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Non è Dio ad aver introdotto il male nella storia.

Gesu_discepoli-570x336Il Vangelo di oggi è particolarmente ricco di parabole. Ce ne sono ben tre!

Al termine, l’evangelista Matteo spiega bene perché Gesù parla in parabole: egli «non parlava» alle folle «se non con parabole», perché attraverso queste proclamava «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».

La parabola è una similitudine. È un discorso per immagini, che chiede a chi ascolta di entrare nell’immagine, per comprenderla, per interpretarla, per intenderne il senso, quasi lasciandosi condurre alla ‘punta’ della parabola, ciò che la parabola indica. La parabola dunque rivela ciò che è nascosto, ma solo se noi siamo disposti a lasciarci istruire. Questo è stato il modo tipico di parlare di Gesù, soprattutto da quando la sua parola ha cominciato a trovare una forte opposizione e ad essere rifiutata, dalle città della Galilea. La parabola richiede lo sforzo di chi ascolta, per comprenderne il senso.

Oggi il Vangelo stesso ci racconta che, quando si trovano soli con Gesù, «in casa», i discepoli chiedono a Gesù di spiegare loro «la parabola della zizzania nel campo».

Anche i discepoli hanno fatto fatica, molte volte, a entrare nella parabola e nel suo significato. Così, questo vangelo, oltre alla parabola, ci offre la sua spiegazione, entrando in tutti i dettagli, anche con il rischio di trasformarla in una ’allegoria’, che deve necessariamente trovare il significato di tutti gli elementi del racconto.

In realtà, in genere, la parabola getta una luce su una realtà – qui è il Regno di Dio – «il regno dei cieli», a partire da un’esperienza ben conosciuta o da qualcosa: un granello di senape, il lievito, una perla preziosa, un tesoro, il seminatore, il seme … e così via.

La prima delle tre parabole di questo Vangelo si ricollega a quella della scorsa domenica che parlava del seminatore che, uscito a seminare, aveva gettato il seme su terreni diversi, producendo così frutti ben diversi.

È sempre così per la parabola e, più in generale, per la Parola di Gesù: è inseparabile da chi l’ascolta e da come noi la accogliamo. Ma è così per ogni parola umana: quando un altro parla, sono io che ascolto. Potrei anche fraintendere la sua parola e quindi deformarla, manipolarla, trasformarla.

 «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme …».

È molto bello questo inizio: «il regno dei cieli» non è una ‘cosa’ bell’e pronta, ben confezionata, non è un oggetto che si possiede. Il regno dei cieli è un atto di Dio. È il suo entrare nella storia dell’uomo.

Comprendiamo bene come questo ’atto di Dio’ trovi la sua forma definitiva e compiuta proprio in Gesù, al termine di una lunga storia nella quale Dio si è coinvolto nelle vicende del popolo di Israele e di tutta l’umanità.

Non è però una storia conclusa.

Dio continua ad agire nella storia trasformandola dal di dentro, fino a quando, un giorno, arriverà il momento della «mietitura»’, che è «la fine del mondo».

Questa prima parabola di Gesù risponde a una domanda molto profonda: perché c’è il male? Da dove viene il male?

Perché nella storia umana, insieme al bene, insieme alla promessa buona di Dio, c’è anche tanto odio, tanta violenza, tanta menzogna?

Perché ci sono tante ingiustizie, in questo mondo?

La parabola dice che non è Dio che ha introdotto il male nella storia. È «il suo nemico», che ha seminato «della zizzania in mezzo al grano». Ma questa zizzania non sarebbe mai cresciuta se non avesse trovato un terreno pronto ad accoglierla.

L’uomo compie il male, ma non è l’origine del male. Anche egli lo subisce, compiendolo. Noi ci facciamo il male con le nostre mani, ci feriamo da soli.

Questo è il male: la ferita della promessa di Dio.

Il male è il tradimento del bene che abbiamo ricevuto, perché non lo riconosciamo più come un dono che ci è stato offerto e di cui dobbiamo essere grati. Nel male noi pretendiamo di dominare prepotentemente sui doni di Dio: la nostra vita, la vita dell’altro, il mondo e la natura …

Questa è la storia: una inscindibile mescolanza di bene e male, dove il male, però, non può cancellare il bene e però il bene è sempre, e purtroppo, mescolato al male.

Questa parabola ci invita a essere realisti e cioè a non essere né ingenui né catastrofisti.

Molti, tra noi, in effetti, diventano spesso dei ‘profeti di sventura’, come diceva papa Giovanni XXIII, quando voleva ammonire quelli che vedono il nero, il male, dappertutto … meno che in se stessi!

Molti altri, però, tra noi, sono degli ingenui ottimisti, che si ostinano a non vedere i drammi della storia … finché non sono loro a esserne travolti.

La storia non è ancora la fine. C’è in essa un ‘germe di bene’, una promessa di Dio che, però, è immersa nel dramma della libertà umana, che cede alla tentazione del ‘nemico’.

Ma alla fine, tutto sarà illuminato dalla Parola del Figlio dell’uomo.

Questa parabola ci mette in guardia, prospettando a tutti gli operatori di ‘scandalo’ e di ‘iniquità’ l’inferno della disperazione di chi, da se stesso, si priva del dono di Dio.

Le altre due piccole parabole ci aprono una bellissima luce di speranza, confermandoci che la promessa di Dio non è affatto perduta. Dio continua ad agire nella storia, ma lo fa in modo per noi sorprendente e inatteso.

Ascoltiamo, dunque, come Dio continua ad agire oggi.

«Il Regno dei cieli è simile ad un granello di senape». Dovete sapere che, come dice Gesù stesso, questo granello è «il più piccolo di tutti i semi». L’atto di Dio nella storia, oggi, sembra proprio così piccolo.

Dov’è Dio? così oggi si chiedono molti di noi, davanti al male del mondo.

Gesù stesso è un piccolo uomo, venuto al mondo in un piccolo e sperduto borgo della Galilea, fuori dai grandi circuiti del potere, della ricchezza, della visibilità.

Gesù, in questa parabola, parla dunque, ultimamente, proprio di sé, della sua opera, del suo ‘stile’.

Eppure, da questo piccolissimo seme, nasce la pianta più grande, quella che offre rifugio agli «uccelli del cielo».

L’agire di Dio, la sua promessa di bene, non scompare. È fedele. Nulla potrà distruggerla, al di là delle apparenze, al di là della sua piccolezza, al di là della zizzania che è seminata nel campo della storia.

Ugualmente, l’ultima parabola parla dell’agire di Dio come di un lievito che entra nella massa della farina, per lievitarla dall’interno.

Questo è Gesù: si è fatto carne. È entrato nella farina del mondo, nella farina della nostra vita, per diventare nostro cibo e farci diventare come lui, accogliendo il suo dono di sé nella nostra vita.

Questo ‘dono’ è perché noi operiamo nella storia, è perché noi agiamo con fiducia e speranza nella promessa di bene che abbiamo ricevuto e ascoltato.

A noi è chiesto di essere lievito che, nella pasta del mondo, annuncia il lievito dell’amore, il granellino di senape della grazia, il buon seme che Dio non si stanca di gettare nel campo della storia.

È questo il compito dei cristiani di oggi, il compito dei cristiani nel mondo; ricordare a tutti che la promessa, la grazia e la sovrabbondanza del dono di Dio sono più forti di tutto!

Grazie a Dio!

don Maurizio



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