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La filialità è il dono dello Spirito

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la solennità di Pentecoste, dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-16.23b-26), dai brani tratti dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11) e dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,8-17).


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Pentecoste. Cinquanta giorni dopo la Pasqua. Finalmente si adempie la promessa del Padre con l’invio e l’effusione dello Spirito di Gesù risorto. Così si compie la Pasqua.

La prima lettura, dagli Atti degli Apostoli, descrive in modo molto suggestivo l’arrivo del Dono. «Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo».

C’è qui tutta la Chiesa, come dice Luca poco prima, compresa Maria, la madre di Gesù. È la comunità intera, ‘concorde’ e ‘perseverante’ nella preghiera, anche se qui non si dice esplicitamente dove erano e nemmeno che cosa stessero facendo tutti i ‘discepoli’ di Gesù.

Non sanno bene che cosa li aspetti. Da pochi giorni Gesù li ha lasciati definitivamente. Aspettano il dono dello Spirito, ma non possono sapere come e che cosa significherà per loro, questo dono di cui ha parlato loro il Signore. Sanno però che questo dono sarà la loro forza, per essere testimoni «fino ai confini della terra».

È bello questo spirito di attesa: attesa che accada qualcosa di nuovo!

Già qui c’è un bell’insegnamento per noi.

È importante, anzi decisivo, che nella vita delle nostre comunità, e di tutta la Chiesa, ci sia questo spirito di attesa del Dono che viene dall’alto. Non è qualcosa che noi dobbiamo cercare, o conquistare, ciò che cambia la Chiesa, le nostre comunità. Certo, noi dobbiamo mettere la nostra parte. Ma se non attendiamo il Dono di Dio, allora saremo solo una bella associazione di persone, più o meno di buona volontà.

È un’attesa che va al di là delle nostre fatiche, delle nostre abitudini, dei nostri calcoli, delle nostre forze.

È un’attesa, non una ricerca. È l’Altro che viene e che ci sorprende.

«Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso».

Fragore e vento. Questi erano i segni’ classici, nella Scrittura, della manifestazione di Dio. È forte l’immagine del vento, un vento «improvviso» che «riempì tutta la casa dove stavano».

Lo Spirito è come il vento. Arriva. Tumultuoso. Improvviso. Si diffonde ovunque. Penetra in tutti i luoghi, anche i più nascosti. Lo sentiamo sul volto, ci porta calore o freddo.

È un vento forte, capace di imporsi. Scuote. Travolge. Scompiglia. Spariglia. Al di là dell’immagine, perché il vento può anche devastare e rovesciare le cose belle, lo Spirito travolge il male, ciò che non va, rompe le chiusure, gli egoismi, le diffidenze, le gelosie.

Anche nella Chiesa di oggi, nelle nostre comunità, quanto c’è bisogno di questo ‘vento’ impetuoso, forte e dolce insieme!

C’è necessità che lo Spirito travolga le nostre resistenze egoistiche, le nostre paure, le nostre pretese, i nostri calcoli studiati a tavolino.

È necessario che lo Spirito ci porti ‘giovinezza’ spirituale, appunto, apertura al nuovo, spazzando via l’aria cattiva, chiusa.

«Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro».

Ecco l’altro elemento simbolico che caratterizza la manifestazione di Dio nella Bibbia: il fuoco.

Per noi uomini il fuoco, come il vento del resto, ha un doppio volto. Può distruggere: pensiamo agli incendi. Può bruciare capolavori: abbiamo visto tutti, qualche settimana fa, l’incendio della Cattedrale di Notre Dame a Parigi.

Ma il fuoco è all’origine di tutta la civiltà umana: con il fuoco noi forgiamo gli strumenti di lavoro, possiamo ‘fondere’ le opere d’arte, riparaci dal freddo e anche dal caldo.

Ecco, così è il fuoco segno del Dono che è lo Spirito: anzitutto, brucia ciò che è male, il peccato, l’infedeltà a Dio e alla sua Parola, tutto l’egoismo che ci imprigiona e ci intrappola.

Il racconto degli Atti, soprattutto, dice che «su ciascuno di loro – i presenti – apparvero […] lingue come di fuoco, che si dividevano».

È bellissimo questo particolare: il dono dello Spirito è personale, viene dato a ciascuno, singolarmente. È un rapporto personale, profondo, quello con lo Spirito. È un vento e un fuoco che è dato a ciascuno, come il respiro di Dio, come la forza di Dio, come la ‘lingua’ di Dio. Infatti, dice il racconto di Atti, «colmati di Spirito Santo – questi discepoli – cominciarono a parlare in altre lingue», così come «lo Spirito dava loro il potere di esprimersi».

È un dono che non rimane chiuso nell’intimo. È un dono ‘dinamico’, dà le capacità, la forza, qui, di parlare «delle grandi opere di Dio».

È molto bella anche questa immagine o figura della lingua. Questi discepoli cominciano «a parlare in altre lingue».

Tutti sappiamo come l’unica umanità parli molte lingue diverse, incomprensibili l’una con l’altra, quasi sempre. Lingue, dialetti, cadenze, tonalità.

Tutti parlano. Ma non ci capiamo più tra di noi. Però, possiamo ‘passare’ da una lingua all’altra, imparando a tradurre da una lingua all’altra.

È difficile imparare nuove lingue, soprattutto con il passare degli anni. Invece i bambini imparano lingue nuove con grande facilità.

Qui, invece, con il dono dello Spirito, all’improvviso – appunto per dono! – i discepoli si mettono a parlare lingue diverse. E quando escono nella piazza, nelle strade e si trovano davanti una folla attratta da quel grande rumore, tutti questi Galilei si mettono a parlare lingue che sono nuove, anche per loro. C’erano là, a Gerusalemme, in quel giorno, persone provenienti da tutte le parti del mondo allora conosciuto: dal Romani ai Greci, dagli Arabi, agli Egiziani … e tutti li ‘sentono’ parlare nella propria lingua.

Si intendono, finalmente. Prima non si capivano. Ora, invece, si scoprono, di nuovo, fratelli. Rimangono le lingue diverse, ma si ritrova la possibilità di capirsi gli uni gli altri.

È la Babele ritrovata. Rimangono le differenze, perché non parlano tutti la stessa lingua, ma finalmente tornano a capirsi.

Ecco, questa è una splendida immagine di che cosa diventa la Chiesa quando noi accogliamo il dono dello Spirito, che viene dall’alto. Le differenze diventano armoniche, non sono abolite in una eguaglianza piatta, tutta dello stesso colore. Tutti annunciano le «grandi opere di Dio».

Questa è la Chiesa: testimonianza di ciò che Dio compie nella storia, riscattandoci dal male, dalla prigionia, dalla schiavitù dell’egoismo, dalla paura, dalla solitudine individualista nei confronti dell’altro!

Questo è propriamente, il miracolo dell’amore. Il Vangelo di Giovanni descrive un volto di questo ‘miracolo’.

Il primo effetto del Paraclito, è quello di renderci capaci di ‘ascoltare’ e ‘osservare’ la Parola di Gesù. È Lui che, dice Gesù, «vi insegnerà e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»Non si può parlare una lingua nuova, e nessuna lingua, se non ascoltando chi la parla.

Così tutto nasce dall’ascolto, l’ascolto della Parola di Gesù, la Parola che è Gesù, l’ascolto dei suoi comandamenti, che tutti si condensano nell’amarsi gli uni gli altri.

Questo vale a cominciare dalle comunità.

Ma, come è evidente nel racconto degli Atti, la comunità della Chiesa non può essere chiusa in se stessa: è missionaria, è annuncio a tutti «delle grandi opere di Dio», un’opera che ha trovato meraviglioso compimento in Gesù.

Nella seconda lettura, molto ricca, una parte del capitolo ottavo della grande lettera ai Romani di Paolo, l’apostolo parla dei frutti dello Spirito.

Paolo contrappone la carne allo spirito.

Attenzione però, qui non si contrappone il corpo all’anima. La ‘carne’, qui, non è affatto il corpo, perché questo è il tempio dello Spirito. La ‘carne’ è una parola che esprime l’uomo peccatore, l’uomo che si lascia dominare’ dai desideri di male, di divisione. È l’uomo che non ascolta la Parola. È l’uomo schiavo di sé, del suo orgoglio, della sua arroganza.

L’uomo schiavo è il contrario dell’uomo ‘figlio’.

Ecco questo è lo straordinario ‘effetto’ che produce in noi lo Spirito. “Voi, dice Paolo, «avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi»”.

Questo è il dono dello Spirito: la filialità.

Il figlio non ha paura, come lo schiavo. Il figlio è grato, è libero – in latino, figlio si dice proprio così: libero! -.

Il figlio è ‘erede’, più che del denaro, di tutto ciò che il Padre gli ha donato, per grazia.

Ecco, per lo Spirito, noi possiamo ‘gridare’ a Dio: «Abbà! Padre!», possiamo rivolgerci a lui con fiducia, con gratitudine, con speranza, senza paura.

Grazie allo Spirito, nella lotta contro il male, possiamo far morire le opere della schiavitù, il peccato, e ricevere la bellezza del dono della vita,

Lo Spirito non ci dà tutto, magicamente. Richiede la nostra collaborazione decisiva.

All’origine c’è il Dono, che ci dà, per grazia, di non essere più schiavi, ma figli: siamo amati, per amare!

don Maurizio



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