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Educare i desideri e le relazioni

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la I domenica di Quaresima (10/3/19): dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,1-13), dai brani tratti dal libro del Deuteronòmio (Dt 26,4-10) e dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 10,8-13).


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Già mercoledì scorso abbiamo cominciato il nostro cammino quaresimale, ma oggi celebriamo la prima domenica della Quaresima.

Quaresima significa ‘quaranta’.

Come Gesù si ferma nel deserto, «per quaranta giorni, guidato dallo Spirito», e nello stesso tempo «tentato dal diavolo», così anche per noi. Questi quaranta giorni rivelano il senso di tutta la nostra vita: guidati dallo Spirito, perché battezzati nel Signore Gesù, e però anche tentati dal diavolo, perché esposti al male, intrappolati nei legacci dell’egoismo, della menzogna, della violenza.

Il deserto è proprio un simbolo della vita: è il luogo dell’esperienza profonda dell’incontro con Dio, con lo Spirito Santo che è come il ‘respiro’ della nostra vita, ed è anche il luogo della prova, perfino della tentazione.

In quei quaranta giorni nel deserto, che tanto ci ricordano i quaranta anni del popolo ebreo nel deserto, Gesù «non mangiò nulla». Così, tradizionalmente per noi, la Quaresima è un tempo di ‘penitenza’, di sacrificio.

Non è una parola di ‘moda’, oggi. Anzi, i più anziani si lamentano soprattutto dei più giovani, dicendo che non sanno più fare ‘sacrifici’. Ma ciascuno, qui, deve guardare a sé: chi, tra noi, ad esempio, ha fatto il ‘digiuno’, saltando un pasto, il Mercoledì delle Ceneri?

In ogni caso, che cosa significa penitenza, sacrificio?

È l’esperienza della ‘mancanza’, che mette alla prova il nostro desiderio. Non mangiando, alla fine, Gesù «ebbe fame».

Ecco, pensiamo che cosa è la fame. È l’esperienza forte del cibo che manca, ed è necessario (invece) alla nostra vita. La nostra vita è ricca di queste esperienze di mancanza. Ogni nostro desiderio, mentre tende a qualcosa, è allo stesso tempo esperienza di mancanza. Desideriamo, perché tendiamo a qualcosa che ci manca. C’è un contrasto profondo nel desiderio.

Ecco, la penitenza, il digiuno, ci rivelano questo contrasto, questa lacerazione, questa tensione, che abita la nostra vita, sempre: l’aspirazione ad un bene che ci manca.

Questa è una prima opportunità, per noi, in questa Quaresima. Ricordarci che, per quanto noi pensiamo di riempire la nostra vita, di soddisfare e di colmare tutti i nostri desideri, qualcosa sempre ci manca.

Anche Gesù «ebbe fame. È proprio in questo tempo, difficile, che si insinua la tentazione.

«Allora il diavolo gli disse…».

‘Diavolo’, nella lingua greca, significa ‘divisore’. È diabolico tutto ciò che divide, separa, isola per contrapporre. È il contrario di ‘simbolico’, che, invece, crea legami, oltre le divisioni, crea relazioni e trova comunione.

Ecco, anche per Gesù il diavolo si insinua, come un serpente che striscia, in modo subdolo.

È la prima tentazione: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». La menzogna si riveste sempre di una patina di verità, altrimenti chi le crederebbe? Sarebbe troppo evidente che è falsa.

L’abilità del divisore sta nel presentare una verità, rovesciandola e distorcendola. È vero che Gesù è il Figlio di Dio. Ebbene, il diavolo suggerisce: «Se tu sei, come sei,Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Questo significa: usa il tuo potere per riempirti la bocca, per saziare ogni tuo desiderio. “Che cosa ci vuole, se tu sei il Figlio di Dio, a dire «a questa pietra che diventi pane»? E poi cosa c’è di male nel trasformare una pietra in pane? Lo puoi, fallo!”.

Vedete com’è abile la tentazione diabolica?

La risposta di Gesù svela la menzogna della tentazione. Noi possiamo imparare qualcosa anche dalla fame, dalla mancanza che ‘affligge’ il nostro desiderio. Rifacendosi alla Scrittura Gesù risponde: «Non di solo pane vivrà l’uomo» e poi, così continua la Scrittura, «ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

Il rischio, quando abbiamo la bocca piena, è di fermarci lì. Il pericolo è di pensare che noi bastiamo a noi stessi, che non abbiamo ‘bisogno’ di Dio, che possiamo ridurlo a una bella ‘favola’, che andava bene nei giorni tristi, nei giorni della fame. Ma ora non ne abbiamo più bisogno.

Come vedete, è una tentazione molto forte, oggi. Il rischio di chi ha la pancia piena, è di dimenticare il desiderio di Dio. È la tentazione di non lasciare più spazio ad una Parola ‘altra’, che ci raggiunge e ci tocca profondamente.

È una Parola molto vicina a noi, invece; come dice bene la seconda lettura, dalla lettera di Paolo ai Romani. È la tentazione che viene illustrata nella prima lettura dal Deuteronomio.

Per evitare questo rischio, il ‘rito’ del Deuteronomio, prescriveva che, una volta giunti nella terra promessa, ogni ebreo portasse al tempio, al sacerdote, una cesta con dentro le ‘primizie’ del raccolto: «Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato».

Quando noi lavoriamo, ci impegniamo, ed è bene che sia così, la tentazione è di dimenticare che tutto è dono, tutto è grazia. Siamo tentati di credere che, invece, tutto è frutto solo del nostro impegno. Dimentichiamo così, che la vita è dono, è grazia.

La seconda tentazione – astutissima – è quella del ‘potere’ di abusare degli altri nelle nostre relazioni con loro.

«In un istante» il diavolo mostra a Gesù «tutti i regni della terra» e gli insinua: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria». Questa è la tentazione della politica, e lo vediamo bene anche oggi, in Italia e ovunque. È la tentazione di approfittare del proprio potere per approfittare degli altri.

Ma è una tentazione che si insinua nella vita di tutti noi, tentati come siamo di abusare del nostro potere – magari anche piccolo! – per metterci in mostra, per mostrare noi stessi, per esibirci ed essere ‘glorificati’ dagli altri. Così non ci mettiamo a servizio, gli uni degli altri, ma facciamo gli altri servi di noi stessi, a senso unico.

L’abuso del proprio potere è un pericolo gravissimo, tanto più è grande il nostro potere.

Gesù risponde al divisore: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Ogni idolo, anche l’abuso del potere, è la maschera di Dio. Ti promette felicità, ma poi ti delude, ti lascia con un pugno di mosche in mano, quando tutto, inevitabilmente, cessa e finisce.

L’idolo è il carnevale dell’io: dietro la maschera degli idoli, si nasconde il proprio io. Così, noi diventiamo idoli di noi stessi.

Dio non è un idolo. Dio è libertà, è amore che salva, è dono di pace e di speranza. ‘Servire Dio’ significa diventare liberi, figli, non più servi, amati, non più perseguitati, per grazia!

La terza tentazione, la più sottile, rivela la posta in gioco delle altre due.

Il diavolo conduce Gesù «nel posto più alto del tempio»È il luogo sacro, è il luogo della presenza di Dio. E poi gli dice: “Buttati giù”. Anche qui: “usa del tuo potere di Figlio, tanto Dio ti salverà”. Qui il diavolo, addirittura, cita la Scrittura.

È il culmine della menzogna che si serve della Parola, per tradire la Parola.

Quante volte anche noi siamo tentati di ‘usare’ le cose di Dio, per ottenere di soddisfare tutte le nostre pretese!

“Usa Dio per i tuoi scopi”: questa è la tentazione!

A questa Gesù risponde con fermezza, citando, anche Lui, per la terza volta le Scritture: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Mettere alla prova significa: non fidarsi, significa mettere a Dio delle condizioni: “Mi fido di te, ma prima dammi quello che dico io”.

Gesù, invece, si affida.

Così comincia la sua missione, che lo porterà alla ‘croce’, al «momento fissato», quello nel quale la prova diventerà ancora più oscura, toccando il suo culmine.

Come Gesù, a noi è chiesto, in questa Quaresima, di camminare nella fede, di affidarci alla Parola, di lasciare educare i nostri desideri e le nostre relazioni dalla grazia della Parola che ci salva!

don Maurizio



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