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Non amiamo a parole, né con la lingua, ma coi fatti e nella verità.

Nel Vangelo di oggi, quinta domenica di Pasqua, c’è un’immagine (o metafora o piccola parabola) bella: «io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore». E, poi, più sotto, in modo chiarissimo: «io sono la vite, voi i tralci».


Sono due, mi pare i messaggi che possiamo ricevere da questa piccola parabola.

Il primo è che il Padre è l’agricoltore di una vite che è Gesù stesso.

Ogni agricoltore ha cura delle sue piante. Ma, in modo particolare, i viticoltori hanno una grande cura delle loro viti, perché sono piante molto delicate.

Questa immagine dunque ci parla della cura del Padre per il Figlio, paragonandola alla cura di un agricoltore per la sua vite.

Il secondo messaggio di questa piccola parabola è molto legato e anzi fa un tutt’uno con il precedente: c’è un legame profondo tra la vite e o tralci, al punto che sono una cosa sola.

Non c’è una vite senza i tralci, così come i tralci possono portare frutto solo se sono uniti alla pianta che li ha generati.

Questo secondo significato dell’immagine di Gesù sottolinea dunque l’unione profonda che c’è tra noi e Lui. Tra il credente e Gesù c’è un legame, addirittura una dipendenza.

In effetti, noi non la vediamo questa dipendenza, e potremmo illuderci di essere autonomi e indipendenti. Viviamo in un’epoca in cui si esalta l’autonomia. E va bene.

L’autonomia dice che ciascuno di noi è assolutamente unico. Non c’è un uomo uguale all’altro, nemmeno due gemelli!

Non solo, l’autonomia dice che ciascuno di noi, nella sua unicità, è affidato a sé stesso: è il grande dono della libertà. Ciascuno di noi, in fondo, deve decidere – e non può non farlo – quale orientamento dare alla propria vita.

Ma questa grande insistenza sulla libertà e l’autonomia rischia di farci dimenticare che ciascuno di noi è strettamente ‘dipendente’ dagli altri.

Pensate a quanto è bello stare con una persona che ci vuole bene e che ci fa del bene. E, invece, come è difficile e faticoso stare insieme con una persona che mal ci sopporta, che è sgarbata o, addirittura, magari, cattiva con noi.

Questo può succedere ovunque, in famiglia, anche tra marito e moglie, o tra genitori e figli, o tra fratelli; succede anche nei diversi ambienti o gruppi che frequentiamo: dal lavoro alle ’amicizie’; succede anche nella comunità cristiana. Una persona ‘bella’, può, da sola, quasi trasformare le relazioni in un gruppo, così come una persona ‘cattiva’ può rovinare tutte le altre relazioni.

Ecco, noi siamo strettamente legati e addirittura ‘dipendenti’ gli uni dagli altri, pur rimanendo sempre liberi e responsabili di noi stessi.

Ecco, Gesù ci dice che tra Lui e noi, c’è un legame profondo. Questo legame è un dono, un dono d’amore, un dono di grazia. È Lui che si unisce a noi come la vite ai tralci. Questo dono, però, non va senza la nostra risposta.

Gesù dice, nel Vangelo, che ci sono dei tralci, che pure sono uniti a Lui, che non portano frutto. E aggiunge che il Padre, l’agricoltore, taglia i tralci che non portano frutto.

Tutti noi lo sappiamo: quando i rami o un ramo di una pianta diventano secchi, il buon agricoltore li toglie, li taglia, li butta via. Sono già morti. Si sono già separati dalla linfa vitale della pianta.

Al di là dell’immagine, possiamo dire che Dio, il Padre di Gesù, non ‘butta’ via nessuno. Lui è il Dio che si prende cura di noi.

Con questa immagine del ‘buttare via’ Gesù vuole sottolineare che noi corriamo il rischio di ‘buttarci via’ e di farci del male da soli.

Questa è la grande responsabilità della nostra libertà: noi possiamo farci del male da noi stessi. Possiamo buttarci via, possiamo distruggerci.

Questo accade quando noi ci separiamo da Gesù.

Gesù dice anche che il Padre fa una operazione delicata sulla sua vite: è la potatura. «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutti».

Guai se la potatura è fatta da un contadino che non ha cura delle sue piante, le sue viti, o da un contadino che non sa fare bene il suo mestiere! Rischia di tagliare al momento sbagliato e di ferire la pianta; rischia di tagliare troppo e di far morire la pianta, la sua vite.

Non è facile dire che cosa ci sia dietro l’immagine della potatura.

A me pare che sia la vita stessa che, in tanti modi, ci ‘pota’: ci fa fare dei tagli, come le separazioni, le perdite, in tanti modi, fino alla morte delle persone che ci sono care. Oppure sono ‘potature’ le situazioni difficili, le ferite che ci fanno soffrire e di cui non comprendiamo il perché.

Con questa immagine, Gesù ci dice che le ‘potature’ non fanno male, ma questo non ci autorizza a dire che tutto ciò che ci fa soffrire è mandato da Dio come una potatura. Ci invita, Gesù, a discernere, nella nostra vita, tra ciò che patiamo, perché possiamo viverlo con frutto, attraversando il dolore e la difficoltà, senza perdere la fede che Dio Padre si prende cura di noi!

Quello che conta è che il tralcio ‘rimanga’ nella vite: «rimanete in me e io in voi». Cercare la comunione con Gesù anche quando ci sembra lontano, nascosto, perduto. «Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto».

Ecco, questo è l’essenziale: rimanere in profondo legame con Gesù: perché Lui ci dice: «senza di me non potete far nulla». Ecco, forse di questo non siamo molto convinti: che senza Gesù la nostra vita non possa essere fruttuosa.

Molti cristiani, forse anche tra noi, pensano di poter vivere tranquillamente senza Gesù. È una illusione! È un inganno.

La Parola di Gesù è molto forte.

La comprendiamo bene solo se ci domandiamo che cosa voglia dire ‘portare frutto’. Che cosa è questo ‘frutto’ di cui ci parla Gesù?

In altre parole, quando la nostra vita è davvero fruttuosa o feconda? Che cosa conta davvero nella nostra vita?

Fare frutto nella vita vuol dire fare molti soldi, costruire una bella carriera, avere una bella casa, essere circondati da molte persone che parlano bene di te, solo quando tu ascolti, potersi divertire a piacere, avere gloria e fama?

Qual è il frutto che cerchiamo nella nostra vita? Qual è il frutto della nostra vite?

Ecco la risposta di Gesù: portare frutto significa diventare suoi discepoli. In questo modo, soltanto, noi glorifichiamo il Padre, gli diamo gloria e onore, lo riconosciamo come il nostro Padre!

L’apostolo Giovanni, nella seconda lettura, dice: «non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità».

Ecco, qui, in due parole, è detto con grande chiarezza che cosa sia il frutto del discepolo: l’amore, non a parole o con la lingua, bensì nei fatti e nella verità.

Il comandamento, unico, di Dio è di credere nel suo Figlio e di amarci gli uni gli altri.

Questo è il frutto che conta davvero nella nostra vita!

Gli atti degli Apostoli, nella prima lettura, raccontano un piccolo tratto della prima comunità di discepoli, parlandoci dell’enorme cambiamento di Saulo, sulla via di Damasco. Le comunità hanno ancore paura di lui. Forse credono o temono che il suo cambiamento sia solo di ‘facciata’, come quello di una spia.

Sarà uno di loro, Barnaba, a far da ‘mediatore’.

Ecco, anche questo è amarsi gli uni gli altri, è superare i sospetti, le diffidenze, le differenze, le divisioni, per crescere nella fede, con il «conforto dello Spirito Santo»!

don Maurizio Chiodi



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