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Qual è il Vangelo che annunciamo?

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la XXIX domenica del tempo ordinario (21/10/18): dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,35-45), dai brani tratti dal libro del profeta Isaìa (Is 53,10-11) e dalla lettera agli Ebrei (Eb 4,14-16).


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Oggi in tutto il mondo la Chiesa Cattolica celebra la Giornata Missionaria.

Lo slogan o il titolo di questa giornata è: “Insieme ai giovani, portiamo il Vangelo a tutti”, il che richiama da vicino il Sinodo che si sta celebrando a Roma in questi giorni, sul tema “i giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Su questo sfondo, i vescovi italiani hanno scelto lo slogan: “giovani per il Vangelo”.

Certo è una bella parola …, anche se, vi confesso, fa un po’ sorridere, considerato che le nostre chiese di giovani sono quasi vuote. Sì, ce ne sono, ma sono pochissimi.

Del resto, anche presso gli adulti, oggi, il Vangelo non riscontra grande simpatia.

Stiamo attraversando un momento o meglio un tempo di crisi e di difficoltà e non sappiamo bene, apparentemente, come uscirne.

In realtà, credo, non dobbiamo scoprire chissà quali marchingegni o cose strabilianti.

Noi siamo certi che il Vangelo ha una ‘forza propulsiva’ che è legata alla sua grazia, all’opera meravigliosa di Gesù, di cui noi non conosciamo bene i tempi e i momenti.

Ma, intanto, ciascuno di noi ha il compito di annunciare al meglio il dono del Vangelo che ha ricevuto.

Ecco, forse proprio qui sta il punto: qual è il Vangelo che annunciamo? Quale Vangelo annunciano le nostre comunità? Un Vangelo spento? Un Vangelo triste? Un Vangelo ‘arrabbiato’ con il mondo? Un Vangelo che sa di muffa? Un Vangelo ritagliato sulle nostre e le altrui pretese?

Quale Vangelo?

Alla domanda non si può che dare una risposta: il Vangelo che dobbiamo annunciare altro non è se non quello di Gesù.

Prendiamo, così, il Vangelo bellissimo di questa domenica.

Gesù ha appena finito di annunciare, per la terza volta, la sua Pasqua di passione, morte e resurrezione, che si avvicinano a lui due dei discepoli più in vista, i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni. Si avvicinano a Lui, probabilmente staccandosi un po’ dagli altri, visto quello che vogliono dirgli …: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».

Non è proprio ‘il massimo’ questo modo di parlare! Prima ancora di dire quello che chiedono, in queste parole c’è qualcosa di stonato. Sembra che questi due abbiano delle pretese’. Vogliono che Gesù faccia per loro, solo per loro, quello che gli chiedono.

Sembra un uso strumentale di Gesù e della loro amicizia’ con Lui.

Gesù sta al gioco: «Che cosa volete che io faccia per voi?», chiede loro. Possiamo già immaginare gli occhi e il tono, stupito, quantomeno, delle parole di Gesù!

E loro, senza retrocedere di un passo, dicono: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

«Concedici…», dicono: almeno adesso sembrano quasi moderare un po’ i toni. Ma poi la loro richiesta è sfacciata, senza scrupoli. Puntano al massimo. Vogliono essere i più vicini a Gesù quando sarà ‘re’, circondato di gloria e di onore.

Vedete, hanno in mente una loro idea di Gesù: quella di un re meraviglioso, trionfante, potente, ricco di successo. E, loro vogliono essere i primi.

In fondo, a questi due ‘discepoli’, di Gesù non importa granché. Lo vogliono solo usare per il loro obiettivo personale. Chissà, forse si erano montati un po’ la testa, loro che fino a poco tempo prima avevano fatto semplicemente i pescatori!

Con grande franchezza, Gesù ribatte, a questi due, che non sanno quello che chiedono.

Ha ragione Gesù! E chissà quale tristezza invadeva il suo animo sapere e toccarecosì con mano l’incomprensione dei suoi discepoli, quelli più vicini a lui!

Poi Gesù dialoga con quei due, chiedendo loro se possono bere «il calice» che egli berrà e se possono essere «battezzati» nel battesimo che egli riceverà.

Senza dubbio queste parole risuonavano misteriose ed enigmatiche anche agli occhi di quei due.

Ma questi, sicuri e baldanzosi, anche se hanno capito assai poco, rispondono: “certo che «lo possiamo»!”. Non li sfiora nemmeno minimamente il dubbio che, forse, non hanno capito bene le parole di Gesù.

Tra parentesi: non assomigliamo anche noi a quei due, non solo per le loro pretese, ma anche per la loro sicumera di conoscere Gesù, di comprendere la sua Parola, quasi meglio di Gesù stesso?

Rispondendo a quei due, Gesù ‘profetizza’ loro che, sì, un giorno berranno il suo calice e saranno battezzati nel suo battesimo.

Qui Gesù annuncia che anche ‘essi’ daranno la vita per Lui … ma quanta strada, insieme con Gesù, dovranno ancora percorrere!

Però questo consola un po’ anche noi. Se i due figli di Zebedeo hanno fatto tanta strada dietro a Gesù, perché non possiamo farne anche noi?

Con grande libertà, infine, Gesù conclude che non ‘sta a Lui’ concedere privilegi.

Non è questa la sua missione tra noi. Non ci sono cariche o titoli di onore da spartire o da accumulare o da arraffare!

«Gli altri dieci, avendo sentito» qualcosa di quello di cui i due stavano parlando con Gesù, giustamente si adirano: “Ma come – avranno detto – questi due chiedono qualcosa per sé e noi? Non siamo come loro? Non abbiamo diritto anche noi di ricevere quello che i due chiedono per sé?”. Magari hanno paura di perdere il loro privilegio.

In effetti, sembra che si sentano minacciati. Si lamentano di dover subire un’ingiustizia …

È uno spaccato molto realistico della comunità dei discepoli di Gesù …

Dobbiamo davvero stupirci se nella Chiesa succede così ancora oggi, nonostante Gesù e il suo Vangelo? Non succede così, da Roma in giù, fino alle nostre comunità, piccole o grandi? Litigi, gelosie, calunnie, ‘sgomitate’ per andare avanti, per ‘farsi belli’, invidie, tutto ciò non è all’ordine del giorno?

Certo, facciamo anche tante cose belle e buone, ma con quanto veleno, spesso!

La risposta di Gesù è formidabile: è così divina e così umana!

La lettera agli Ebrei dice che Gesù è un «sommo sacerdote» che sa «prendere parte alle nostre debolezze».

Gesù ci comprende, ha condiviso in tutto la fragilità e la debolezza della nostra umanità. Gesù non si scandalizza, né si indigna, come gli altri dieci. No! Li chiama a sé e con infinita pazienza li ammaestra con la sua parola, una parola che è illuminata dal suo modo di agire e che troverà proprio nella Pasqua il suo compimento meraviglioso.

Gesù parte dalla considerazione realistica che il ‘potere’ è accompagnato dalla fortissima tentazione dell’abuso: i governanti dominano e opprimono.

Purtroppo questo modo di fare è molto diffuso.

Gesù ai suoi chiede un altro modo di fare, un altro stile: «chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».

Servitore e schiavo sono due parole fortissime, in tutti i sensi. Sono due parole da ascoltare in silenzio, invocando il Signore e invocando da lui questa grazia!

Lui, infatti, «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

È Lui che salva i molti, cioè le moltitudini, i popoli, dunque tutti.

È Lui che, con la sua grazia, ci chiede di essere testimoni di questa grazia!

Questo è il servizio, la testimonianza, la ‘missione’ della Chiesa, anche oggi.

don Maurizio



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