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Desiderare un figlio. L’etica dell’adozione, i dubbi sulla fecondazione eterologa.

fecondazione-eterologa-cosè-e-come-si-faAdozione o fecondazione eterologa? Prosegue il confronto che abbiamo in diverse occasioni documentato e ripreso, offrendo anche il nostro contribuito. Il quotidiano L’Adige ha oggi pubblicato nella rubrica ‘il dibattito‘, in prima pagina, un testo di Pino MorandiniPer chi desidera i figli rilanciare l’adozione” che qui di seguito volentieri riprendiamo.


Dopo l’introduzione in Italia della fecondazione eterologa tra le tecniche accessibili di procreazione medicalmente assistita, abbiamo più volte registrato il doveroso dibattito e confronto sul profilo e sul senso della generazione umana in cui non sono mancate ambigue similitudini tra adozione ed eterologa, poste frettolosamente come possibili alternative senza riuscire tuttavia a cogliere le loro profonde e radicali diversità: l’eterologa è l’ennesima – forse neppure l’ultima – tra le diverse tecniche disponibili per due adulti che desiderano diventare genitori, l’adozione è invece l’unica via che un minore abbandonato può desiderare e avere per tornare ad essere figlio e non più solo un bambino.

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Per chi desidera i figli rilanciare l’adozione

Il Comitato del Laici per i diritti civili, legalmente supportato dall’avvocato Schuster, ha annunciato azioni giudiziarie nei confronti della Provincia, rea di non garantire adeguatamente il «servizio» di fecondazione eterologa, diversamente da quanto accadrebbe nel restante territorio nazionale. Mi permetto, direttore, di chiederle ospitalità, nella speranza di animare un dibattito franco e sereno su un tema che involge enormi problemi morali e giuridici, quali resistenza o meno di un «diritto» al figlio, l’interesse di questi a conoscere le proprie origini, la differenza abissale tra eterologa e adozione, la (irresponsabilità del genitore biologico, il mercato dei gameti, i rischi di selezione eugenetica …

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Muovo da un punto che presumo comune: l’aspirazione al figlio, desiderio naturalissimo che abita nel cuore di molte coppie e che non ci è dato di giudicare. In quarant’anni di volontariato su queste frontiere, che mi ha insegnato tanto, ho incontrato decine e decine di quelle coppie, riscontrando la profondità, finanche l’angoscia di quel desiderio, nei cui confronti la politica ha sinora palesato scarsa attenzione. Se, come sta accadendo, esso rischia però di trasformarsi in «diritto», la questione si fa assai delicata, considerati i soggetti coinvolti. E qui vengo a un altro punta che, presumo, ci accomuna: la tutela dell’anello più debole della catena, cioè del figlio. Se il diritto ha un senso, quello di difendere i deboli mi pare rientri tra i suoi fini precipui, per cui è da lui che si deve partire.

Mi limiterò a un problema, peraltro fondante: quello dell’etica della responsabilità da parte del genitore biologico. Per essa, nell’accezione resa canonica da M. Weber, ciascuno risponde delle conseguenze prevedibili delle proprie azioni. Ora, nella fecondazione eterologa il cedente (non lo chiamo «donatore» poiché normalmente riceve un compenso, spesso lauto) non assume obbligo alcuno verso il figlio, anzi taglia consapevolmente sin dall’inizio ogni relazione con lui. Il quale, cosa ancor più grave, è spogliato della conoscenza e della relazione con chi gli ha dato origine e pure del sapere «come» è stato procreato, eventi fondamentali per la sua vita, recuperabili solo in parte mediante acquisizioni tardive circa le modalità del suo concepimento e l’identità del padre biologico. Che ne è allora, nella Fivet eterologa, della cennata etica della responsabilità – che dovrebbe fondare la società e la dignità della persona – se detta Fivet assume a propria base proprio quel criterio d’irresponsabilità che nega alla radice quell’etica, tanto più con aggravante del far entrare la procreazione umana nell’area del valore economico alla luce del compenso corrisposto al cedente? È pertanto un vulnus profondo quello inferto dall’eterologa, perché incide sulla relazione primaria e fondante: quella tra genitore e figlio.

Se, infatti, non tutti siamo genitori, tutti siamo figli e questo dice rapporto col genitore e dovere-responsabilità di questo verso quello. A rafforzativo si può citare anche la Costituzione (articolo 30) che appunta in capo ai genitori il dovere di prendersi cura dei figli, anche se «illegittimi». È «prendersi cura» violare nel figlio la certezza dell’identità genitoriale, deprivarlo del rapporto con chi l’ha concepito, dar vita alla dualizzazione del padre, che ricade inevitabilmente sul figlio etile prese con una doppia provenienza, col rischio di alterare il rapporto tra le generazioni? È farsi carico del figlio alimentare in lui una struggente nostalgia delle proprie origini biologiche, quindi del genitore originario? Mi rammenta Telemaco, che aspettava Ulisse per ritrovare se stesso e il proprio destino!

Non rischia di nascondersi dietro a siffatti posizioni l’idea di una pressoché illimitata libertà degli adulti verso i figli, specie se concepiti o neonati? Il bene comune si consegue guadagnando momenti cooperativi tra i consociati o conferendo essi il massimo di libertà possibili per raggiungere i propri scopi personali, magari nell’illusione che ciò possa portare ad un qualche bene comune? Perché il Parlamento non mette mano a una riformi delle adozioni internazionali che le renda più snelle e meno costose e non riavvia quelle interne con un’adeguata politica familiare e natalista, che avrebbe anche il pregio di risollevare l’economia, come molti esperti hanno documentato? Perché non s’incentiva in modo robusto la lotta alle cause della sterilità, atteso il successo che essa ha sortito nelle nazioni in cui è stata avviata?

Pino Morandini

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cover-lema-15-211Riteniamo che con l’introduzione dell’eterologa e la sua gratuita accessibilità si sia consumata un’ulteriore discriminazione nei confronti dei genitori adottivi. Mentre prosegue il dibattito sulle ragioni e sul senso delle tecniche di procreazione, sugli interessi – politici ed economici – in gioco, sui desideri di adulti trasformati in presunti diritti mentre si trascurano i diritti dei bambini abbandonati, con la pubblicazione del n. 15 della rivista “Lemà sabactàni?” ci siamo interrogati sul “desiderio di un figlio” nel confronto tra adozione e fecondazione eterologa.

Non abbiamo tuttavia concentrato le nostre attenzioni sul tema delle pari opportunità e sulla gratuità per tutti i percorsi di genitorialità, bensì ci siamo impegnati per offrire un contributo al dibattito convinti che la generazione adottiva sia una generazione a pieno titolo, se si vuole “sui generis”, in alcun modo privilegiata ed esclusa dal rendere ragione del senso delle relazioni che viene a costituire grazie all’iniziativa di due coniugi che accolgono come loro figlio un bambino abbandonato benché da loro non procreato. L’adozione, così come ogni altro percorso genitoriale, deve esibire il suo senso, le sue finalità, la sua identità in grado di assicurare, per ognuno dei soggetti coinvolti, il rispetto della dignità, della libertà, dell’autentica identità: siamo infatti convinti che ogni equiparazione, assimilazione o contrapposizione tra adozione e diverse vie di procreazione medicalmente assistita, meriti di essere considerata e criticamente valutata. 

Il percorso offerto dal fascicolo grazie ai contributi proposti dagli autori (Casalone, Eusebi, Martino, Reichlin, Chiodi), raccoglie alcuni quesiti, alcune sfide, svolgendo il compito di rendere ragione del senso di quella generazione umana capace di costituire genitori, madri e padri, mentre accoglie figli quali indisponibili doni di cui non si dovrebbe mai essere arroganti proprietari o presuntuosi gestori.

Chi fosse interessato al fascicolo della rivista può visitare la pagina dedicata sul sito di Aibishop.

 



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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