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«Non vi lascerò». Il cristiano annuncia che siamo figli, non orfani.

media-613793-2La Parola di Dio di questa sesta domenica di Pasqua è particolarmente ricca e ci rivela sfumature diverse dell’unico Vangelo.


Nella lettura del Vangelo di Giovanni, oggi, abbiamo ascoltato una parte del lungo discorso che l’evangelista fa pronunciare a Gesù durante l’Ultima Cena, dopo la lavanda dei piedi.

Nel testo di oggi ci sono quattro passaggi che mi sembrano belli da sottolineare.

Il primo è il legame tra l’osservanza dei comandamenti e l’amore per Gesù: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Questa parola è ripresa quasi alla fine del Vangelo odierno: «chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama».

Amare Gesù e osservare i suoi comandamenti è un’unica cosa.

L’amore non si può ridurre a un sentimento, a uno slancio degli affetti. L’amore è pratica di vita, concreta. È un modo di agire, uno stile che riguarda tutto: il comportamento, i desideri, gli affetti, i pensieri, le immaginazioni, le parole.

La parola di Gesù è impegnativa, ci chiede una decisione, che ci tocca in tutta la nostra esistenza: per questo Giovanni, e Gesù, parla di «comandamenti».

Poco prima, al capitolo tredici, lo stesso evangelista parla di «comandamento», al singolare, come a dire che non si tratta di moltiplicare le cose da fare. Al contrario, in tutto ciò che facciamo ci è chiesta un’unica cosa: «vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri».

Chissà quante volte abbiamo sentito queste parole e forse rischiamo di lasciarle cadere senza farle nostre! A chi lo ama, Gesù chiede un amore reciproco verso tutti i suoi fratelli, i discepoli che appartengono alla sua stessa comunità.

L’amore è una bella reciprocità. Non ha una sola direzione: è nello stesso tempo dare e ricevere.

Amare non è soltanto donare, ma è anche e anzitutto ricevere.

Così accade già nella vita di tutti gli uomini e le donne. Nessuno di noi sarebbe capace di amare se prima non fosse stato amato. Amare significa anzitutto essere amati. Solo così noi possiamo a nostra volta rispondere, amando.

Per questo è importante, anche quando si è adulti, rimanere capaci di ricevere, lasciare che gli altri ci possano amare.

A volte ci lamentiamo di dovere far sempre noi il primo passo, ma forse sta proprio qui il problema, il ‘nodo’: che non abbiamo occhi per riconoscere le tante situazioni in cui anche noi riceviamo amore!

Più radicalmente, questo è vero anche nel nostro rapporto con Gesù, con Dio.

Sempre al capitolo tredici di Giovanni, dove Gesù parla del suo comandamento, subito dopo, è scritto: «come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri».

Non dobbiamo ridurre questa Parola di Gesù a un semplice invito a imitarlo o una istruzione su come agire. Qui c’è in gioco molto di più!

Quel «come io ho amato voi», non significa solo e anzitutto «così come…», ma significa: ‘dal momento che…’, ‘per il fatto che…’.

È perché Gesù ci ha amato che Lui ci chiede di esserne testimoni gli uni per gli altri dell’amore che noi tutti, gratuitamente, abbiamo ricevuto in dono, per grazia, da Lui!

Così si chiude il cerchio con la Parola di Gesù che abbiamo ascoltato oggi: amandoci per primo, Gesù ci chiede di amarci gli uni gli altri ed è amandoci gli uni gli altri che noi amiamo Lui. La nostra risposta al suo amore è l’amore reciproco, gli uni gli altri, gratuito come è la sua grazia per noi!

È proprio in questa luce che comprendiamo il secondo passaggio del Vangelo di oggi, dove Gesù dice, alla conclusione: «Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Così è esplicito quello che dicevamo prima: amando Gesù, che ci ama in anticipo, e amandolo nell’amore reciproco tra fratelli, noi riceviamo l’amore del Padre, lo gustiamo nella nostra vita. E così continuiamo a ricevere l’amore di Gesù, che si manifesta a noi, per grazia!

Da qui il terzo passaggio di questo Vangelo: «Non vi lascerò orfani».  Il cristiano è un figlio, non un orfano.

È figlio del Padre, di cui gusta l’amore, è figlio perché fratello ed amico di Gesù, che è il Figlio per eccellenza.

Dunque non siamo soli! Non siamo privati dell’amore, come è un orfano! Siamo colmati da un amore sovrabbondante.

In questo senso noi continuiamo a vedere Gesù, anche se non lo vediamo fisicamente. Lo vediamo perché siamo in comunione con Lui, che è in comunione con il Padre.

Tutto questo è difficile, a volte, da capire, da ricordare, e soprattutto da vivere. Questo è il quarto passaggio del Vangelo di oggi che è come un culmine e un compimento di tutte le parole di Gesù: è la promessa del dono dello Spirito. «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito».

È Gesù che chiede per noi il dono dello Spirito.

Sono tre le caratteristiche di questo Dono, che è il dono per eccellenza, il Dono di Dio che è Dono.

Lo Spirito è un «altro Paraclito».  Sì, perché il primo Paraclito, il primo Consolatore, Avvocato difensore, è Gesù stesso. Lo Spirito consolatore, dopo la ‘partenza’ di Gesù da questo mondo, è il modo in cui Gesù stesso continua a rimanere tra noi.

È bella questa prima qualità dello Spirito: è Spirito di consolazione. Spirito che ci difende dalle difficoltà, dalle insidie, dalle accuse, dalla malvagità.

Questo è vero sempre.

Gesù insiste nel dire, ed è la seconda caratteristica dello Spirito: «perché rimanga con voi per sempre». Sono molto belle queste parole: «con voi» e «per sempre». Dio è lo Spirito di Gesù e del Padre: è il rimanere di Dio con noi, come nostro alleato, sempre.

Per questo non siamo orfani. Non siamo mai soli.

Questo Spirito, infine, è «Spirito della verità»: perché ci conduce alla verità, che ci è rivelata in Gesù, e perché è Lui stesso la verità, che è la gratuità dell’amore di Dio per noi!

È in questo orizzonte, ricco di speranza, che possiamo allora ascoltare le bellissime e famose parole dell’apostolo Pietro, all’inizio della seconda lettura di questa domenica: «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi».

Ecco una splendida sintesi di quel che è ogni cristiano: uno che è ‘pronto’, in ogni circostanza, a «rispondere», a dire all’altro che gli domanda quale sia la «ragione», il motivo, il perché, «della speranza» che lo abita, lo anima, lo sostiene.

A questo siamo chiamati, «con dolcezza e rispetto», senza arroganza, senza pretendere e costringere l’altro, ma quasi aspettando che anche lui si decida a compiere il primo passo.

Tutto questo rendere «ragione della speranza» che ci abita lo dobbiamo vivere nelle parole e nelle opere della nostra vita, insieme con gli altri, a partire dalla nostra comunità.

Gli Atti degli Apostoli raccontano di Filippo, diacono, che predica Gesù, parlando e compiendo dei segni prodigiosi, segni graziosi, segnI che manifestano le grazie e l’opera di Dio, attraverso di lui.

A questo siamo chiamati anche noi.

Parole e segni che oggi manifestino agli uomini questo amore gratuito e sovrabbondante,

L’effetto di tutto ciò, oltre le fatiche, le amarezze, le asprezze, le difficoltà della vita, è la gioia: «E vi fu grande gioia in quella città».

È la gioia frutto del dono dello Spirito di Gesù!

don Maurizio



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