Salta al contenuto Skip to sidebar Skip to footer

La domanda che nasce dallo stupore dinnanzi al dono.

Ricordate il Vangelo della scorsa domenica? Dopo il ‘segno’ prodigioso della moltiplicazione del pane, Gesù si era sottratto alla folla, perché volevano farlo re.

Oggi il Vangelo racconta come questa gran folla, in modo tenace, insegue Gesù, lo cerca in modo insistente. Alla fine, in barca, vanno tutti dall’altra parte del ‘mare’ di Galilea, verso Cafarnao e finalmente lo trovano.

Inizia allora un lungo dialogo, che dura per tutto questo sesto capitolo del Vangelo.

«Rabbì, quando sei venuto qua?», gli domandano. E Gesù risponde, con stupefacente franchezza: «voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati».

Gesù va subito al cuore del discorso.Voi dice a quella gente che tanto lo ha cercato, fino a trovarlo – mi cercate per soddisfare le vostre necessità, voi guardate solo al vostro guadagno immediato. Voi mi cercate non per quello che sono io, ma perché siete preoccupati di voi stessi.

Voi cercate solo di saziare la vostra fame, servendovi di me. Voi non avete riconosciuto quel che è accaduto nel ‘segno del pane’. Vi siete fermati all’apparenza più superficiale, al vostro interesse immediato e personale”.

Ecco, venendo a noi, possiamo proprio riconoscere nelle parole di Gesù la denuncia di un modo profondamente egoista di ‘cercare’ Dio.

Quante volte noi ricorriamo a Dio, magari anche pregandolo, strumentalizzandolo, servendoci di lui per soddisfare i nostri bisogni, se non addirittura i nostri capricci e le nostre pretese!

Quante volte usiamo Dio per il nostro tornaconto personale, o vorremmo ‘usarlo’ per questo!

Quante volte vorremmo approfittare di Dio, come se fosse uno dal quale ottenere le grazie o meglio i ‘favori’ a nostro esclusivo vantaggio!

E quando non otteniamo quello che vorremmo, ci arrabbiamo con lui e ci allontaniamo.

C’è un modo per cercare Dio che tutto cerca meno che Lui. Abbiamo in mente il nostro idolo e non entriamo in rapporto con il Dio vivente che cerca noi, Lui, per primo. Cerchiamo Dio perché ci sazi, ci riempia.

Invece è il contrario: quando incontriamo davvero il Signore, allora, senza nemmeno che noi lo pretendiamo, Lui ci sazia di se stesso, ci riempie di sé, in modo sovrabbondante e imprevedibile.

Gesù invita quella gente – e noi! – a darsi da fare, piuttosto, per un altro cibo, non quello «che non dura», ma per quello «che rimane per la vita eterna», il cibo che verrà loro dato dal Figlio dell’uomo, dal Messia, che ha su di sé il preziosissimo «sigillo» del Padre.

Sono parole difficili, che anche molti di noi fanno fatica a comprendere. Figuriamoci quella gente lì, davanti a Gesù, disorientata per delle parole che non comprende!

Eppure questa gente, quasi forse senza saperlo, pone a Gesù una domanda molto bella, la domanda fondamentale: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Cioè: “che cosa si aspetta Dio da noi? Che cosa desidera Lui da noi? Che cosa dobbiamo compiere per essergli graditi?”.

La risposta di Gesù è straordinaria: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

L’opera che Dio attende da noi è la fede. E, nella fede noi lasciamo che sia Lui ad operare in noi.

La fede è lasciare che egli agisca nella nostra vita, lasciare e dare spazio alla sua grazia, perché sia Lui ad avere spazio, non noi, le nostre pretese. Solo così noi saremo davvero ‘sazi’ nella vita: se lasceremo che sia Lui, con la gratuità sovrabbondante del suo amore, a saziarci.

La gente che sta dialogando con Gesù, a questo punto, sembra porre una domanda quasi giusta: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?». Questa gente intuisce che è tutta una questione di ‘segni’ e di opere che sono ‘segni’.

Dio non si dà a vedere se non nei ‘segni’ che, insieme, lo rivelano e lo nascondono.

Non ci accostiamo a Dio se non nell’ordine simbolico, attraverso i segni. Per esempio, proprio adesso nell’Eucarestia che stiamo celebrando, non è che noi vediamo Dio. Nella Parola che stiamo ascoltando, non sentiamo direttamente Lui. Anzi, sembra proprio che sia qualcun altro a parlare. Voi sentite me, non Dio.

I gesti che noi compiamo sono dei ‘segni’ – un po’ di pane azzimo, un po’ di vino … – eppure per la Parola di Gesù quei segni dicono e sono altro.

Dicono la sua grazia per noi, ma non possono essere riconosciuti se non attraverso la fede che, in quei segni, nella sua Parola, ci rivela il Dio nascosto.

Così opera Dio nella storia e nella nostra vita: si rivela nascondendosi. E rivelandosi, si nasconde sempre, perché noi non possiamo mai avere la pretesa di dire: “ecco, Dio è nelle nostre mani. L’ho catturato. Ora lo posseggo. Nessuno me lo potrà togliere”.

Questa pretesa di possedere Dio ce lo fa perdere, trasformando il Dio vivo e libero in un idolo morto.

Però la folla che sta interrogando Gesù non si è accorta che quella moltiplicazione prodigiosa del pane era il ‘segno’ di Dio, era un’opera di Dio,

L’avevano davanti e non sapevano riconoscerla.

Questo può succedere anche a noi, con grande facilità. Anche quando partecipiamo all’Eucarestia, quando ‘andiamo a Messa’, possiamo andarci come degli spettatori non coinvolti in una storia di amore, in una relazione di grazia.

Mentre continua a non capire, la folla dice a Gesù: «I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto…». È come se dicessero a Gesù: “loro sì, loro hanno visto il ‘segno’ di Dio. Ma noi … quale segno abbiamo?”.

La prima lettura racconta una parte del meraviglioso capitolo sedici del libro dell’Esodo. Quando entrano nel deserto, subito dopo la liberazione dalla terra di schiavitù, gli Israeliti dimenticano all’istante la grazia ricevuta. Immediatamente, cominciano a ricordare quel tempo di schiavitù come se fosse stato un tempo di grazia.

“Là – dicono lamentandosi – potevamo almeno mangiare «pane a sazietà». Anche loro, adesso, accusano Mosè, Aronne, Dio stesso: ci avete condotti qui per farci«morire di fame».

Allora il Signore promette di «far piovere pane dal cielo» per quella gente affamata. Ma, a questo pane, è collegata una legge ed è la prima legge del deserto, la legge fondamentale, perché dice il senso di ogni legge divina:«il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno».“Raccoglietene ogni giorno quel che basta per quel giorno e così ce ne sarà per tutti”.

Ci sono qui due profondi significati della legge di Dio.

Ogni sua legge ci chiede la fede: raccogliere oggi la razione quotidiana, senza accumularla per domani, significa credere e fidarsi che colui che oggi ci dà il pane ce ne darà anche domani. Accumularlo, invece, significa dire: “oggi c’è, arraffiamo tutto, perché non sappiamo se domani ci verrà ancora donato”.

Così, ciascuno pensa solo a sé e manca di giustizia verso l’altro, perché quella ‘manna’ è per tutti.

La fede implica la giustizia, e la fraternità, perché il dono di Dio è per tutti.

Così, quando il popolo, la mattina presto, quando si alzerà e per la prima volta vede «sulla superficie del deserto» quella «cosa fine e granulosa», si chiede: «Che cos’è?», in ebraico “Man hu?”.

Questa è la domanda fondamentale, che nasce dallo stupore dinnanzi al dono: che cos’è l’Eucarestia? “Man hu?” …

don Maurizio



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


Sostieni anche tu questa nostra testimonianza e specifica missione, Dona ora
inserendo la causale "sostegno vocazione all’accoglienza familiare"..

Lascia un commento