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La fede è un cammino mai concluso, è crescere nello stupore.

Nella prima lettura di questa domenica, dal libro del Deuteronomio, abbiamo ascoltato una promessa che, a nome di Dio, Mosè rivolge a tutto il popolo di Israele: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto». Mosè dice che il Signore farà sorgere, nel popolo di Israele, un profeta pari a lui.


Ma chi è un profeta ci è detto subito dopo: «gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò».

Ecco chi è il profeta: è uno che dice la Parola Dio, uno che parla in nome di Dio e al posto di Dio.

Questo non significa che il profeta si sostituisce a Dio, ma che – al contrario – nelle sue parole dice la Parola di un altro. Ogni profeta dunque deve avere l’umiltà di ascoltare e di ubbidire alla voce e alla Parola di Dio, per ridirla agli altri nel suo nome.

In fondo, è quello che dovrebbe fare ogni predicatore: non dovrebbe dire i propri pensieri, le sue riflessioni, le sue parole, come a sostituirsi presuntuosamente a Dio, ma dovrebbe dire agli altri quello che il Signore gli chiede di dire.

Questo presuppone un esercizio importante di ascolto.

Questo, però, lo dovrebbe fare ogni cristiano che, nel Battesimo, ha ricevuto l’unzione profetica: con il rito dell’Effatà, nel Battesimo, si chiede per chi viene battezzato il dono di ascoltare la Parola e di annunciarla con la bocca.

Ma non basta nemmeno ascoltare e dire con la bocca: il vero ascolto fa diventare carne la Parola, si trasforma in testimonianza profetica della Parola accolta. È la vita intera, non solo la bocca, che annuncia la Parola del Signore!

Questa è la nostra responsabilità di cristiani, oggi: se non annunciamo noi la Parola, chi lo farà al nostro posto?

Se non annuncio io, se non lo annunci tu, nella tua carne, chi darà carne, oggi, alla Parola di Dio?

Il Vangelo di Marco, oggi, annuncia il pieno compimento – perché «il tempo è compiuto!» – della promessa fatta da Mosè. Anzi, la promessa del profeta viene superata, in un modo imprevedibile.

Mosè, a nome di Dio, aveva annunciato un profeta ‘pari’ a lui. Invece in Gesù c’è un profeta ancora più grande.

Gesù non è solo un profeta perché è colui che i profeti hanno annunciato.

Tutto questo è suggerito, in modo discreto, ma chiaro, dal testo del Vangelo di questa domenica.

Gesù, dice l’evangelista, entra «di sabato nella sinagoga», di Cafàrnao e là si mette a insegnare. Non si distingue dai suoi fratelli ebrei. È uno come tutti gli altri, all’apparenza.

L’evangelista però sottolinea che Gesù insegnava, anche quel sabato, «come uno che ha autorità, e non come gli scribi». È bella questa espressione: le parole di Gesù, apparentemente non diverse dalle altre, risuonavano cariche d’autorità. Erano parole vere e profonde, non vuote.

È vero: non tutte le parole sono uguali.

Noi ci accorgiamo subito della differenza tra parole superficiali e parole che testimoniano qualcosa di grande. Queste parole colpiscono. Suscitano stupore. Ci provocano. Non ci lasciano indifferenti.

Questo è la Parola di Gesù: «ed erano stupiti del suo insegnamento».

È bello lo stupore che accompagna, fin dall’inizio, l’ascolto della Parola di Gesù. È una parola che suscita una risposta, una parola che ‘tocca’ chi la ascolta.

Non è la parola di chi ripete, meccanicamente, sempre le stesse cose.

A questo punto però accade qualcosa di imprevedibile.

Mentre tutti vengono stupiti, all’improvviso, «un uomo posseduto da uno spirito impuro» si mette «a gridare», a urlare. Quest’uomo, fuori di sé, si ribella. Si oppone a Gesù. Lo vuole far tacere. Si difende, in modo scomposto. Lo accusa: «Sei venuto a rovinarci?».

Com’è vera questa parola!

Gesù è davvero venuto a rovinare tutti coloro che si lasciano possedere dal male.

Qui sta la contraddizione: quest’uomo sa bene chi è Gesù, perché dice: «Io so chi tu sei: il santo di Dio!».

E, tuttavia, non lo accoglie come suo liberatore, come sua salvezza, come sua grazia. Al contrario egli si oppone. Lo rifiuta.

Le tenebre non vogliono la luce. Chi fa il male non sopporta chi fa il bene.

E allora accusa, scredita, getta fango, e soprattutto mente: «Sei venuto a rovinarci?». Così quest’uomo, oppresso da uno spirito impuro, accusa Gesù.

A queste dure parole, Gesù risponde con grande forza, con sorprendente autorità, con durezza perfino.

Il Vangelo dice «Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!».

Gesù è molto deciso. Pronuncia una parola forte: intima a questo spirito ‘impuro’ di tacere. La voce di Gesù è più forte della voce del male. Gesù non ha paura. «Esci da lui!».

Ecco Gesù comanda a questo spirito cattivo ci ‘uscire’ da quest’uomo. È una parola di liberazione, di grazia, di salvezza.

Pensate, se non fosse successo nulla, dopo che (Gesù) aveva detto così, Gesù avrebbe fatto una pessima figura.

Questa è la sua autorità: egli sa che la sua parola è efficace. Dice e fa.

Infatti «e lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui!».

In modo sorprendente, accade quello che Gesù aveva ordinato. Certo, lo spirito impuro si oppone. Vorrebbe resistere a Gesù: strazia, fa soffrire quell’uomo. Grida. Si dimena. Ma alla fine non può che cedere: «uscì da lui». 

C’è qui una parola molto consolante.

La potenza della grazia è più forte del potere del male. Il male schiaccia l’uomo, opprime la nostra umanità, ci rende schiavi gli uni degli altri. Il male, la violenza e la menzogna, apparentemente è così forte in questo mondo!

In realtà il male è debole. Sì, ci rende schiavi, ma quello del male è un potere fondato sulla menzogna. Non c’è nulla che fa tanta paura a chi compie il male come incontrare uno che dice la verità e che svela l’inganno!

Questo è quello che fa Gesù: non si difende.

Libera, parlando con l’autorità dell’amore che salva.

Tutti coloro che sono nella sinagoga, dice il Vangelo, sono «presi da timore». Più che paura, qui la parola timore indica, secondo il linguaggio biblico, qualcosa che si avvicina alla fede. Lo stupore di prima diventa timore.

Questa gente si interroga, come iniziando un cammino di ricerca su Gesù: «Che è mai questo?».

È una bella risposta. Queste persone colpite, si domandano “chi è questo Gesù?”. Si chiedono che cosa c’è dietro il suo «insegnamento nuovo», che è «dato con autorità».

Sono colpiti, questi, dalle parole di Gesù. Le trovano nuove, efficaci, incisive. Non solo, queste parole producono salvezza, liberazione dal male, «comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».

È una reazione positiva alla Parola potente di Gesù.

Anche noi, oggi, siamo invitati ad unirci a questo stupore, a questo timore, alla domanda di questa gente.

La fede è un cammino mai concluso.

È un crescere nello stupore. È un continuo interrogarci, per lasciarci toccare dalla Parola che ci libera dalle nostre oppressioni, dalle nostre menzogne, dalle nostre falsità.

È una Parola di speranza, per noi tutti!

don Maurizio



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