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Il Corpo di Gesù ci rigenera, ci ricostruisce: accoglierlo ci rende capaci di amare.

Gesù ha preparato per noi un alimento Celeste, il Suo Corpo e il Suo Sangue: questo dono ci fa presente che la nostra vita non può limitarsi a vivere senza questa dimensione eterna.
Tutti noi abbiamo bisogno di un cibo che alimenti il nostro Spirito. Come gli apostoli nel Vangelo di questa domenica, anche noi prepariamo la sala, ma è Cristo che ci dona sé stesso, ci dà il nutrimento di vita.
Così, è una Grazia se ci rendiamo conto di questa fame profonda, perché spesso viviamo alla superficie delle cose, attribuendo la causa delle sofferenze dell’uomo al fatto che non ha denaro sufficiente, che la moglie o il marito è in quel modo, che non ha un lavoro, che è solo.
Tutto vero, perché sono tante le cose che ci fanno soffrire, ma la nostra vera sofferenza sta ad un livello molto più profondo. C’è un vuoto che non si potrà mai riempiere con le nostre risorse: Cristo conosce bene questo nostro vuoto. È il vuoto del non capire “perché”, il vuoto dell’ingiustizia, il vuoto frutto di scelte sbagliate o del peccato.
Ricevere il Suo Corpo ci rigenera interiormente, ci ricostruisce: accoglierlo in noi ci rende creature capaci di amare e di donarci, come Lui si dona a noi.
Non possiamo renderci conto di quanto grande sia questo dono: la mistica Marthe Robin si nutrì per anni della sola eucarestia. Questo “cibo del Cielo” le consentì di aiutare migliaia di persone che accorrevano a lei anche solo per un consiglio, malgrado fosse per decenni bloccata a letto e costretta al buio dalla sua malattia.
Lei ricevette questa grazia speciale perché anche noi potessimo comprendere che, con questo cibo di vita, nulla più ci manca: “Corpus Christi, Intra vulnera tua absconde me. Ne permittas me separari a Te” (Nelle tue piaghe, nascondimi. Non permettere che io sia separato da Te).
don Antonio


L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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