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La gioia è il primo frutto del Vangelo

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la solennità dell’ascensione del Signore, dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,46-53), dai brani tratti dagli Atti degli Apostoli (At 1,1-11) e dal libro dalla lettera agli Ebrei (Eb 9,24-28; 10,19-23).


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Invece della settima domenica di Pasqua, oggi noi celebriamo la solennità dell’Ascensione che, propriamente, avrebbe dovuto essere giovedì 30/5 u.s., quaranta giorni dopo la Pasqua.

L’inizio degli Atti degli Apostoli, la prima lettura, fa un breve racconto di quello che accadde dopo la ‘passione’ e morte di Gesù: «con molte prove, durante quaranta giorni», egli apparve loro «parlando delle cose riguardanti il regno di Dio».

Tra la Pasqua e l’Ascensione, in un tempo simbolico di quaranta giorni, Gesù è tornato dai suoi. Si è mostrato presente, nella sua carne di Risorto. La sua carne portava i segni della passione. In quel tempo Gesù ha mangiato e bevuto con i suoi. Ha parlato con loro rendendosi ben visibile, non come un fantasma. E, tuttavia, aveva un volto ‘diverso’ da quello di qualche giorno prima. Aveva una voce che i suoi discepoli e le donne non riconoscevano come la sua.

È una cosa strana, sorprendente. Era Lui, ma il suo corpo risorto era altro. Lo riconoscevano solo quando Lui si faceva riconoscere, quando Lui chiamava per nome i suoi. Era un corpo, il suo, che passava i muri, entrava a porte chiuse.

Gesù è il primogenito di risorto, il primo.

Quello che accadde a Lui, per dono suo, è quello che accadrà anche a noi e che è già accaduto a chi è morto prima di noi.

Non è che, nella morte, il corpo si dissolve, gradualmente, mentre l’anima se ne va in cielo, immortale. È un modo di esprimersi pericoloso. Con la morte, noi moriamo tutti interi, corpo e anima.

Subito dopo la morte – che è una soglia, un passaggio! – tutti interi noi risorgiamo, a immagine del Cristo Risorto, certo nell’attesa della resurrezione finale quando, nei cieli nuovi e nella terra nuova, tutta la creazione e tutta la storia umana, finalmente redenta e riconciliata nell’amore, vivrà per sempre nella comunione di Dio.

Questo è il ‘destino’ di bene e di gloria che attende i redenti, coloro che si lasciano salvare, vivendo nell’amore, pur con tutte le fragilità della nostra condizione mortale.

Ecco, nel tempo fra la Pasqua e l’Ascensione, mostrandosi ai suoi, Gesù li ha istruiti a ricordare le sue parole, sulle «cose riguardanti il regno di Dio».

Nell’ultimo incontro, prima di salire al cielo, nel «santuario» non «fatto da mani d’uomo», ma «al cospetto di Dio in nostro favore», come dice la lettera agli Ebrei, è ancora evidente la difficoltà dei discepoli a comprendere quello che è accaduto a Gesù e a comprendere il senso profondo delle sue parole.

Così, i discepoli, seduti a tavola con Lui, gli domandano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Nonostante tutto ciò che è accaduto, nonostante le parole chiarissime di Gesù, continuano a fraintendere il senso dei suoi discorsi.

Questo, certo, un po’ ci consola! Anche per noi, spesso, le parole di Gesù non sono chiare. Non riusciamo a comprenderle fino in fondo, facciamo fatica ad accoglierne tutta la profondità e la bellezza.

E anche qui, con infinita pazienza, per l’ultima volta Gesù li conduce: «non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere».

Queste parole sono illuminanti: prima della fine, fino ad oggi, e chissà ancora per quanto, noi viviamo il dramma della storia, il tempo nel quale l’abbondanza della grazia in Gesù non appare ancora in tutta la sua pienezza e la sua potenza, perché molti sono quelli che si oppongono a questo dono.

È un tempo ancora difficile e pieno di contraddizioni quello della storia umana, anche dopo Gesù.

Il male, il rifiuto dell’amore e della grazia che salva, rendono ardua questa nostra storia.

È per questo che, come dice Gesù nel Vangelo di Luca, i suoi discepoli – cioè noi – dovranno predicare nel nome di Gesù «a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme».

Da Gerusalemme fino ai confini estremi della terra, per «tutti i popoli», questo è il compito dei discepoli di Gesù, questo è il compito della Chiesa: essere testimoni del perdono di Dio, perché, tutti gli uomini si ‘convertano’ a questa grazia sovrabbondante, molto più abbondante del peccato e del male che infetta e intacca la storia umana.

Tra la Pasqua, con l’Ascensione di Gesù in cielo, e la fine dei tempi, c’è il tempo della Chiesa: il tempo della testimonianza del nome di Gesù, in mezzo ai travagli della storia, in mezzo alle insidie e alle infedeltà che ancora sono presenti.

Ma in tutto questo non siamo soli.

È vero, Gesù non c’è più. E per questo, stoltamente, molti dicono che non c’è mai stato e che non è vero quello che è accaduto secondo i Vangeli. Ma non è così.

Gesù non c’è più, certo, ma, come Lui stesso dice ai discepoli, con noi c’è la presenza dello Spirito.

Sia negli Atti, sia nel Vangelo la parola di Gesù è molto chiara.

Negli Atti, egli dice di «attendere», in Gerusalemme, il luogo della sua morte e resurrezione, «l’adempimento della promessa del Padre»: «sarete battezzati in Spirito Santo». E poi, dopo i dubbi dei discepoli, Gesù ripete: «riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni … fino ai confini della terra».

In modo analogo, anche se più sinteticamente, nel vangelo Gesù dice ai suoi: «io mando su di voi colui che il Padre ha promesso». È il dono dello Spirito. È il compimento, l’adempimento della ‘promessa’ del Padre.

Ogni promessa di Dio Padre, in Gesù, trova il suo compimento nel dono dello Spirito.

Il ‘soffio’ di Dio anima la nostra testimonianza. È per noi vita, forza, respiro d’amore. Lo Spirito non si vede, appunto perché è ‘soffio’.

Come l’aria che noi respiriamo, noi non la vediamo, ma senza quest’aria noi moriremmo, ecco così è lo Spirito: è il respiro della nostra vita di credenti. È la vita di Dio, il ‘respiro’ dolce dell’amore, che è la vita di coloro che sono morti e che vivono, per sempre, nella comunione dell’eternità di Dio.

Lo Spirito noi lo vediamo attraverso gli effetti che produce in noi se noi siamo accoglienti di questo dono. Come il vento, che non si vede, si vede attraverso gli effetti che produce, le foglie e gli alberi che si agitano, le finestre che sbattono, e così via …

Così è per lo Spirito: lo possiamo vedere nella testimonianza di innumerevoli uomini e donne che nella storia, e anche oggi, continuano a operare il bene, scelgono ogni giorno di convertirsi alla fraternità e alla comunione.

Noi cristiani dobbiamo appartenere a questa schiera (ma questo non è automatico e garantito), la schiera di chi costruisce ponti e non muri, di chi cerca le ragioni che uniscono piuttosto che quelle che dividono.

Questa, la divisione, la chiusura, è l’opera ‘diabolica’ di colui che si oppone alla comunione donataci da Dio.

Dopo tutti questi discorsi, i suoi ultimi, Gesù si separa, ‘per sempre’ dai suoi.

Il suo però non è un addio definitivo. Il Vangelo dice che Gesù conduce i suoi «fuori verso Betania», appena sopra Gerusalemme, «e, alzate le mani, li benedisse». Poi «mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo».

In modo molto simile, gli Atti raccontano: «mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi».

E, mentre i suoi sono lì, con gli occhi puntati in alto, quasi a voler trattenere colui che se ne andava, per non perderlo, «due uomini in bianche vesti», come gli angeli del sepolcro, li scuotono, li stimolano ad andare oltre, a non fermarsi a guardare il cielo perché «questo Gesù … verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

Ecco, questo noi oggi stiamo ancora aspettando … fino a quando, non lo sappiamo. Aspettiamo il ritorno di Gesù tra noi. Allora saranno cieli nuovi e terra nuova.

Così, dice il Vangelo, i discepoli «tornarono a Gerusalemme con grande gioia» e lodavano Dio nel tempio.

Ecco, non la tristezza, ma la gioia è il primo frutto del Vangelo.

Questa gioia è il frutto dello Spirito.

Non è la gioia passeggera di chi non vede i drammi, ma è la gioia diffusa e soffusa di chi crede nella sovrabbondanza della grazia di Dio, il suo Dono, e lo invoca, con forza, per attraversare il dramma della vita, con gratitudine e speranza!

don Maurizio



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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