanno davanti al Signore, come «una moltitudine immensa», con «rami di palma nelle loro mani» e gridano «a gran voce» che la salvezza è dono di Dio e dell’Agnello, ecco questi «sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».

C’è un paradosso strano, drammatico, in questa immagine: le vesti di coloro che hanno lavato se stessi nel sangue dell’Agnello, queste vesti, invece che rosse, rosse di sangue, sono candide. Il ‘sangue’ dell’Agnello è il sangue del Crocifisso, che dona se stesso per amore.

Ecco chi sono i santi: coloro che si sono immersi nella Pasqua di Gesù e lì hanno trovato la fonte, la sorgente della loro vita, della loro beatitudine, della loro gioia.

Essere immersi nella grazia di Gesù, però, non significa che nella vita vada tutto ‘liscio’, tutto diventi facile.

Al contrario: proprio in forza della loro fede, questi hanno attraversato la grande tribolazione. Hanno attraversato il dramma della vita: le fatiche, le resistenze, i dolori, le angosce, gli ostacoli, ma tutto questo non ha spento la loro fiducia, il loro abbandono filiale nelle mani di Dio.

In questo giorno invochiamo umilmente il Signore di poter anche noi appartenere a questa gloriosa schiera dei santi di tutti i giorni: figli, fratelli, grati a Lui, perché pieni di speranza in un amore che non ci abbandona, anzi è la ‘causa’ per la quale spendere la nostra vita!

don Maurizio



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