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Dio non è un padrone che mette alla prova.

Se la ascoltiamo bene, la nostra attenzione va subito al terzo servo, quello che ha «ricevuto un solo talento». Magari, nei suoi confronti, ci prende anche un senso quasi di pietà: “poverino, diciamo, ha ricevuto meno degli altri”.

Sì, è vero, che ha ricevuto meno rispetto agli altri due, ma questo non toglie che la somma ricevuta sia comunque altissima. Più o meno potrebbe essere intorno al milione di euro. Non poco, dunque!

Questo solo per dire che siamo fuori strada.

In realtà, è vero, è proprio questo servo che sta al centro della parabola. Ma di lui non dobbiamo considerare quanto ha ricevuto …

Al centro del racconto c’è la relazione di questo servo con il suo ‘padrone’, il suo signore.

Questo ‘signore’, partendo per un lungo viaggio, affida ai suoi servi tutti i suoi beni, «secondo le capacità di ciascuno». Questo ‘padrone’, dunque, è un padrone strano … Affida tutto quello che ha ai suoi servi. Si fida di loro.

Dovrà stare via per molto tempo e proprio per questo fa un grande atto di fiducia. Consegna loro tutto quello che ha, tutti i suoi beni.

Il terzo servo che cosa fa? «Andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone».

È un comportamento strano, sorprendente, e nemmeno tanto facile da interpretare. Perché quest’uomo nasconde il denaro ricevuto in una buca nel terreno? Perché ‘nasconde’ questo talento?

Potremmo fare molte ipotesi, ma è il racconto stesso che ci svela la risposta a questa domanda. Quando, alla fine, quest’ultimo servo viene chiamato dal suo signore, si presenta a lui e gli dice: «so che sei un uomo duro».

È un atto di accusa molto forte. E lo spiega così: «mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso». “Sei un uomo prepotente, gli dice, un uomo ingiusto, un uomo che approfitta della sua forza. Non sei affidabile”.

Vedete, nelle parole di questo servo, apparentemente così sicure, c’è invece un gioco molto pericoloso. C’è una profonda sfiducia nei confronti del suo signore. «Ho avuto paura».

Qui scatta l’autogiustificazione, la difesa di sé. “Davanti a un uomo prepotente e ingiusto, come sei tu, un uomo duro, non si può che avere paura” dice questo servo. “Ho avuto paura della tua ‘punizione’, del tuo ‘castigo’, della tua collera, della tua ‘ingiustizia’.

“Allora”, dice ancora, «sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». Notate, in queste parole, il ritorno insistente di quel ‘tuo’ – il ‘tuo’ talento, gli dice, e poi: «ecco ciò che è tuo». Quel talento, quella enorme somma di denaro, il ‘signore’ gliela aveva affidata. Dunque l’aveva condivisa con lui. Gliela aveva messa tra le mani. In qualche modo era diventata anche ‘sua’.

E, invece, questo servo dice: il ‘tuo’ talento. E, quasi con un gesto di sfida, gli dice alla fine: «ecco ciò che è tuo».

Questo servo ha davvero un rapporto da servo con il suo padrone.

È un rapporto ‘mercenario’, calcolatore: “mi hai donato tanto, ti restituisco tanto. Che cosa vuoi da me?”.

È chiaro allora perché quest’uomo aveva nascosto quello che gli era stato affidato: non si fidava del suo ‘padrone’. Non si fidava, dunque di quello che gli era stato affidato.

A questo punto mi sembra evidente come questo terzo ‘servo’ sia una descrizione formidabile di un certo tipo di rapporto che possiamo avere con Dio. È un rapporto di sospetto, di paura, di sfiducia.

Per questo diventa un rapporto di ‘contrattazione’, da mercenario. È un rapporto di assoluta distanza. Non è nemmeno un rapporto.

In fondo, dietro le parole di questo servo, c’è una segreta, inconfessabile invidia. “Vorrei essere come te, ma non posso. Allora quello che è tuo e che tu mi hai affidato, te lo restituisco”.

Non c’è nessuna logica del dono, in questo servo. Prevale, totalmente, una logica di puro mercato.

Non a caso il ‘padrone’, rispondendogli, gli fa notare: “allora tu” «avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse».

Con queste parole, il ‘padrone’ rivela la menzogna di quel suo servo: se davvero avevi paura di perdere il denaro, se davvero avevi paura di me, non dovevi nasconderlo e lasciarlo lì a ‘marcire’.

Ecco, questo servo è l’immagine di un rapporto rovesciato con Dio. È il rapporto dell’adamo peccatore.

Questa parabola rimanda al capitolo 3 della Genesi, che racconta del sospetto su Dio e della paura di Lui che facilmente si insinua nella nostra vita, attraverso scelte di calcolo.

La perdita della fiducia in Dio si realizza nei rapporti umani in cui perdiamo la logica, il gusto, la bellezza del dono.

Tutto diventa fonte di sospetti, di paura, di sfiducia.

Questo è il peccato: vedere in Dio un padrone che ci mette alla prova.

Non riconoscere i doni che Lui ci ha affidato. Non saper vedere nelle cose se non delle cose. Non sapere più vedere che nelle cose si nasconde un dono e cioè un atto d’amore, un atto di fiducia, da parte di Colui che ce lo ha affidato.

Non è così anche per noi, oggi?

Non rischiamo anche noi di vivere la nostra vita con la mentalità della ‘rapina’?

Non rischiamo di vivere nella paura e, così, di perdere il gusto e il sapore del dono?

La nostra vita è piena di doni, eppure è così facile non vederli.

Chi di noi, per esempio, ma solo per fare un esempio banalissimo, è contento di poter camminare, non considera questo come una cosa scontata, dovuta? Non c’è nulla di scontato’ in tutto ciò!

Allora, noi possiamo vivere nella paura di perdere oppure possiamo vivere come se in tutto ciò non ci fosse un dono di amore che ci è affidato.

Se invece sappiamo aprire gli occhi e riconoscere che ogni cosa è più di un semplice oggetto, ma è un ‘oggetto’ che nasconde un dono e che ci rivela il Donatore, allora riscopriamo il gusto della vita. Allora sapendo vedere nelle cose un dono, sappiamo vedere in essere la traccia del Donatore!

Se invece perdiamo il gusto, il dono diventa un danno, il dono ricevuto diventa un veleno.

Se viviamo così, allora davvero perdiamo tutto.

Allora, nella parabola, le parole finali di quel ‘signore’ non sono affatto un castigo.

Sono parole che ci rivelano che se viviamo il nostro rapporto con Dio nella sfiducia, nel sospetto, nella paura, allora davvero perdiamo tutto. Ci scaviamo la fossa con le nostre mani.

Perdiamo, da noi stessi, la bellezza della vita, con i suoi tanti più o meno piccoli doni.

A questa fiducia radicale, dunque, ci invita questa splendida parabola. La fiducia del ‘servi’ che accolgono il dono di Dio e lo rendono fecondo!

don Maurizio



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