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Marco Griffini (Ai.Bi.): “Il punto 65 del documento finale è un vero e proprio ‘manifesto’ su adozione e affido: la Chiesa in prima linea al fianco dei bambini abbandonati”

vescovi--U19019599204620uD-140x125Di adozione e affido il Sinodo dei vescovi aveva già iniziato a occuparsi nel corso della III Assemblea generale straordinaria di ottobre 2014. La Relatio Synodi redatta in quell’occasione evidenziava come adozione e affido esprimessero “una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, non solo quando questa è segnata dalla sterilità”. Un tema sviluppato ulteriormente poi nell’Instrumentum Laboris, redatto a giugno 2015, in vista della XIV Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che recepiva anche le sollecitazioni di un dibattito su adozione e affido sviluppatosi a livello di base.


Se ciò che contenuto nell’Instrumentum Laboris, rappresentava ancora un momento, anche se significativo, del cammino intrapreso circa il tema dell’accoglienza dell’infanzia abbandonata, ora il punto 65 del documento conclusivo del Sinodo di domenica 25 ottobre  ne sancisce la  definitività  e anzi può ben essere considerato, vista la lungimiranza della prospettive indicate, un vero e proprio “manifesto” dell’adozione e dell’ affido.

Esaminiamolo passò per passo.

“L’adozione di bambini, orfani e abbandonati, accolti come propri figli, nello spirito della fede assume la forma di un autentico apostolato familiare, più volte richiamato e incoraggiato dal Magistero”.

Un “apostolato familiare”, quindi. È palese l’intenzione della Chiesa di far fare all’adozione di un minore abbandonato un vero “salto di qualità”, qualora essa sia compiuta “nello spirito della fede”. Il riferimento, in questo caso, non può non andare alle parole di Gesù stesso: “Chi accoglie uno di questi bambini,  NEL MIO NOME, accoglie me”(Mc 9,37). L’adozione quindi, pensata e voluta nel nome di Gesù, è una vera “vocazione” di vita, una scelta che la Chiesa “non solo richiama, ma incoraggia”. Come tale dovrà essere inserita, a pieno titolo, nei vari aspetti  della pastorale familiare, a iniziare dalla formazione spirituale dei fidanzati.

“La scelta dell’adozione e dell’affido – si legge ancora nel documento conclusivo del Sinodo – esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, al di là dei casi in cui è dolorosamente segnata dalla sterilità. Tale scelta è segno eloquente dell’accoglienza generativa, testimonianza della fede e compimento dell’amore”.

Ecco un passaggio molto importante: il  tema della “sterilità feconda”, insito nell’adozione. Una  sorprendente e  peculiare fecondità, non limitata alle coppie sterili, ma aperta a tutte quelle coniugate.

E come ogni fecondità – si afferma con particolare evidenza nel testo -, anche quella adottiva, benché “particolare”, è propria “dell’esperienza coniugale”, cioè di quella “accoglienza generativa” insita nella promessa che gli sposi si sono scambiati nel giorno del loro matrimonio.

L’adozione e la generazione qui vengono poste sullo stesso piano. Non c’è alcuna differenza fra un figlio biologico e uno adottato. Entrambi sono “compimento dell’amore coniugale”: padre, madre e figli possono pertanto testimoniare concretamente ciò che è la “fede” nell’amore del Padre. Un Padre che non delude mai le promesse e che è capace di redimere, in forza della risposta della nostra fede, anche una vicenda “dolorosa” come la sterilità. È il “Cantico di Anna”, nel primo libro di Samuele, a ricordarci che, per volere di Dio, “la sterile ha partorito sette volte” (Sam 2,5).
“Essa (l’adozione, ndr) restituisce reciproca dignità ad un legame interrotto: agli sposi che non hanno figli e a figli che non hanno genitori”.

L’azione potente dell’adozione è qui espressa con un’evidenza sorprendete: una promessa, un filo  che si era spezzato ora viene riannodato grazie a un gesto di accoglienza. Non solo viene ristabilito ciò che spetta a ogni bambino che viene al mondo – il diritto di essere chiamato figlio -, ma addirittura qui si entra nella prospettiva del progetto di Dio sugli “sposi che non hanno figli” e che ora, grazie all’adozione, viene svelato in tutta la sua evidenza.  Da sempre era stato “pensato” come “nostro” figlio e il nostro “sì” alla sua accoglienza ripristina, dandogli maggior vigore, quel cammino di amore, insito in ogni “nascita”, che sembrava interrotto. Ecco svelata, in tutta la sua evidenza, la “grazia della sterilità feconda” donata dal Padre veramente a tutte le coppie sterili unite nel sacramento del matrimonio.
“Vanno perciò sostenute tutte le iniziative volte a rendere più agevoli le procedure di adozione”, hanno affermato i vescovi riuniti nel Sinodo.

Un richiamo netto e preciso a tutti coloro che hanno delle responsabilità legislative e amministrative: non sono un mistero, nemmeno per i padri sinodali, tutte le difficoltà, soprattutto di ordine burocratico, in cui è attualmente coinvolto il mondo delle adozioni, soprattutto quelle internazionali. Ben vengano, allora, le “iniziative”, che anzi devono essere “sostenute” – e qui la Chiesa si impegna a farlo! – per rendere “più agevoli” le procedure adottive.

Questa della Chiesa è una scelta di campo precisa e di fondamentale importanza: laddove l’adozione è reputata necessaria, occorre agire per realizzarla nel più breve tempo possibile. Ben vengano quindi riforme legislative, amministrative, accordi fra Stati: insomma tutto ciò che si renda necessario per restituire urgentemente “quella dignità di figlio” a chi ne è stato privato in qualsiasi parte del mondo esso si trovi.

“Il traffico di bambini fra Paesi e Continenti – prosegue il documento – va impedito con opportuni interventi legislativi e controlli degli Stati”.

Con queste parole il Sinodo dimostra di essere capace di calarsi nei temi più concreti e attuali: ecco in piena evidenza ciò che rappresenta il “male” delle adozioni internazionali, laddove sia carente o del tutto assente il controllo degli Stati di origine o di accoglienza. Non possono non ritornare in mente, a questo punto, le recenti decisioni di alcuni Stati africani, in particolare quelli dell’Africa orientale, che si sono sentiti costretti, a loro malincuore, a chiudere le adozioni  internazionali per i gravi episodi di traffico di minori verificatisi nei loro Paesi.

Alla luce di tali situazioni, fa bene il Sinodo a chiamare in causa le autorità statali, soprattutto quelle dei Paesi di accoglienza (Europa e America del Nord sono i principali attori delle adozioni internazionali), responsabili in prima persona degli organismi autorizzati e delle famiglie che inviano nei Paesi di origine ad adottare i loro minori abbandonati. Occorrono quindi opportuni “interventi legislativi”, a cominciare dagli accordi bilaterali, capaci di attuare ferrei controlli per impedire che i Paesi di origine poi siano costretti a interrompere le adozioni.

E poi: come non richiamare, qui, anche la “personale” responsabilità degli operatori degli enti autorizzati e delle famiglie adottive rispetto alla pratica illegale dei pagamenti in nero e in contanti, suscettibile di produrre fenomeni di corruzione?

“La continuità della relazione generativa ed educativa – si legge ancora nel testo uscito dal Sinodo sulla famiglia –  ha come fondamento necessario la differenza sessuale di uomo e donna, così come la procreazione. A fronte di quelle situazioni in cui il figlio è preteso a qualsiasi costo, come diritto del proprio completamento, l’adozione e l’affido rettamente intesi mostrano un aspetto importante della genitorialità e della figliolanza, in quanto aiutano a riconoscere che i figli, sia naturali sia adottivi o affidati, sono altro da sé ed occorre accoglierli, amarli, prendersene cura e non solo metterli al mondo. L’interesse prevalente del bambino dovrebbe sempre ispirare le decisioni sull’adozione e l’affido. Come ha ricordato Papa Francesco, «i bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma» (Udienza ai Partecipanti al Colloquio internazionale sulla complementarità tra uomo e donna, promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, 17 novembre 2014)”.

Frasi talmente chiare e – direi – definitive che servono veramente poche parole di commento. Non c’è alcun dubbio: per i padri sinodali l’adozione è “materia” riservata esclusivamente a un uomo e a una donna. Se si vuole veramente restituire dignità di figlio a un bambino abbandonato – quindi nel suo supremo interesse – non si può prescindere dal farlo “crescere” con una papà è una mamma! E Il richiamo alle parole dirette del Papa è quasi un sigillo a questo principio. Non si può mettere sullo stesso piano un presunto  ”diritto al proprio completamento” e quello di un bambino a essere figlio: da una parte c’è un atto di egoismo (“il figlio ad ogni costo”), dall’ altro un vero e proprio atto di amore.

Anzi, la stessa adozione e – ritorna molto appropriatamente – l’affido, insegnano anche ai genitori biologici in che cosa consista l’essenza della accoglienza di un figlio, anche se “tuo”, frutto del tuo sangue: ogni figlio è sempre “altro” è, come tale, va accolto. “Imparate dai genitori adottivi e affidatari”, sembrano suggerire i padri sinodali a ogni genitore, ricollegandosi in ciò alla  formidabile intuizione di Paolo: “siamo tutti figli adottivi” (Ef 1,5)

“Nondimeno – ricordano infine i padri sinodali -, la Chiesa deve proclamare che, laddove è possibile, i bambini hanno diritto a crescere nella loro famiglia natale con il maggior sostegno possibile”.

Non ci si sarebbe potuta aspettare conclusione migliore. Il senso è questo: attenzione quando si parla di adozione e affido! La prima realtà da tenere in mente e da “proteggere” è la “famiglia di origine, quella da cui il bambino è nato.  Non ci può essere adozione, dunque, senza il concetto di “sussidiarietà”: prima di adottare quel bambino, occorre assicurarsi di avere fatto tutto il possibile – umanamente possibile – perché possa crescere ed essere educato nella sua famiglia o – nel caso dell’adozione internazionale – in una famiglia del suo Paese di origine.

Tali dichiarazioni, per non rischiare di rimanere solo pure affermazioni verbali e nient’altro, necessitano di azioni concrete di sostegno, a livello sia delle singole famiglie (interventi di contrasto alla povertà e di sostegno psicosociale) che di Paesi di origine (interventi di cooperazione internazionale per l’applicazione del concetto di sussidiarietà).

In definitiva ci sembra che, con questo paragrafo 65, la Chiesa –  e ciò vale per  tutte le sue componenti: quindi anche per noi associazioni  familiari di ispirazione cristiana – abbia compiuto una significativa scelta di campo: laddove vi è un  bambino abbandonato, in qualsiasi paese del mondo esso viva, la Chiesa  si schiera,  in prima linea, al suo fianco, invocando il suo sacrosanto ed irrinunciabile diritto ad essere un figlio , un vero figlio!

Marco Griffini

Presidente di Ai.Bi.- Amici dei Bambini



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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