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Il tempo è compiuto e il regno di Dio è presente: convertirsi e credere nel Vangelo.

La Parola di Dio di questa terza domenica del tempo liturgico ordinario, ci parla della potenza della Parola stessa.


Dopo il ‘battesimo’ di Gesù nelle acque del Giordano, da parte di Giovanni Battista, e dopo aver trascorso quaranta giorni – simbolici! – nel deserto, Gesù va in Galilea, e qui proclama «il vangelo di Dio».

La sua Parola proclama una buona notizia che riguarda Dio stesso, perché Dio è all’origine di questa Parola.

La Parola di Gesù annuncia Dio stesso. La carne, la storia di Gesù sono Dio che ci parla!

Il Vangelo di Marco riassume in quattro brevissime e formidabili formule il Vangelo di Dio, che è il Vangelo di Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino».

Sono le prime due parole. Ne seguono altre due, strettamente collegate: «convertitevi e credete nel Vangelo».

 «Il tempo è compiuto».

È una parola fortissima, perché annuncia che il tempo è giunto al suo compimento. Non è più un tempo provvisorio.

Con Gesù – colui che parla – giunge un tempo definitivo, pieno. Con Lui trova pienezza e compimento tutta la storia, il tempo precedente, prima di Lui. È finito non il tempo, ma il tempo dell’incertezza, dell’instabilità, magari della paura.

E perché mai, con Gesù, con quell’uomo che parla, accade tutto ciò?

La risposta a questa domanda è evidente nella seconda parola di questo Vangelo: «il regno di Dio è vicino».

Attenzione, questa formula non significa che il regno di Dio non è ancora qui, non si sta avvicinando. Al contrario! Il regno di Dio si sta avvicinando, si fa vicino a noi e dunque è qui!

Nella storia di Gesù, Dio si fa prossimo all’umanità. Tutta la sua vita, fino alla Pasqua, è la storia di un Dio che è con noi. Fino alla apparizione del Risorto che – come dirà l’angelo alla fine del Vangelo di Matteo – ‘precede’ i suoi discepoli, attendendoli in Galilea, il luogo da cui tutto è partito.

Tutto quello che è racchiuso tra questi due estremi, temporali, dalla Galilea delle prime parole, alla Galilea delle ultime parole, ci rivela come in Gesù Dio ci è vicino, ci sta accanto.

Qui mi pare possiamo aprire gli occhi anche noi su questi nostri tempi. Dopo Gesù la storia continua. Ma non è più quella di prima.

Rimane, il nostro, un tempo in cui si intrecciano eventi, relazioni, persone buone, ricche di bene e quindi capaci di alimentare in noi speranza, e allo stesso tempo eventi, relazioni, persone cattive, dove dilaga il male, la violenza e la menzogna, che ci minacciano e possono spingerci alla paura, all’amarezza, alla disperazione perfino.

Ma, pur con tutte le sue ambiguità, che rimangono, il tempo dopo Gesù non è più quello di prima. È un tempo in cui è entrata una Presenza, che agisce a nostro favore e ci riguarda personalmente!

La Parola di Gesù dice ‘qualcosa’ che ha cambiato, una volta per sempre, la nostra storia di uomini!

Ma, per essere creduta, questa parola si rivolge a noi: «Convertitevi e credete nel Vangelo».

Tra il ‘convertirsi’ e il ‘credere’, decisamente è più importante il credere. Se noi crediamo alla Parola di Gesù, allora ci convertiamo.

La conversione non precede la fede, come se noi dovessimo, con le nostre forze disporci a credere nel Signore, nella sua grazia. Se noi puntassimo sulle nostre opere, per convertirci, non ci affideremmo alla Parola di un altro, ma ancora su noi stessi.

La conversione nasce dall’ascolto di una parola di cui ti fidi, perché ti fidi di Colui che parla!

La prima lettura, del profeta Giona, è un racconto significativo per comprendere la potenza della conversione.

Ninive, nel racconto biblico, è una grande città, nella quale gli uomini vivevano in una «condotta malvagia», come dice proprio la fine della prima lettura. Non sappiamo bene in che cosa consistesse questa condotta malvagia, dal testo biblico.

In questo senso, possiamo dire che anche il nostro mondo, oggi, assomiglia a Ninive! Come allora, e come in ogni luogo della storia umana, anche oggi c’è violenza e menzogna, il male.

Il profeta Giona percorre questa città, e gli sono necessari tre giorni a piedi per dire: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta».

Notate, il profeta non dice ‘da Dio’. Giona, seppure controvoglia, dice che facendo il male i Niniviti si distruggono gli uni gli altri. È come un ‘gioco’ che porta al massacro.

Quante volte nella storia, con le guerre, ma non solo, noi uomini ci siamo distrutti a vicenda. Anche oggi, in tanti modi, corriamo questo rischio.

Ha fatto scalpore, qualche giorno fa, quella fotografia che il papa ha mostrato ai giornalisti che lo accompagnavano nel suo viaggio verso il Cile e il Perù, una piccola foto che mostrava l’immagine agghiacciante degli effetti della bomba atomica: un bimbo che portava sulle sue spalle il fratellino morto, a Nagasaki. Questa è la bomba atomica, la bomba nucleare: un ordigno terribile, con il quale noi possiamo distruggerci a vicenda.

Anche oggi, come un tempo, anzi più di un tempo, noi possiamo distruggerci, farci del male, fino ad ucciderci, gli uni gli altri.

Quelli di Ninive, incredibilmente, credettero alle parole del profeta Giona.

«Dio – dice il racconto biblico – vide le loro opere» e allora Lui stesso «si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece».

Qui, in effetti, sembrerebbe che sia Dio a minacciare e a castigare, anche se poi, subito dopo, Giona, arrabbiato contro Dio perché ha perdonato questo popolo, dice: «perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato».

Dunque qui c’è già il Vangelo, che Gesù porta a compimento: è l’annuncio di una misericordia e di un amore infinitamente sovrabbondante rispetto all’ira e alla minaccia.

L’ira di Dio è il sentimento che noi attribuiamo a Dio, perché egli non può sopportare il male. Ma la sua risposta al male è la misericordia e l’amore. È questo quello che Gesù porta a compimento.

Naturalmente, la sua misericordia e amore non sono affatto alibi per continuare nella nostra condotta malvagia.

«Convertitevi dice Gesù – «e credete nel Vangelo».

La fede, che richiede di convertirsi al Signore, è la risposta che Gesù attende dalla nostra libertà.

Credere nel Vangelo significa accogliere la ‘notizia buona’ che Dio si fa vicino a noi, per trasformare la nostra vita. Ma questo non accade senza la nostra libertà, che si fida. Se noi la rifiutiamo, noi perdiamo l’amore, la misericordia di Dio, che pure sono gratuite.

La nostra risposta è decisiva perché il dono e la grazia accadano davvero. Questo richiede la nostra decisione.

«Il tempo si è fatto breve», dice Paolo nella seconda lettura, scrivendo ai Corinti. Questo significa: il tempo non è infinito. Non illudetevi di poter dire: c’è ancora tempo per credere nel Signore e convertirsi a Lui!

Ma questa non è una minaccia: è, piuttosto, un annuncio.

Il tempo è compiuto. È questo il momento! Non lasciarlo sfuggire, non perdere questa opportunità, proprio come quando uno sta aspettando un treno e lo lascia passare senza salirci sopra!

Il Vangelo di oggi ci racconta come, in modo esemplare, quattro uomini, due coppie di fratelli, hanno colto al volo l’opportunità, la grazia, la Parola di Gesù.

«Venite dietro a me».

Ecco questa è la fede! Ascoltare la Parola di Gesù, che ci solleva dalla vita quotidiana – quei quattro erano pescatori – e ci chiama ad ascoltare la sua voce, ad andare, a camminare dietro a Lui, a lasciarci guidare da questo ascolto.

Gesù ci trasforma la vita.

Da pescatori, quei quattro – secondo la promessa graziosa di Gesù – diventeranno ‘pescatori di uomini’. Non diventeranno certo ‘pescatori’ che dovranno fare abboccare gli uomini all’amo di Gesù, come un imbroglio!

Diventeranno ‘pescatori’ che lanceranno la rete di Dio, la storia di un amore che per grazia li chiama a seguirlo.

Questi quattro si mettono in cammino. Ma il cammino sarà ancora lungo. Dovranno ancora sapersi convertire alla Parola.

Sarà un cammino che durerà per tutta la vita.

Per loro, come per noi!

don Maurizio



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