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Entrare nella ‘logica’ della carità e dell’amore.

C’è una parola molto sorprendente, nella seconda lettura. San Paolo scrive agli abitanti di Filippi, rivolgendosi ai cristiani di quella comunità: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso». A prenderla sul serio, questa Parola è molto difficile. Addirittura ci può sembrare impossibile.


Come faccio a considerare tutti gli altri «superiori» a me stesso?

Questo non mi costringe, se voglio farlo davvero, a diventare ipocrita e bugiardo?

Eppure, questa è la logica dell’amore.

La tentazione, di tutti noi, è invece quella di cadere nello spirito della rivalità, in cui ci mettiamo in competizione sfrenata e dobbiamo a tutti i costi vincere, oppure nello spirito di vanagloria, nel quale ci compiacciamo di noi stessi, delle nostre doti e qualità … che magari vediamo solo noi!

Per rovesciare questa inclinazione, che ci è così spontanea, Paolo ci chiede di guardare a Gesù che, «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» … «facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».

Solo se guardiamo a Gesù riusciamo a entrare nella ‘logica’ della carità e dell’amore: i suoi doni, lui non li ha considerati un privilegio, ma appunto un dono da condividere con gli altri, un dono al servizio della gioia di tutti!

Gesù non ha trattenuto gelosamente per sé, ma ha donato a noi la sua grazia abbondante, facendola diventare sorgente di un nuovo ‘stile’ di relazioni. Quando uno vuole trattenere per sé quel che ha ricevuto, finisce per perderlo.

Se, invece, lo condivide, lo dona, lo mette a disposizione di tutti, lo conserva proprio come dono!

Questa Parola ci può aiutare a meglio a comprendere il Vangelo di oggi.

È una parabola rivolta «ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo».

Gesù parla a coloro che, nella comunità, avevano un ruolo di prestigio, una responsabilità di guida e di comando, un posto di potere, un primato.

In questa situazione, allora, come anche oggi, la tentazione è quella di presumere di noi stessi, di ritenerci migliori degli altri, di cadere nella rivalità e nella vanagloria.

In questo modo, noi ci chiudiamo al dono di Dio, alla sua gioia eccedente e meravigliosa. Perdiamo anche quello che crediamo di avere. Diventiamo ciechi davanti a noi stessi.

Gesù racconta di due figli. Vengono tutti e due chiamati dal padre «a lavorare nella vigna».

Anche la scorsa domenica il Vangelo presentava una parabola che riguardava i lavoratori nella vigna del Signore. L’immagine della vigna era frequente nei profeti per indicare la cura con cui Dio si faceva carico del suo popolo.

Il primo dei due figli, in un primo momento, al padre, risponde che non ne ha voglia, ma poi, pentendosi, ci va.

Il secondo di questi (due) figli inizialmente risponde che sarebbe andato a lavorare nella vigna, ma poi non ci va.

Quello che qui appare evidente è anzitutto il contrasto tra le parole e le opere.

Uno a parole dice di no, ma poi concretamente dice di sì. L’altro a parole dice di sì, ma poi in realtà dice di no, con le sue scelte concrete.

E quante volte, anche a noi capita di osservare questa non corrispondenza tra parole e azioni, tra discorsi e atti. Succede con gran facilità. Si fa presto a promettere, con la bocca, ma spesso le opere dicono il contrario.

È l’agire quello che conta, alla fine!

Ma c’è anche qualcosa d’altro nella parabola.

C’è un dramma.

Forse, il primo figlio, quando dice di non aver voglia di rispondere alla chiamata del padre, davvero è deciso a non andare. Forse ha deciso questo perché ha paura dell’impegno. Preferisce assecondare le sue ‘voglie’, le piccole voglie che, a volte, ci catturano e ci fanno diventare capricciosi, come bambini.

Ebbene, questo figlio a un certo punto, dopo aver detto di no, si pente e decide di rispondere, con gratitudine, alla chiamata e al dono del padre.

Qui sta il dramma: a volte, nella nostra vita, decidiamo di ‘rovesciare’ il senso e la direzione del nostro cammino.

Lo dice chiaramente anche il profeta Ezechiele, nella prima lettura: «E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso … egli certo vivrà e non morirà».

Questo è quanto dice il Signore Dio. Questa è la ‘logica’ di Dio: non è quella di un padrone che fa i conti, facendosi pagare fino all’ultimo centesimo, se abbiamo un debito. Chi si converte, chi risponde alla chiamata e al dono di Dio, viene perdonato e partecipa della cura, della grazia di Dio per il suo popolo.

Purtroppo, accade il contrario per l’altro figlio.

È un autentico dramma, anche per lui. Inizialmente risponde al padre, accoglie la sua chiamata, il suo appello. Ma poi si rifiuta.

Lo dice anche il profeta Ezechiele, ancora nella prima lettura: «Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso».

Alla luce del Vangelo, queste parole profetiche acquistano una nuova luce.

Non ci parlano solo della nostra responsabilità personale. Mettono in luce che, all’origine della nostra risposta, c’è un appello, una chiamata, un dono, una grazia ….

È la grazia del regno di Dio

Chi presume di sé stesso, perde questa grazia. Cade nell’atteggiamento della rapina, del furto, di chi vuole avere tutto per sé. Così, questi, perde il dono ricevuto.

Gesù si rivolge proprio ai capi religiosi e a quelli politici.

“Voi, dice, avete visto Giovanni – e Giovanni annuncia Gesù! – «e non gli avete creduto», non lo avete ascoltato, non avete accolto il suo invito alla conversione. Siete troppo sicuri di voi stessi. Il dono di Dio lo avete trasformato in privilegio e, così, lo perdete!”.

Invece, «i pubblicani e le prostitute», quelli che inizialmente, nella vita, hanno rifiutato di ascoltare la parola di Giovanni – ultimamente il Vangelo! – alla fine «gli hanno creduto».

«Pubblicani» e «prostitute» sono due categorie evidenti di peccato – non dimentichiamo che lo stesso Matteo era stato pubblicano! Ma se questi accolgono il Vangelo, allora loro – non gli altri! – compiono davvero «la volontà del padre. Così «pubblicani» e «prostitute» «passano avanti nel regno di Dio».

Cioè: “loro vi entrano e voi no. Voi con la vostra arroganza e presunzione alla fine perdete il dono di Dio”.

È l’invito, anche per noi, a lasciarci convertire all’appello di grazia del Signore, a lavorare nella sua vigna, a diventare collaboratori della sua cura per la Chiesa e per tutta l’umanità!

Siamo sempre in tempo!

don Maurizio



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