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Nutrendoci di Gesù accogliamo il dono di diventare «un unico corpo»: la Chiesa.

arcabas corpusDalla Pentecoste alla Trinità, dalla Trinità all’Eucarestia.


Così, nelle ultime tre domeniche, la liturgia ci ha fatto camminare, quasi a ripercorrere, al culmine della Pasqua, le verità profonde della nostra fede cristiana.

Oggi, al centro di questo cammino, prima di riprendere il tempo ordinario, con la prossima domenica, celebriamo la solennità del Corpo e Sangue di Cristo, il Corpus Domini.

Proprio mentre celebriamo l’Eucarestia, il tempo liturgico ci chiede di fare memoria dell’Eucarestia, di questo dono straordinario che, per noi cristiani, è il centro e il senso della domenica. Meglio, forse, dobbiamo dire che la celebrazione dell’Eucarestia dovrebbe essere il centro e il senso della nostra domenica.

Nell’Eucarestia, infatti, noi ci troviamo a fare memoria di quella sera del Giovedì Santo, alla vigilia della sua morte in croce, quando Gesù prese il pane e disse: «questo è il mio corpo». E poi prese il calice del vino e disse: «questo è il calice del mio sangue». Quando Gesù dice del pane: «questo è il mio corpo», è come se dicesse: ”questo sono io” e quando dice del vino «questo è il mio sangue», è come se dicesse: “la mia vita, me stesso, io l’ho donata a voi fino allo spargimento del sangue, fino a morire per voi!”.

Quella sera del Giovedì Santo, in un atto unico e irripetibile, perché legato alla sua morte, Gesù anticipa il dono della vita, nella morte, sorretto dalla ferma fiducia che il Padre non lo abbandona all’abbraccio della morte che uccide.

Così, in anticipo, egli decide che rimarrà tra noi, per sempre, lui, il crocifisso risorto, nel pane e nel vino.

Il Vangelo di Giovanni, che è l’unico Vangelo a non raccontare l’istituzione dell’Eucarestia, ha però quella bellissima espressione, che abbiamo ascoltato oggi, al termine del lunghissimo discorso sul pane di vita, nel capitolo sesto del Vangelo di Giovanni: «il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Possiamo facilmente ritrovare in queste parole il significato e il dono dell’Ultima Cena: il pane donato è la carne di Gesù, e la carne di Gesù è la carne, la presenza reale del Figlio di Dio, il Verbo che «era in principio, presso Dio».

L’Eucarestia, pane e vino, è la carne di Gesù e Gesù è la carne di Dio. Di questo noi facciamo memoria viva, ogni volta che celebriamo l’Eucarestia. Non è come ritrovarci a vedere il film, o la rappresentazione, di un evento avvenuto nel passato.

Quanti di noi vivono l’Eucarestia così: come la ripetizione, più o meno noiosa di un copione già scritto, come se, ad esempio in una famiglia ci si ritrovasse a vedere il filmato di una bella vacanza o di un momento importante della vita!

Nell’Eucarestia non ri-guardiamo e non rappresentiamo semplicemente un atto del passato. Noi celebriamo, piuttosto, la presenza reale della carne di Gesù, che è tra noi nel pane e nel vino. La Parola, il Verbo, che si è fatto carne, rimane tra noi come pane spezzato e vino versato, condiviso.

Per questo, prima di celebrare, nel rito eucaristico, la memoria reale della presenza di Gesù, dono «per la vita del mondo», noi ascoltiamo la sua Parola.

Oltre ai gesti, fino a quello culminante della morte e resurrezione, per comprendere e accogliere la storia di Gesù, è necessario ascoltare la sua Parola.

La Parola illumina i gesti e i gesti sono la verità della Parola di Gesù. Per questo, insieme alla liturgia eucaristica, è assolutamente necessario ascoltare la Parola.

Ed è quello che stiamo facendo proprio adesso!

La Parola di Gesù è quello che Colui-che-è-la-Parola dice di se stesso, nel suo rapporto con noi.

La reazione dei Giudei al discorso di Gesù, al capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, è molto dura e riassume, probabilmente, già la reazione dei Giudei alla cena eucaristica che, da subito, ha caratterizzato la comunità dei discepoli di Gesù, fino ad oggi: «come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Sono parole scandalizzate. Questi giudei hanno preso alla lettera le parole di Gesù, ma non le hanno capite. Hanno pensato che Gesù avrebbe dato la sua carne viva, perché loro la mangiassero.

Nella prima storia della Chiesa, qualche volta, i cristiani sono stati accusati di cannibalismo, proprio a motivo dell’Eucarestia.

Nella sua risposta, Gesù con molta forza ribadisce: «se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita».

Se vogliamo godere di tutte le promesse della vita, e goderne per sempre, se vogliamo gustare la felicità, la beatitudine e la pienezza della vita, dobbiamo nutrirci di Lui.

Eppure non si tratta certo di mangiare la ‘carne’ di Gesù, come la carne di un morto!

Piuttosto, Gesù ci dona di ‘mangiarlo’, di nutrirci di Lui, nel pane eucaristico: «questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono».

Qui c’è un riferimento esplicito, da parte di Gesù, alla prima lettura, un testo bellissimo del Deuteronomio, dove Mosè, ricordando «tutto il cammino» percorso nel deserto, dopo la liberazione della casa dalla schiavitù, ormai giunto alla soglia della terra promessa, ci ha lasciato il suo testamento, appena prima di morire.

Così, al suo popolo, Mosè dice: “guarda che: «in questi quarant’anni nel deserto», il Signore ti ha messo «alla prova», ti ha fatto toccare con mano la fatica e la durezza del deserto, «ti ha fatto provare la fame», ti ha fatto sperimentare che la tua vita non basta a se stessa, ti ha fatto scoprire che tu non puoi salvare da solo la tua vita, «per sapere quello che avevi nel cuore»”.

Sì, perché è nei momenti difficili, i momenti della prova, che viene fuori ciò in cui noi crediamo davvero.

Non diciamo che è nella ‘prova’ che capiamo chi sono i veri amici?

Allo stesso modo, è nella prova, nella durezza del cammino, che appare ciò che ci sta veramente a cuore, ciò che è per noi più prezioso e importante.

Ebbene, dice Mosè, è proprio mentre tu provavi la fame, è proprio allora che il Signore «ti ha nutrito di manna».

La manna era un pane speciale: pane degli angeli, lo chiama, anche, la Scrittura. Manna significa (da man-hu?): che cos’è? Perché la manna, per gli ebrei nel deserto, è stata un segno meraviglioso della provvidenza di un Dio che si prende cura del suo popolo come un padre i suoi figli.

Ma quel cibo era simbolico: era dato perché Israele capisse che il pane, così importante per la vita umana, non ci basta. Quel pane, che è la manna, è il segno che rimanda alla Parola di Dio: «Dio – dice Mosè al suo popolo – io ti ha nutrito di manna», di pane «per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo di quanto esce dalla bocca del Signore».

La manna, dono di Dio, rivelava ad Israele ben più del pane: rivelava la cura di Dio per il suo popolo eletto e amato.

Capite come la ‘manna’ sia simbolo dell’Eucarestia, che è la Parola fatta carne?

E capite come la vera manna sia proprio l’Eucarestia, questo pane che è più di un pane, perché è la Parola fatta carne, che ci accompagna, ci nutre, ci sostiene nel cammino della vita, negli affanni, nelle paure, nelle fatiche, nelle speranze, nelle attese e nelle gioie che sono il nostro pane quotidiano?

Ecco, tutto questo, dice Paolo nella seconda lettura, ci rende «un solo corpo». Nutrendoci dell’unico pane, che è Gesù, noi accogliamo il dono di diventare «un unico corpo»: la Chiesa.

Questo dono è un compito: vivere, dopo, oltre e fuori dal rito dell’Eucarestia, quella comunione che in Gesù ci è donata, perché noi, oggi, sulle strade del mondo, siamo il suo corpo, le sue mani, la sua bocca, il suo amore per tutta l’umanità.

don Maurizio



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