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Gratuità, bontà e misericordia che sfugge ad ogni calcolo: l’economia della Grazia di Dio.

La pagina di Vangelo proposta dalla liturgia questa domenica, ad una prima superficiale lettura, non ci può che apparire sconcertante.


Sconcertante lo è, ma non nel senso che ci presenta un Dio ‘troppo misericordioso’ e quindi ‘ingiusto’.

Questa, in effetti, è l’obiezione a cui si prestano molti discorsi troppo ‘melensi’, dolciastri, sulla misericordia. Ma questa, soprattutto, è l’obiezione di molti cristiani che fanno fatica – a parole! – ad accettare la misericordia, in nome dell’esigenza della giustizia.

Gli uni e gli altri, quelli troppo ‘flessibili’ e quelli troppo ‘rigidi’, contrappongono la giustizia e la misericordia o cercano un equilibrio impossibile da trovare, se l’idea della giustizia e anche quella della misericordia sono solo il frutto, parziale, di alcune ‘speculazioni’ umane, distorte e riduttive.

La giustizia non può ridursi, semplicemente, a ‘dare a ciascuno il suo’, anche se non può prescindere da questa esigenza di ‘uguaglianza’.

La misericordia non può ridursi, semplicemente, a un ‘buonismo’ ingenuo e deresponsabilizzante, che non tiene conto della relazione che ‘la grazia’ – di qualcuno a qualcun altro – necessariamente suppone.

Ecco, sì, questa parabola è sconcertante, nel senso bello, però. È una parabola sorprendente, non scontata.

Ci parla di un Dio che è davvero ‘altissimo’.

Lo dice anche il profeta Isaia, con parole stupende, che sono tra l’altro proprio riferite alla misericordia e al perdono di Dio: «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie».

Queste parole bellissime non giustificano un Dio ‘assurdo’ e arbitrario, quasi come se egli fosse un despota, illuminato e benigno, certo, ma sempre despota. Queste parole sottolineano l’identità e la differenza di Dio e il suo rapporto con noi: «le mie vie» – sottolineiamo «le mie»! – «non sono» «le vostre vie».

Questo però vale per tutte le relazioni, a cominciare da quelle umane. Noi non possiamo mai pretendere di conoscere tutto dell’altro, anche quando lo conosciamo da tanti anni, come può accadere nella relazione di una coppia, marito e moglie, oppure nella relazione tra due amici di vecchia data.

L’altro, come tale, ci sorprende sempre e il bello di tutte le relazioni è di accettare la ‘sfida’ di questa diversità, rendendola occasione di incontro e di arricchimento reciproco.

Ancora, dice Isaia, a nome di Dio: «Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie …».

Certe volte, guardando il cielo, magari in certe giornate belle, luminose, limpide, verso l’imbrunire, abbiamo davvero l’impressione che il cielo, che ci sovrasta, come se fosse una cupola, in realtà è profondo, come un abisso che va lontano, lontano …

La misericordia, la grazia di Dio non sono certo lontane da noi. Non sarebbero per noi!

Al contrario, mentre ci toccano, da vicino, ci appaiono immensamente e infinitamente sorprendenti. E quando poi le accogliamo, la grazia e la misericordia, ci appaiono immensamente desiderabili e ‘corrispondenti’, sorprendentemente, alle nostre attese più profonde!

Così è per questa nostra parabola.

Qui giustizia e misericordia – o grazia, bontà – sembrano confliggere.

Ma questo accade solo se non siamo disposti ad accogliere la bellezza e la sorprendente novità di questa Parola, per lasciarci istruire da essa, per essere veramente discepoli di Gesù.

L’obiezione fondamentale che siamo portati a rivolgere al racconto di Gesù è questa: “questo padrone è ingiusto perché ai primi lavoratori, quelli che hanno sopportato «il caldo» e «il peso» di una dura «giornata» di lavoro, iniziata «all’alba», ha dato lo stesso ‘stipendio’ di quelli che sono stati sulla piazza tutto il giorno ad aspettare un lavoro” – magari a bighellonare, come sfaccendati.

Questa è proprio l’obiezione dei primi lavoratori: “agli altri, che «hanno lavorato un’ora soltanto» hai riservato lo stesso trattamento che hai avuto per noi, che abbiamo lavorato tutto il giorno”.

Sentiamo dietro questa mormorazione – questo è il nome del peccato, uno dei nomi del peccato, nel linguaggio biblico! – tante nostre obiezioni, proteste e mormorazioni contro Dio.

Come quando diciamo: “Ah, non ci sarà mai giustizia! Questo qui, che nella vita ha fatto il furbo, a un certo punto – alla fine – dovrà pur pagare!”.

Dietro queste obiezioni si nascondono un risentimento e un desiderio di vendetta molto pericolosi, che ci fanno vivere male, molto male.

Inoltre, nessuno di noi dovrà ‘pagare’ per quello che ha fatto!

Se dovessimo ‘pagare’ risulteremmo tutti – ma proprio tutti! – debitori, dinnanzi a Dio e non certo creditori! Nessuno di noi avrebbe da rivendicare una «paga», uno ‘stipendio’, un merito, davanti a Lui.

Questa è un’idea ’troppo umana’ di Dio.

È come se noi pretendessimo di farci un Dio a nostra immagine e somiglianza, rovesciando il nostro rapporto con Lui. Siamo noi a sua immagine e somiglianza, non Lui a nostra immagine e somiglianza!

Che cosa ci dice questa bellissima parabola, in modo tanto sconvolgente?

Questa parola di Gesù ci dice che Dio è grazia, gratuità, misericordia! E ci dice che questa grazia è sproporzionata, è eccessiva, è eccedente, nel senso che è proprio una grazia, che sfugge ai nostri calcoli economici.

Il ‘Vangelo’ è proprio l’annuncio di questa ‘economia’ della grazia.

La grazia attraversa tutta questa parabola, dal principio alla fine e alla fine rivela tutta la sua sorprendente verità. È una grazia che ci responsabilizza, a partire dal dono che abbiamo ricevuto, tutti.

Quelli che sono stati chiamati «all’alba», sono appunto chiamati. All’origine del loro impegno c’era una chiamata, un dono, una grazia.

Colui che chiama si accorda con questi, «per un denaro al giorno». La grazia rivela e stabilisce un’alleanza, un accordo, un patto.

La grazia di questa alleanza è all’origine dell’impegno di questi lavoratori, dei primi quanto degli ultimi. L’impegno a lavorare è la risposta a questa grazia che sta all’origine.

Ciò che ci disturba, però, è l’’ingiustizia’ tra i primi e gli ultimi.

C’è infatti, nel racconto della parabola, una voluta esagerazione, c’è una sproporzione: agli ultimi è dato quello che era stato pattuito con i primi e questo, ai primi, sembra un’ingiustizia.

Questa ‘ingiustizia’ in realtà rivela proprio la grazia e cambia la nostra idea astratta di giustizia.

«Non posso fare delle mie cose quello che voglio?».

Questa parola non rivela affatto l’ingiustizia, o peggio, il dispotismo (benevolo) di Dio. Rivela proprio la sua eccedente bontà e misericordia.

Ma questa bontà/grazia ci impegna, chiede la risposta nostra, ci rende responsabili. Non è una ‘sanatoria’ facile che giustifica il male!

È un dono di cui ci verrà chiesto conto.

Responsabili della grazia ricevuta: questo è l’annuncio del Vangelo di Gesù. Questa è la ‘giustizia’ della grazia di Dio!

don Maurizio



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