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San Giuseppe, il “disobbediente” che si prese cura di Gesù, prototipo ed esempio per i papà adottivi?

ravasiIl cardinale e biblista Gianfranco Ravasi ha recentemente proposto su Famiglia Cristiana una sorta di percorso/guida alla scoperta di Giuseppe, colui il quale “non obbedì alle leggi del suo tempo per abbracciare la volontà divina”; una scelta, quella di Giuseppe, che infatti disorienta: resta fedele a Maria assicurando alla sua gravidanza un futuro e al frutto del concepimento un padre e un possibile nome.


Ravasi lo chiama “padre legale”, noi preferiamo suggerire “padre adottivo”: un autentico genitore adottivo che ha scelto di accogliere e riconoscere Gesù come vero e proprio figlio benché da lui non generato. Molte delle osservazioni richiamate ed evidenziate dallo stimato biblista richiamano infatti il profilo e le caratteristiche proprie dei papà adottivi. Non certo la “disobbedienza alle leggi”. Ne rileggiamo qui di seguito e sinteticamente alcune.

Ravasi ricorda innanzitutto che “i testi biblici relativi a Giuseppe sono piuttosto scarsi, a prima vista quasi lacunosi”. Tuttavia “scavando con attenzione nei dati neotestamentari, emerge una figura interessante”. Se “l’evangelista Marco non parla mai di Giuseppe, ma si limita a riportare quanto dicono i nazareni, allorché affermano che Gesù è il figlio di Maria, e che fa il carpentiere, è invece da Matteo e da Luca che conosciamo il nome del padre di Gesù e sposo di Maria”.

Con riferimento alla famiglia di Giuseppe, Ravasi segnala che “la questione è difficilmente risolvibile alla luce dei dati a nostra disposizione”. Solamente l’evangelista Matteo “pone particolare attenzione alla figura dello sposo di Maria, offrendo un ritratto squisito, indimenticabile, di Giuseppe“; l’evangelista infatti ci descrive come in prima istanza Giuseppe, “di fronte all’inattesa gravidanza della promessa sposa, vorrebbe uscire rispettosamente da una storia più grande di lui, senza opprimere con la sua presenza quella giovane donna che egli ama profondamente, e quel misterioso bambino che ella attende: Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto”. Giuseppe invece affiderà poi “la propria vita a un progetto che lo trascende, con l’accettazione del comando di prendere con sé Maria; ecco la giustizia di Giuseppe: non semplice osservanza scrupolosa dei comandamenti, ma ricerca integrale della volontà divina, accolta con obbedienza piena”.

Attraverso questa obbedienza – approfondisce Ravasi – inizia per Giuseppe una vita nuova, con prospettive assolutamente insospettate, e con la scoperta di un senso più profondo del suo essere sposo e padre. Rimarrà così accanto alla sua donna quale sposo fedele, e a quel bimbo quale figura paterna positiva e responsabile. L’assunzione di questa responsabilità è espressa attraverso il fatto che è Giuseppe a dare il nome di Gesù al figlio generato da Maria. L’atto del dare il nome significa che egli conferisce a quel bambino la sua identità sociale e che, proprio per questo, Gesù può essere riconosciuto quale vero discendente di Davide, così come esige la natura del Messia atteso. Questo bimbo è dunque consegnato alla responsabilità e all’amore di Giuseppe”; è attraverso Giuseppe e grazie alla sua disponibilità che “Dio consegna alla storia umana il più grande pegno della sua fedeltà, colui che è l’‘Emmanuele’, il ‘Dio-con-noi’, profetizzato da Isaia. Certamente tutto ciò è avvolto nel mistero di Dio, al quale si accede solo con la fede. Ebbene, anche in questa eccelle Giuseppe, definito, proprio per la sua fede, con l’appellativo sobrio e grandioso, di uomo giusto”.

Ravasi evidenzia che nel Vangelo secondo Matteo la figura di Giuseppe è sempre caratterizzata da tre aspetti tra loro intrecciati: Giuseppe è l’uomo dei sogni, è l’obbediente che accoglie integralmente la volontà di Dio, è l’uomo che sa ‘prendere con sé’, cioè sa prendersi davvero cura delle persone affidategli.

Ravasi prosegue segnalando un particolare che risulta intrigante: “quando l’angelo comanda a Giuseppe di rifugiarsi in Egitto, il testo evangelico annota che Giuseppe ‘destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte, e fuggì in Egitto’. Questa ‘notte’ – commenta Ravasi – non è soltanto un’indicazione cronologica delle circostanze della fuga precipitosa, ma segnala la prontezza dell’obbedienza di Giuseppe, e assume lo spessore simbolico del tema della notte nei testi biblici. In questo senso Giuseppe emerge davvero come padre di Gesù, non nell’aspetto biologico, ma nel significato più profondo: il padre è infatti colui che custodisce, protegge, apre il cammino. Il genitore è la figura umana che illustra al meglio quello che significa il prendersi cura da parte di Dio della nostra fragilità. Ebbene, Giuseppe è il padre che non soltanto custodisce e provvede al bambino quando è giorno, quando tutto è facile, scontato e solare; egli lo prende con sé nella notte, quando le difficoltà sembrano avere il sopravvento, ed espandersi le tenebre del dubbio, dell’agguato e del terrore. Alla dolcezza della madre e alla debolezza del bambino, egli accompagna la fermezza della sua presenza e dedizione”. Giuseppe non avrebbe dunque giocato al ribasso, tirandosi indietro, puntando sulle proprie comodità e sicurezze, ma “ha preso con sé il bambino e Maria, diventando così per loro come un simbolo concreto, visibile, di quel Padre buono, di quel Dio che ha cura di tutti, di cui Gesù parlerà”.

Ravasi, concentrando l’attenzione sul Vangelo di Luca, legge negli episodi in cui è coinvolto Giuseppe, presente a fianco di Maria, il profilo di “una coppia realmente affiatata, tutta protesa alla costruzione di una famiglia al cui centro sta la ricerca della volontà di Dio e dell’obbedienza alla sua legge“. Giuseppe non colui che vuole essere il detentore di un potere, ma colui che aiuta i membri della propria famiglia a compiere la propria vocazione. Per questa ragione “Luca, che ben conosce l’origine trascendente del Figlio di Maria, non esita a designare per due volte Giuseppe come ‘padre di Gesù’”.

lema-sabacanini-contributi-per-una-cultura-dell-adozionePer approfondire la figura di Giuseppe e il suo profilo coniugale e genitoriale ricordiamo il fascicolo n. 6 della rivista “Lemà sabactàni?” interamente dedicato ad affrontare il quesito “Giuseppe, padre adottivo di Gesù?” con diversi preziosi contributi tra cui quelli dei biblisti e teologi Silvio Barbaglia, Alberto Cozzi, Maurizio Chiodi.

Al termine di questa sintetica rilettura del percorso proposto dal Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e grazie a quanto evidenziato, ad integrazione se non in alternativa alla tradizionale formula di “padre putativo” o di “padre legale” usata dallo stesso cardinale Ravasi (anche se, data la “disobbedienza” alla legge, sarebbe una sfida osare il titolo di “padre illegale”), riteniamo sia sostenibile la figura di Giuseppe quale prototipo del genitore adottivo, nella specificità del papà adottivo: un autentico papà che ha custodito Gesù accompagnandolo nel riconoscimento della propria identità e vocazione verso il compimento della sua missione. Un papà che ha inserito nella continuità di una storia e nei legami familiari la novità sorprendente del «Dio con noi», rimanendo testimone muto della differenza di Gesù, che va accolto per la sua capacità di dischiudere nuovi orizzonti, che trasformano la storia e rifondano i legami familiari al di là della logica della parentela di carne.



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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