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Maternità surrogata: pratica incompatibile col rispetto dei diritti umani e della dignità delle donne e dei bambini.

Un'immagine simbolica della maternità surrogata


Ieri abbiamo pubblicato l’apprezzato contributo di Susanna Tamaro intervenuta il 23 marzo u.s. a Montecitorio all’incontro sulla maternità surrogata organizzato da “Se non ora quando-Libere” e dedicato ad affrontare il tema “Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata, una sfida mondiale”.

Oggi proponiamo il testo del documento approvato al termine dell’Incontro internazionale; si tratta di una richiesta che ha come destinataria la Commissione che vigila sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne (Cedaw), la Divisione dei diritti umani e l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite: come la schiavitù, come le mutilazioni genitali, così le Nazioni Unite dichiarino senza ambiguità che la maternità surrogata è una pratica «incompatibile con il rispetto dei diritti umani e della dignità delle donne».

«Noi firmatari – così si apre l’appello – chiediamo di aprire una procedura volta a raccomandare il divieto della pratica della maternità surrogata». La Convenzione contro le discriminazioni (Cedaw) è stata adottata nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed è entrata in vigore nel 1981 (non firmata da 6 Paesi tra cui Sudan, Somalia, Iran e Usa): sulle sue disposizioni vigila la Commissione a cui “Se non ora quando-Libere” ora si rivolge.

Mentre condividiamo le preoccupazioni, le motivazioni e le finalità che hanno istruito e orientato il documento, consideriamo suscettibili di una necessaria ripresa e approfondimento, quei passaggi del testo che sfiorano alcune situazioni il cui profilo non è sempre facilmente descrivibile e certo non omologabile ad un’unica condizione; a titolo d’esempio, il documento mette in guardia da un possibile inganno promosso dalla «retorica sulla libertà individuale e sul “meraviglioso dono della vita”» poiché «la surrogata porta ad una effettiva cosificazione della madre e del bambino dato che crea consapevolmente una situazione di rinuncia e di abbandono».

Nessun dubbio che la surrogata conduca a questa deplorevole situazione, ma siamo in grado di affermare che molte altre situazioni in cui la madre giunga o consapevolmente si orienti verso una situazione di rinuncia o di abbandono del figlio partorito, non siano da ricondurre genericamente tra le esperienze di strumentalizzazione e cosificazione delle persone (utili a tal fine gli approfondimenti sul tema proposti nel fascicolo, n. 4 della rivista “Lemà sabactàni?” coi preziosi contributi di M. Antonieta Pisano Motta, Giorgio Campanini, Francesco Belletti, Silvano Petrosino, Davide Pezzoni e Alberto Cozzi).

Questo il testo della importante Raccomandazione ONU contro la maternità surrogata.

Noi firmatari chiediamo alle istanze delle Nazioni Unite preposte al rispetto delle Convenzioni sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne (CEDAW), sui diritti umani e sui diritti dei bambini, di aprire una procedura volta a raccomandare il divieto della pratica della maternità surrogata in quanto incompatibile con il rispetto dei diritti umani e della dignità delle donne.

In effetti, la Convenzione CEDAW nel suo preambolo accorda un’attenzione particolare all’eliminazione di tutte le barriere economiche, politiche, soprattutto sociali e culturali che impediscono l’uguaglianza tra donne e uomini e riconosce in particolare il valore fondamentale della differenza tra gli uomini e le donne che appare dunque superiore anche all’autodeterminazione delle differenti culture e al principio del relativismo culturale. Particolarmente cruciale risulta il riferimento alla protezione fisica e psicologica delle donne, in quanto universalmente riconosciuta nella Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo. La Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo ha, in effetti, considerato il principio della difesa della dignità umana un obiettivo primario da perseguire nel quadro della sovranità statale, ma anche nello spazio delle relazioni internazionali, escludendo così la legittimità di ogni pratica di scambio, commerciale o altruista, con oggetto l’essere umano.

La maternità surrogata consiste appunto nella specifica appropriazione delle capacità riproduttive delle donne. Essa porta ad esercitare un controllo estremamente severo su tutti gli aspetti della loro vita durante la gravidanza e a mettere in pericolo la loro salute fisica e psichica al solo scopo di soddisfare il desiderio di terzi.

A questo riguardo non bisogna lasciarsi ingannare dalla retorica sulla libertà individuale e sul “meraviglioso dono della vita”. La surrogata porta ad una effettiva cosificazione della madre e del bambino dato che crea consapevolmente una situazione di rinuncia e di abbandono.

Il desiderio di essere padre o madre non può essere elevato a diritto individuale del committente di disporre del corpo di una donna ed appropriarsi in tal modo della vita di un bambino.

1. La surrogata colpisce una delle possibilità più rilevanti nate dall’inedito processo storico aperto dalle battaglie delle donne per il pieno godimento della libertà. Qual è, in effetti, una prima, percepibile novità prodotta dall’accesso “collettivo” delle donne alla libera espressione, materiale e culturale, di sé? Che l’intera esistenza umana può innalzarsi alla dimensione della libertà. Non solo quindi la creazione politica o la creazione intellettuale, non solo la creazione manuale o quella spirituale, ma anche la creazione-cura del corpo può finalmente uscire dal cono d’ombra della necessità naturale e accedere alla libertà. Diventa cioè possibile ridefinire cosa si intende per pienezza umana facendovi rientrare finalmente la maternità.

Con la legittimazione della surrogata viene, invece, cancellata proprio questa possibilità: nell’apparente esaltazione del desiderio di generazione la maternità – che è un complesso unitario di desiderio, pensieri ed emozioni insieme a processi chimico-biologici che coinvolgono la donna e il nascituro – viene, invece, scomposta in tanti pezzi distinti uno dall’altro, come se si trattasse di una cosa. La maternità da atto eminentemente umano, espressione altissima della dignità umana femminile, decade a procedimento meccanico, le cui componenti scisse diventano merci da mettere sul mercato.

2. Il termine “gestante per altri” è volutamente riduttivo poiché lascia intendere che la gravidanza possa essere ridotta al funzionamento dell’utero come contenitore per soddisfare il desiderio di altre persone. Lasciando da parte il fatto che la madre “portatrice” mette a disposizione di altri non solo il suo utero ma tutto il suo corpo e la sua psiche per “fabbricare un bambino” destinato ad essere dato via al momento della nascita, vi è qui una contraddizione evidente tra lo sviluppo della ricerca medica che parla dei legami e degli scambi sia biologici che affettivi tra la madre e il feto e l’utilizzazione di una tecnica che li nega. Per legittimare la surrogata si sostiene che questi legami sono insignificanti e possono essere cancellati senza danno per la donna e il bambino.

La surrogata mette in pericolo la salute fisica e psichica della donna, visto che nella gravidanza e nel parto possono verificarsi complicazioni con possibili menomazioni o decessi.

3. La pratica della maternità surrogata (detta eufemisticamente “gestazione per altri” o GPA) si risolve in numerosi obblighi e costrizioni che costituiscono autentici attentati alla vita privata e alla autodeterminazione della donna: il suo corpo e la sua salute sono messi a disposizione dei committenti e delle agenzie specializzate. In molti casi la madre “gestante per altri” non viene neppure consultata su decisioni che toccano la sua salute. Nei casi in cui queste decisioni restano formalmente in capo a lei, ne perde di fatto il controllo per le conseguenze economiche previste dal contratto se agisce in contrasto con l’interesse dei committenti. Si è così arrivati a situazioni umanamente drammatiche e giuridicamente inestricabili, di cui la più evidente è quella di una eventuale interruzione di gravidanza imposta da terzi. Nei numerosi paesi dove essa è autorizzata, la decisione dell’interruzione volontaria di gravidanza appartiene solo alla donna incinta. Nella gestazione per altri la madre perde di fatto questa facoltà, che si tratti di una gravidanza che mette in pericolo la propria salute o di una malformazione del feto. Mettere a disposizione di altri il complesso della vita fisica e psichica della madre “portatrice” è un atto di limitazione della libertà delle donne, inaudito dall’abolizione della schiavitù.

4. Contrariamente a quanto è stato detto o scritto, questa pratica è un fenomeno nuovo, favorito dallo sviluppo delle nuove tecnologie della riproduzione. La maternità surrogata non è in se stessa una tecnica di riproduzione, ma una pratica sociale che utilizza tecniche inizialmente create per altri fini ed è favorita dalla rapida crescita di un gigantesco mercato della riproduzione umana che viola la libertà, dignità e integrità fisica delle donne. Agenzie specializzate reclutano le madri portatrici e organizzano la rete dei committenti a livello internazionale guadagnando somme assai rilevanti. Il mercato è stimato a diversi miliardi di dollari per anno. In alcuni paesi, le madri portatrici sono reclutate tra le popolazioni più povere: in India sono reclutate nei villaggi per essere poi concentrate in cliniche fino alla nascita del bambino, così esse sperano di uscire dalla miseria grazie a un compenso superiore al reddito medio annuale. Negli Stati Uniti, le madri portatrici, per ragioni legate alla minimizzazione dei rischi, non sono reclutate tra le popolazioni più povere ma tra donne della classe media con basso reddito. Sebbene le agenzie cerchino di far credere il contrario , dando grande pubblicità a casi rarissimi, al fondo c’è sempre diseguaglianza di reddito tra committenti e madre portatrice.

5. Legittimare un simile mercato della riproduzione umana sarebbe una sconfitta per le donne e per il Diritto internazionale, specialmente la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione verso le donne (CEDAW).

Inoltre la pratica della GPA contrasta con molti strumenti giuridici internazionali di protezione dei diritti umani. È, innanzitutto, contraria alla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei riguardi delle donne (CEDAW). In effetti, poiché consiste nell’appropriazione specifica delle capacità riproduttive delle donne, essa è profondamente discriminatoria e contraria all’obiettivo del pieno sviluppo e progresso delle donne verso il pieno godimento dei diritti umani fondamentali previsto dall’articolo 3. È ugualmente contraria all’articolo 6 della Convenzione CEDAW che prevede la repressione del commercio delle donne: sfruttare la fragilità economica e/o sociale di alcune donne per spingerle, in cambio di denaro, a mettere le loro capacità riproduttive al servizio dei più ricchi non è nient’altro che commercio. È anche contraria alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla schiavitù (articolo 1 che definisce la schiavitù come lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o di alcuni di essi, nel caso in questione l’acquisizione di un diritto d’uso sulla persona e il corpo della donna al fine di appropriarsi del bambino di cui è incinta), la Convenzione internazionale dei diritti del bambino (articolo 7 § 1 sul diritto a conoscere i genitori e di essere allevato da loro, articolo 9 §1 che mira ad evitare che il bambino sia separato dai suoi genitori contro il loro volere e articolo 35 che prevede la lotta contro il rapimento, la vendita o la tratta di minori per qualsiasi scopo e sotto qualsiasi forma), il Protocollo facoltativo alla Convenzione dei diritti dell’infanzia, riguardante la vendita di bambini, la prostituzione minorile e la pornografia avente a oggetto bambini (articolo 2 a) che definisce la vendita di bambini come la consegna a un terzo dietro compenso o vantaggi e articolo 3 che esige il reato penale per la vendita di bambini come per l’ottenimento indebito del consenso all’adozione di un bambino in violazione delle norme giuridiche internazionali in materia di adozione), il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale volta a prevenire, reprimere e punire la tratta delle persone, in particolare la tratta di donne e bambini (articolo 3 a) che definisce la tratta come il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggiamento o accoglienza di persone soprattutto con l’inganno, l’abuso d’autorità o di una situazione di vulnerabilità per scopi di sfruttamento), la Convenzione relativa all’adozione internazionale (specie l’articolo 4 sull’assenza di accordi prima della nascita e di compensi, come lo spirito generale di questa convenzione), la Convenzione del Consiglio d’Europa in materia di adozione di bambini (articolo 5 sull’assenza di consenso preventivo alla nascita), la Convenzione del Consiglio d’Europa, detta di Varsavia, sulla lotta contro la tratta di esseri umani, la Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la biomedicina, detta Convenzione di Oviedo (articolo 21) e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che stipulano che “Il corpo umano e le sue parti non devono essere, in quanto tali, fonte di profitto”.

6. È importante a questo proposito ricordare le recenti prese di posizione contrarie al riconoscimento e alla regolamentazione della maternità surrogata da parte di istituzioni regionali come il Parlamento europeo e l’Assemblea del Consiglio d’Europa. E’ importante anche ricordare le indicazioni contrarie contenute nelle conclusioni della Commissione di inchiesta governativa in Svezia e anche le azioni di protezione nazionale che sono state stabilite o stanno per esserlo in India, Cambogia, Tailandia, Tibet dinanzi al pericolo di essere classificati, nel quadro di una nuova ripartizione internazionale della riproduzione umana operata dal mercato, come “paesi riserva di uteri o paesi riproduttori”.

7. Noi viviamo in un sistema mondiale dove il divieto esistente in alcuni paesi è praticamente cancellato dal semplice fatto che i loro cittadini, spesso contattati dalle agenzie delle madri portatrici, si recano all’estero per aggirare la legislazione nazionale. Spesso le giurisdizioni nazionali, quando sono coinvolte, ignorando l’esistenza di una madre portatrice, si adeguano alla situazione di fatto e la ratificano.

8. È dunque necessario coinvolgere le agenzie dell’ONU per creare sul piano internazionale le condizioni per l’abolizione della maternità surrogata. In questa prospettiva è urgente adottare, nel quadro della CEDAW, una raccomandazione contro la maternità surrogata sul modello di quella adottata per combattere la pratica delle mutilazioni genitali femminili. Questa opzione tende a raccogliere il più largo consenso nel percorso che mira alla sua abolizione universale.

Per rendere pienamente efficace la lotta contro questa pratica, converrà anche prevedere accordi internazionali al fine di scoraggiare lo spostamento di cittadini da stati in cui la maternità surrogata è illegale verso gli stati che la consentano e organizzare sistemi di repressione dell’attività di intermediazione.

Inoltre per i casi esistenti sarebbe importante mettere a punto una procedura di riconoscimento del neonato conforme alle regole sui diritti del bambino, in particolare dell’articolo 7 §1 della Convenzione dei diritti del bambino che deve essere letto come quello che dà a quest’ultimo il diritto di conoscere la madre che l’ha messo al mondo dopo averlo portato in grembo per nove mesi e, nella misura del possibile, di essere allevato da lei.



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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