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La prima volta della benedizione: un rito per le famiglie adottive

lps-5-12-2Domenica 14 dicembre a Zelarino si è svolta la benedizione delle adozioni per 14 coppie venete che hanno così visto riconosciuto dalla Chiesa il loro percorso di accoglienza. Il rito passo dopo passo viene raccontato in questo articolo, che riportiamo integralmente, pubblicato dal numero del periodico “Gente Veneta” uscito il 20 dicembre 2014 a firma di Giulia Busetto.


 

Nel penultimo banco della chiesa, al primo piano del centro Cardinal Urbani di Zelarino, quattro adolescenti di diverse nazionalità si punzecchiano aspettando la messa delle 11. Ogni panca che li precede è occupata da bambini di tutte le età, provenienti da ogni continente. Accanto a loro, i nuovi genitori. È questo il colpo d’occhio che domenica 14 dicembre don Danilo Barlese, vicario episcopale e responsabile della Pastorale familiare diocesana, ha percepito oltre l’altare.

Per la prima volta la nostra diocesi, la seconda in Italia dopo Bologna, ha benedetto quattordici famiglie veneziane e i loro figli adottivi, seguendo un’esatta liturgia appena germogliata nel panorama rituale cattolico, ma destinata a diventare tradizione. Dopo una prova lo scorso anno, questa volta la celebrazione è stata aperta a tutti i bambini adottivi del veneziano, indipendentemente dalla loro età e dall’anno in cui sono stati accolti in famiglia.

Hanno risposto all’appello quattordici coppie di genitori adottivi, che dopo un incontro di catechesi si sono presentate alla cerimonia di domenica con i rispettivi figli.

Per non chiudersi in se stessi. “Davanti all’annuncio di sterilità si può reagire in due modi”, predica don Danilo ai fedeli. “Affrontandola o chiudendosi in se stessi. Nel secondo caso la sofferenza e il senso di fallimento portano a fuggire dalla vocazione genitoriale, alla ricerca di gioie fittizie che tentano di riempire un vuoto, ma senza riuscirvi. Il rincorrere altri piaceri che colmino il dolore della mancata paternità o maternità rischia di mettere al centro di ogni cosa l’ego personale, rinunciando al dono di sé. “Perché proprio io?” si chiede il coniuge incapace a procreare. La risposta a cui arriverà con la fede, assumendo questo problema senza rifiutarlo, è che Dio ci salva attraverso una strada che non avremmo mai pensato di percorrere. E una strada possibile è quella che fa nascere dalla sterilità la grazia dell’adozione. È quella che dal dolore affrontato fa scaturire sempre una novità: un nuovo incontro col Signore, quel Gesù che si cela nel figlio orfano dei genitori biologici. Al contrario, eludere la difficoltà, porta alla ricerca dello svago, del piacere effimero, che conduce all’egoismo e alla noia. Impariamo dal Signore: a chiunque lo accolga, Egli dà la possibilità di diventare figli”.

Dal rituale ortodosso. La platea conosce bene la prova a cui il sacerdote fa riferimento, e tutti vi hanno visibilmente risposto con il bambino che tengono ora per mano. Sono pronti a ricevere il riconoscimento ecclesiale della loro scelta adottiva. Si tratta di una cerimonia sperimentale che la Cei osserva con interesse, non ancora praticata capillarmente in tutta Italia, ma lasciata fino ad ora alla discrezionalità di alcuni parroci e vescovi. Ad un gruppo di esperti è stata affidata l’analisi di questo rito già praticato da alcune confessioni religiose (quello ortodosso ha ispirato per primo l’interesse della Chiesa). In un secondo momento si è pensato ad adattarlo alla prassi liturgica cattolica. Da qualche tempo, supportate dall’Ufficio pastorale delle famiglie, le associazioni Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini) e “La Pietra Scartata” promuovono la diffusione di questa celebrazione, rispondendo alla volontà della Chiesa romana di sottolineare l’importanza dell’istituzione dell’adozione.

“Eccoci”. È con questo spirito che mons. Barlese, conclusa l’omelia, invita i genitori adottivi a raggiungerlo all’altare. Chiamati per nome, ad uno ad uno, i coniugi rispondono “Eccoci”. Le quattordici coppie di sposi, a turno, sono invitate a ricordare la promessa matrimoniale, aggiungendo: “Benedetto sei tu, o Padre, perché ci hai benignamente assistiti nelle vicende liete e tristi della vita e oggi ci concedi di accogliere la grazia di un amore fecondo nel dono di questo figlio”.

“Tu sei nostro figlio…”. È finalmente il turno dei figli adottivi, esortati a raggiungere i nuovi genitori. Chiamati per nome, la maggior parte delle volte esotico, rispondono “Eccomi”. La funzione arriva al culmine quando padri e madri impongono le mani sul capo del bambino, dicendogli: “Tu sei nostro figlio, noi ti accogliamo nel nome di Gesù, per generarti alla vita nell’amore”: Dopo l’abbraccio al figlio, rigenerato dall’amore degli sposi che l’hanno cercato e accolto in seguito all’abbandono, i genitori adottivi chiedono la benedizione di Dio: “O Dio fonte della vita, è nel nome di Gesù che noi accogliamo questo figlio che non abbiamo generato. Nel Suo nome noi lo riconosciamo come nostro figlio, accogliendo Te in lui. La sua presenza è per noi un dono di grazia ricevuto dalle Tue mani di Padre, perché noi siamo per lui il segno del Tuo amore. Te ne siamo grati, riconoscendo che ogni paternità e maternità trae nome da Te. Invochiamo la tua benedizione su di noi, perché attraverso il dono dello Spirito, diventiamo genitori nella carne e possiamo essere per questo nostro figlio compimento di quella promessa di vita che, nascendo ù, egli ha ricevuto da Te”.

La preghiera. Prima di procedere alla consacrazione del Pane, portato al sacerdote dai bambini protagonisti della cerimonia, le preghiere dei fedeli concludono questo nuovo rito di benedizione delle adozioni facendo eco all’omelia di don Danilo: “Preghiamo affinché le giovani coppie sterili sappiano condividere ogni giorno l’esperienza di una preghiera umile e fiduciosa, per aprirsi con confidenza al dono dell’amore e della donazione reciproca, aperti all’accoglienza di quei figli che il Signore vorrà loro affidare”.



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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