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Il tempo degli umani in vendita non è finito.

Marina Terragni nella rubrica “Al Limite” proposta sul quotidiano Avvenire, ha ieri pubblicato un interessante testo dedicato alla libertà e al “corpo delle donne” intitolato “il corpo è mio. E non è mio” che qui di seguito volentieri riproponiamo accompagnato da una nostra breve riflessione.


il corpo è mio. E non è mio” di Marina Terragni

marina-terragniUna delle obiezioni che il fronte pro-utero in affitto oppone più spesso al variegato mondo resistente (cattolici, femministe, ambientalisti, anarchici anti-biotech) è che una donna è libera di fare del suo corpo ciò che vuole: «Non si era detto: il corpo è mio?».

Appunto: il corpo è mio, non del mercato che «me lo gestisce lui», biobusiness che supera i 3 miliardi di dollari, «inserimento del ciclo vitale nella logica della mercificazione capitalista» (Pietro Barcellona).

Quel corpo che è mio non è mai del tutto mio. È sempre anche di qualcun altro. È un corpo-io che nasce vive e muore impigliato in una fitta rete di relazioni che lo fanno essere, e senza le quali non consisterebbe.

Prima tra tutte quella con la madre: talmente stretta che il due tra la donna e il figlio si fa indistinguibile dall’uno, e nessun mercato può tagliarla.

E poi: il corpo sarà anche mio, ma il figlio che metto al mondo non è mio. Un figlio non è un oggetto di proprietà, appartiene a se stesso e al mondo. Posso accettarlo e amarlo o posso rifiutarlo, e in quel caso sarà reso adottabile.

Qualcun altro lo amerà. Ma non posso decidere a chi venderlo e nemmeno – sì, ciao – a chi donarlo. Senza, oltretutto, alcuna garanzia sull’acquirente.

Il tempo degli umani in vendita è alle spalle, ma minaccia costantemente di tornare.

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utero-affitto-maternità-surrogataMentre riflette sul senso della libertà della donna di poter disporre del proprio corpo e sulle ambigue modalità con cui verrebbe ad esercitarsi, Terragni non trascura di sottolineare quanto il figlio, benché generato, non sia mai riducibile a proprietà: chi ha davvero a cuore la libertà delle persone, di tutte le persone, in qualsiasi stato o condizione possano venire a trovarsi, non può certo permettersi il lusso di subordinare la libertà e la dignità di qualcuno a quella di altri.

Condividiamo, quindi, la riflessione della Terragni, e pensiamo di comprendere a chi pensa e a chi si rivolge quando afferma “ … non posso decidere a chi venderlo e nemmeno – sì, ciao – a chi donarlo. Senza, oltretutto, alcuna garanzia sull’acquirente”.

Tuttavia vorremmo salvaguardare la dignità e l’esperienza delle madri “abbandoniche” e quella dei genitori adottivi: le prime capaci, dopo aver accolto e donato la vita, di spingersi sino al dono nell’abbandono (cf sul tema i qualificati contributi raccolti nel fascicolo n. 4 della rivista “Lemà sabactàni?); i secondi – mai acquirenti – capaci di accogliere i bambini “abban-donati” come loro autentici figli benché da loro non generati.

Accogliere un figlio non è soltanto metterlo al mondo, ma generarlo nella sua alterità. Quindi nessuna mercificazione o traffico di esseri umani o di loro funzioni, potrà essere sostenibile e giustificabile in nome della “libertà” di cui è evidente contraddizione, essendo un suo abuso se non banale e arbitrario esercizio di un dispotico potere.

Nessun bambino dovrebbe mai essere ridotto a prodotto, venduto e neppure comprato o scambiato; solo se un bambino dovesse ritrovarsi abbandonato, occorre fare di tutto affinché possa essere di nuovo accolto e amato come figlio da una mamma e un papà.

Il tempo degli umani in vendita – conclude Terragni – è alle spalle, ma minaccia costantemente di tornare”: la gratuità e la incondizionata accoglienza dell’adozione restano un possibile prezioso argine a tale rinnovata deriva. (gi.fo.)



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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inserendo la causale "sostegno vocazione all’accoglienza familiare"..

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