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«… ma che cos’è questo?»: cogliere i ‘segni’ oltre i ‘miracoli’.

Nel Vangelo di Marco, dopo la lettura della scorsa domenica, ci sarebbe stato il brano della moltiplicazione dei pani. Invece di quella lettura, però, la liturgia ci fa ascoltare, oggi e le prossime domeniche, l’intero capitolo VI del Vangelo di Giovanni, che oggi comincia proprio con la scena (bellissima) della moltiplicazione dei pani.


Il Vangelo di Marco diceva, la scorsa domenica, che Gesù vedendo la grande folla che lo cercava, aveva avuto «compassione di loro». Ecco, possiamo ben dire che questo episodio del ‘dono del pane moltiplicato’ è il culmine della com-passione di Gesù per i suoi discepoli per noi cristiani e, in fondo, per tutta l’umanità.

L’evangelista Giovanni dice espressamente che Gesù, moltiplicando il pane per quella «grande folla», ha ‘compiuto’ un ‘segno’. Sappiamo che il quarto Vangelo non parla mai dei ‘miracoli’ di Gesù, ma sempre di «segni».

Facilmente, infatti, quando pensiamo e parliamo di ‘miracolo’, siamo portati a pensare a qualcosa di così straordinario ed eccezionale che (quasi) ci imponga di credere. Spesso pensiamo al miracolo come qualcosa che ci costringe alla fede, perché andrebbe oltre la ‘ragione’.

Non è così! Chi non crede non troverà mai nessun miracolo che lo costringa a credere: troverebbe sempre qualche argomento che lo spingerebbe a dare altre spiegazioni.

È proprio il contrario: non è il miracolo che ti porta a credere, ma è la fede che ti permette di riconoscere il ‘miracolo’. Questo è, appunto, qualcosa che ti stupisce, ti strappa la meraviglia, ti interroga, ti fa nascere mille domande.

Il ‘miracolo’ è sempre un segno, proprio come dice il Vangelo di Giovanni.

Il segno è un evento che ti fa pensare, ti spinge a riflettere, ti colpisce perché, da dentro, rimanda a qualcosa d’altro, qualcosa di bello e, ancor più, a Qualcuno. In fondo, ogni ‘segno’ è un dono.

Ogni cosa è un ‘segno’, perché è più di una semplice cosa. Tutte le cose sono ‘segni’, per noi, perché ci parlano di qualcosa d’altro. Questo lo sanno tanto bene i bambini, che si sanno stupire di tutto.

Questo significa anche che i ‘segni’ possono essere fraintesi, possono essere anche interpretati, possono essere anche rifiutati. È, questo, il rischio anche davanti al ‘segno’ compiuto da Gesù.

Per questo è importante metterci in ascolto profondo della Parola di Gesù, soprattutto nel Vangelo di oggi.

Ci sono alcuni passaggi fondamentali di questa scena che ci aiutano a comprendere l’Eucarestia, quella che celebriamo ogni domenica. Non è un caso che, nel Vangelo di Giovanni, non ci sia il racconto del momento in cui Gesù ha ‘istituito’ l’Eucarestia, durante l’Ultima Cena. Quel momento è ‘sostituito’ proprio dal lungo racconto del capitolo VI di Giovanni.

Se leggiamo questa pagina pensando all’Eucarestia, troveremo un grande aiuto per vivere e partecipare sempre meglio a questo immenso e meraviglioso dono che Gesù ci ha lasciato. È il dono della sua presenza, il dono di sé.

«Lo seguiva una grande folla … Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli».

Qui c’è il richiamo al ‘monte’, forse alla rivelazione sul monte Sinai, dove Dio si era rivelato, nel mezzo del duro cammino del deserto, dopo la liberazione dall’Egitto, la casa di schiavitù, e prima di arrivare alla (terra) promessa.

In questo contesto, certamente possiamo notare anche che«era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei», la festa nella quale il popolo ricordava la notte della liberazione.

Tutto questo dà un’importanza straordinaria al ‘segno’ che Gesù sta per compiere!

«Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide … e disse …».

È Gesù che prende l’iniziativa. Vede una grande folla vicino a lui e, allora, pone a Filippo una (bellissima) domanda: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Sembra una domanda strana, questa.

Commenta l’evangelista: «diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere». Queste parole sono da intendersi bene.

La «prova»è, anch’essa, un’espressione tipica del tempo del deserto. La ‘prova’, nel racconto dell’Esodo, coincide con il deserto.

Il deserto è un tempo di prova, un tempo che stava tra la liberazione (promessa) e il compimento, alla fine di un viaggio, un cammino molto difficile. Nel deserto gli ebrei avevano avuto sete, per mancanza di acqua.

Qui sta la prova: quando il desiderio non può essere soddisfatto e brucia ancora di più.

Ecco, anche per noi la vita è un tempo di prova, un tempo ricco di desideri, che molto spesso non possono essere soddisfatti. Anzi, in fondo, la vita fa nascere in noi un desiderio di felicità e di bene che non è mai ‘riempito’, non è mai compiuto definitivamente.

È in questa situazione che Gesù si rivolge a Filippo e indirettamente alla folla che rappresenta noi tutti, anche noi che siamo qui, con le nostre attese, i nostri desideri insoddisfatti, con le nostre speranze.

Chi può darci ‘da mangiare’?

E Filippo risponde che una bella somma di denaro non basterebbe per tutti. I discepoli non potrebbero soddisfare, con le loro possibilità, la fame di tutti.

La prova è anche l’esperienza difficile della nostra impotenza, della nostra impossibilità a soddisfare i nostri desideri.

In effetti, quante sono le ‘prove’ della vita in cui noi tocchiamo con mano le nostre debolezze, le nostre impotenze, la nostra piccolezza: una malattia, una situazione o una relazione che ci appare senza via d’uscita …!

Però, a questo punto del racconto, interviene un altro discepolo «Andrea, fratello di Simon Pietro». I discepoli, davanti alla domanda di Gesù, si danno da fare, non si arrendono: «c’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci». Però è Andrea stesso che aggiunge: «ma che cos’è questo per tanta gente?».

Ecco, questo sottolinea ancor più la impotenza dei discepoli.

Succede tante volte così anche a noi nella vita: cerchiamo di fare qualcosa per uscire dalle difficoltà, intuiamo una via di liberazione, ma poi ci accorgiamo di non riuscire a ‘salvarci’ con le nostre mani!

Come risponde Gesù?

Passando all’azione e, partendo da quel poco che hanno i discepoli, fa sedere la gente sull’erba, come per prepararli a qualcosa di grande.

Li fa sedere per mangiare e non c’è nulla da mangiare. Questa gente è lì in attesa. Si saranno chiesti: “perché?”.

È bello pensare che Gesù partirà proprio da questo ‘poco’ per compiere il suo ‘segno’. Avrebbe potuto partire dal nulla. Sarebbe stata, per lui, la stessa cosa. E invece, no! Gesù non umilia i suoi discepoli. Parte da quel poco che hanno, anche se quel poco non basta!

Così è anche per noi, nella nostra vita. Nella prova, c’è sempre qualcosa da cui partire, qualcosa da affidare al Signore. Gesù parte da quel poco che siamo, da quel poco che abbiamo. Ci valorizza. Chiede a noi di collaborare con lui. Non fa tutto lui. Ha bisogno di noi, delle nostre mani. Questo è bello!

«Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti … quanto ne volevano».

È Gesù la sorgente del dono.

Egli compie, per grazia, una serie di gesti, bellissimi, che, per la prima comunità, fin dagli inizi, erano la ‘memoria’ viva dell’Ultima Cena: prende il pane, rende grazie (a Dio Padre) e dà a tutti, con spontanea naturalezza, moltiplicando quei pochi panini e pesci.

Gesù prende il frutto della terra, rende grazie a Dio per riconoscere nel pane non solo il nostro lavoro, ma anche il dono di Dio, e poi dona a tutti.

Alla fine, poi, quando tutti sono ‘saziati’, colmi in ogni loro desiderio, Gesù ordina di raccogliere ciò che è avanzato.

Il dono è straordinariamente ricco. Abbondantissimo. Ne avanza.

Dio è così: ama l’eccesso. La sua grazia va al di là di ogni nostra attesa e aspettativa.

Poi, però, alla fine, Gesù si ritira «di nuovo sul monte, lui da solo».

Non vuole essere frainteso. La gente non capirà il suo ‘segno’ … fino a quando arriverà il tempo della sua Pasqua.

Di questo facciamo memoria nell’Eucarestia!

don Maurizio



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