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Eucarestia: memoria viva dell’alleanza, della comunione tra noi e Dio.

Oggi celebriamo la solennità del ‘Corpus Domini’, il Corpo e Sangue di Cristo. Così si concludono le feste che seguono la Pentecoste.


A partire dalla prossima domenica riprenderemo dunque il tempo ordinario.

La solennità del Corpus Domini è un’occasione preziosissima per meditare su quello che stiamo celebrando ora, L’Eucarestia, la Messa. È l’atto più importante della nostra fede di cristiani.

È nell’Eucarestia che noi siamo ‘convocati’ come popolo di Dio. È in questo rito che si rivela la nostra identità di credenti. Per questo, dall’inizio e lungo i secoli della nostra storia, i cristiani si sono riconosciuti come tali proprio partecipando all’Eucarestia.

Fino a non molti anni fa, la domenica, le nostre chiese si riempivano di gente. Oggi non è più così. E lo sarà sempre meno, a meno che non succeda qualcosa di imprevedibile.

E, dobbiamo aggiungerlo, anche tra quelli che sono presenti, molti non partecipano o partecipano con difficoltà o male. Qualcuno ‘viene a Messa’ solo aspettando che finisca o sperando che sia il più breve possibile. Molti si mettono in fondo alla chiesa, comunque ben lontani dal presbiterio, dal luogo dove si celebra.

Spesso, nelle nostre chiese, siamo dispersi, lontani gli uni dagli altri. Anche fisicamente diamo proprio l’impressione della dispersione e della lontananza. Qualcuno viene a Messa quasi solo per l’omelia, perché la ritiene l’unica parte veramente nuova, in un rito che per il resto si ripete sempre uguale.

Altri, invece, si stancano subito dell’omelia: la cosa più importante sembra che debba essere breve.

Ci sono, poi, oggi, molti cristiani che rimpiangono i tempi della Messa in latino, perché, dicono, così appare tutto il clima di ‘mistero’ della Messa. Vanno a Messa proprio perché non vogliono capire, verrebbe da dire.

In questo modo ‘assolutizzano’ un modo di celebrare che nella Chiesa, ha conosciuto molte forme, riti e lingue diverse.

Se poi pensiamo che gli adolescenti, i giovani, e i giovani adulti si sono quasi tutti allontanati dalla Messa, magari dicendo ancora di credere, la misura sembra colma.

Tutto questo sembrerebbe un panorama sconcertante e demoralizzante.

Forse, però, un tempo, che è chiaramente di transizione, può diventare una opportunità forte per le nostre comunità cristiane, per le nostre chiese.

Forse in questa ‘crisi’ si nasconde un’occasione.

Molto, o tutto, dipende da noi, dalla nostra risposta al dono di Dio. Questo rimane, sempre fedele, ma non si sostituisce alla risposta della nostra libertà.

Il modo di celebrare l’Eucarestia, ancora più che il numero delle persone che vi partecipano, dice la vitalità e la qualità nelle nostre comunità cristiane.

Non dipende affatto tutto dal prete, da come celebra e da come predica. Certo, il modo di celebrare e di predicare è molto importante. Ma non si riduce tutto qui.

Se manca una comunità che si lascia convocare, un popolo che si riunisce, viene meno la Chiesa. È l’Eucarestia che fa la Chiesa. È Gesù che ci ha chiesto: «fate questo in memoria di me». Quando noi ci riuniamo a celebrare l’Eucarestia obbediamo al suo desiderio, al suo invito, al suo comando, che è un comando che nasce dall’amore.

Lo abbiamo ascoltato nel Vangelo di Marco.

Siamo al «primo giorno degli azzimi», il giorno in cui gli ebrei iniziavano a festeggiare la Pasqua, smettendo di mangiare il pane normale e cominciando a mangiare pane senza lievito, a ricordo del giorno in cui erano partiti in fretta dall’Egitto.

Gesù, come tutti gli ebrei, vuole celebrare la Pasqua in ricordo di quando il Signore aveva liberato il popolo di Israele dalla schiavitù dell’Egitto.

Allora manda «due dei suoi discepoli» in città, a Gerusalemme, da un amico che metterà a loro disposizione «al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta».

C’è qualcosa di molto solenne in queste parole. È come se tutto fosse già preordinato: «lì preparate la cena per noi».

I discepoli, nota l’evangelista, «trovarono come aveva detto loro»e fecero come aveva chiesto.

È proprio in quella Cena, la cena pasquale ebraica, che all’improvviso, Gesù compie un gesto incredibile, straordinario e affascinante.

Ci siamo molto abituati, ma dovremmo essere sempre stupiti e sorpresi dai gesti e dalle parole di Gesù, in quella sera. Sono i gesti e le parole che, da due millenni, i cristiani in tutto il mondo ripetono «obbedienti al comando del Salvatore». Sono i gesti e le parole che ogni prete ripete, in memoria di Gesù, rendendo di nuovo presente, ogni volta, quel che Gesù fece in quella Cena.

Gesù prende il pane, recita su di esso la benedizione, ringraziando Dio perché quel pane, frutto del lavoro dell’uomo, è anche frutto della terra ed è dunque dono di Dio.

Così facciamo anche noi quando celebriamo l’Eucarestia.

All’offertorio, noi benediciamo il pane e il vino, rendiamo grazie per questo dono di Dio, che è però anche il frutto del nostro lavoro.

Fatica e grazia sono inscindibilmente mescolati tra loro. Questo è quello che offriamo a Dio, perché Lui ne faccia quello che vuole Gesù.

Gesù stesso, in quell’Ultima Cena,«spezzò» il pane. È un gesto semplice, ma profondo e rivelatore. Nell’atto di ‘spezzare’ il pane – pensate, questo è stato il primo nome della Messa, lo spezzare il pane – Gesù simboleggia quello che gli altri faranno a lui il giorno dopo: lo uccideranno, gli spezzeranno la vita!

Così, in quell’atto, Gesù manifesta una cosa stupenda: non sono gli altri che gli ‘rubano’ la vita, ma è lui che la offre, la dona, in anticipo.

Poi Gesù dà ai discepoli questo ‘pane spezzato’. Lo distribuisce lui stesso, a tutti, perché ne mangino.

Gesù accompagna questo gesto con delle parole bellissime, che dicono tutta la verità di quei gesti: «Prendete, questo è il mio corpo». È come se Gesù dicesse: questo pane è il mio corpo, sono io stesso nel donarmi a voi! Questo pane sono io!

Ripete poi lo stesso rito con il calice del vino: «Questo è il mio sangue dell’alleanza…».

Il dono di Gesù arriva fino al sacrificio di sé, al dono della vita: «versato per molti», cioè per le moltitudini, per i popoli, per tutti.

È un dono universale. Il dono di Dio all’umanità intera!

In questo atto, come ricorda la seconda lettura, dalla lettera agli Ebrei, Gesù stabilisce «un’alleanza nuova», definitiva, per sempre, tra noi e Dio.

Offrendo la sua vita per noi, «se stesso», egli ci santifica, ci redime dal nostro stesso rifiuto di Dio, che è il peccato.

La morte di Gesù è un atto di comunione, di riconciliazione, di perdono, di pace.

È quello che ricorda la prima lettura, dal libro dell’Esodo.

L’alleanza tra il popolo e il Signore viene celebrata offrendo, ai piedi del Sinai, «sacrifici di comunione, per il Signore».

Questo è l’Eucarestia: il memoriale, la memoria viva, dell’alleanza, della comunione tra noi e Dio. Questa comunione ‘verticale’ crea la comunione tra noi, una comunione orizzontale.

Il dono di Dio, nell’Eucarestia, ci chiede di vivere come un popolo di fratelli, riconciliati tra noi, come popolo dell’alleanza.

Per questo l’Eucarestia non termina con la fine del rito: è un dono che, per grazia, ci impegna a essere testimoni di quanto abbiamo ricevuto!

don Maurizio



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