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Se non si aspetta più la salvezza da Dio, ma dalle proprie mani …

Che cosa può desiderare un cieco, o un sordo, o uno zoppo, o un muto? Che cosa può desiderare un cieco, se non di vederci, o un sordo, se non di sentire, o uno zoppo se non di poter ‘saltare’ «come un cervo», o un muto, se non di poter gridare di gioia perché parla?

Ecco, questo è quello che annuncia il profeta Isaia, nella prima lettura.

Perciò il profeta esorta i suoi connazionali: «Coraggio, non temete!».

“Riprendete coraggio, perché il Signore, «il vostro Dio, … viene a salvarvi». Lui si prenderà la vendetta verso chi fa del male e ricompenserà i giusti che fanno il bene. Il Signore trasformerà «la terra bruciata» in «una palude», l’esatto contrario, e «il suolo riarso» diventerà una sorgente d’acqua. Il Signore farà cose mai viste per il suo popolo. Avverrà qualcosa di inaudito, di insuperabile, di strepitoso, che colmerà ogni nostro umano desiderio!”.

Forse noi siamo troppo annoiati, e distratti, quando veniamo in chiesa e le cose che abbiamo appena ascoltato ci lasciano indifferenti o scettici.

Quando mai abbiamo visto accadere queste cose ai ciechi, ai sordi, ai muti, agli zoppi? Quando mai abbiamo visto malati gioire o persone sfiduciate riprendere coraggio per la forza di Dio?

Sì, magari abbiamo sentito parlare di qualche miracolo avvenuto in qualche parte del mondo, ma sono cose troppo lontane. Oppure molti di noi pensano che questi ‘miracoli’ oggi li possa fare la medicina, con i nostri mezzi potentissimi.

Non aspettiamo più la salvezza da Dio, ma dalle nostre mani. Confidiamo in noi stessi e non più in Dio.

Ecco, forse proprio questo è il problema dell’uomo di oggi e anche, mi pare, di molti cristiani: confidiamo solo in noi stessi e non nel Signore. Pensiamo che tutto dipenda solo da noi e abbiamo allontanato il Signore dalla nostra vita!

Quanto il profeta annuncia, il Vangelo lo racconta.

Anche qui, però, rischiamo l’abitudine, forse crediamo di saper già tutto e quindi perdiamo la possibilità di andare più nel profondo della Parola di Dio e non ci lasciamo davvero istruire da essa.

Lo sappiamo benissimo che una delle attività più frequenti che Gesù ha ‘compiuto’ sono i ‘miracoli’, o gesti o segni meravigliosi – questo significa, letteralmente, miracolo! – quasi tutti a favore di persone malate o comunque bisognose.

Il Vangelo oggi racconta uno di questi episodi.

Gesù si trova in un territorio di confine, dove si parla greco e latino, la cosiddetta Decapoli.

In modo molto semplice, l’evangelista dice che «gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano».

Il soggetto è impersonale: non si dice chi porta a Gesù quest’uomo e nemmeno si dice, propriamente, che gli chiedano un miracolo. Non è quest’uomo che chiede. Sono altri che lo portano.

Quest’uomo, sordomuto, sta però al centro della scena. I nostri occhi si fissano su di lui. È uno di quei poveri ‘disperati’ di cui parlava anche il profeta Isaia.

Quest’uomo sta, muto, davanti a Gesù. È anche sordo. È chiuso nel suo mondo. Non può comunicare con nessuno, se non con gli occhi e con il tatto. È avvolto in un perenne silenzio. E non può nemmeno dire agli altri, a parole, quello che vive.

È un uomo ‘povero’, privato di molte cose che per noi sono assolutamente normali, al punto che non ce ne rendiamo nemmeno conto.

Che cosa fa Gesù, davanti a quest’uomo? Nessun discorso, nessuna parola.

Gesù agisce.

Lo prende «in disparte», dice l’evangelista, lo porta «lontano dalla folla …».

Questo è strano … perché? È come se Gesù facesse qualcosa e però non vuole che lo si sappia.

Poi Gesù fa qualcosa di sorprendente. Mette «le dita negli orecchi» di quell’uomo. Cerca un contatto fisico. Le sue mani nelle orecchie di quel sordo! Gli fa sentire che gli è vicino. Lo tocca lì dove quell’uomo era ‘malato’.

Lo fa, Gesù, senza paura di sporcarsi le sue mani!

Gesù si compromette con quell’uomo. Mette qualcosa di sé in quella ‘relazione’ così improvvisa.

Poi «con la saliva gli toccò la lingua».

Anche questo è un gesto curioso, anzi addirittura strano. Perché Gesù mescola la sua saliva con quella di questo sordomuto?

C’è in questo passaggio di ‘saliva’ un gesto di ‘comunione’ ancora più esplicito e profondo del toccare le orecchie. È un gesto simbolico, naturalmente.

Gesù dà qualcosa di sé, comunica, dona.

Gesù non ha paura del male, della malattia. Non ha paura di incontrare le persone afflitte da qualche male o difetto.  Cerca, anzi, un rapporto profondo con queste persone.

È molto ‘umano’, questo suo modo di comportarsi. È una ‘umanità’, quella di Gesù, che non sfugge, che on scappa, non si sottrae. Anzi, cerca.

Non fa discorsi a un sordo. Comunica con lui al livello in cui l’altro può comprenderlo.

Poi alza gli occhi «verso il cielo», verso Dio, come a dire che in quei gesti così, Lui si rivela altro dall’uomo.

Guardando il cielo, Gesù ci richiama a comprendere che questo ‘gesto’, questo prodigio, non viene da Lui, ma dalla sua relazione con il Padre.

Gesù non è mai solo, in quello che fa, perché egli è il Figlio. Gesù non ha bisogno di ‘chiedere’ al Padre, Dio, perché tra loro c’è assoluta sintonia e comunione.

A quel punto, allora, Gesù emette «un sospiro», quasi a voler comunicare a quest’uomo il suo respiro, il suo soffio di vita. La sua presenza di grazia e di amore è tutta in quell’alito: noi non vediamo il soffio, eppure lo ‘sentiamo’, ‘percepiamo di ‘ricevere’.

C’è qualcosa di invisibile in quello che stiamo vedendo. C’è qualcosa che va oltre il visibile. È come se quel gesto, tutti quei gesti ci dicessero: “Vai più nel profondo. C’è qualcosa che va oltre e al di là di ciò che vedi e senti”.

È l’invito a guardare la realtà con occhi diversi.

Poi Gesù dice una sola parola. Parla a quel sordo, che è anche muto, come se lo potesse ascoltare.

E il corpo dell’uomo sordo lo ascolta. «Effatà». «Apriti!».

Quel sordo ascolta. Lui che era muto, comincia a parlare, come se avesse parlato da sempre: «e parlava correttamente».

C’è qualcosa di strepitoso in tutto questo!

In un attimo quell’uomo recupera ciò che non aveva mai potuto fare!

Dopo quel segno così clamoroso, Gesù chiede con forza «di non dirlo a nessuno».

Ma evidentemente, stavolta, non lo ascoltano: «più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore», di meraviglia di gioia.

Perché Gesù dice di tacere?

Con questo ‘silenzio’, l’evangelista ci invita a non cadere nella logica di chi ‘sa tutto’, chi crede di conoscere Gesù e invece se ne serve solo per se stesso.

Questo ‘silenzio’ va sempre custodito. Quando parliamo di Gesù, e di Dio, dovremmo sempre parlarne con pudore, sapendo di non sapere, rimanendo in ascolto della sua presenza, per accogliere la sua grazia.

La seconda lettura oggi ci invita, a nostra volta, a saper compiere anche noi, nelle nostre comunità anzitutto, questi ‘segni’ prodigiosi che dicono la nostra fede in Gesù.

Accogliere un povero con la stessa sollecitudine con cui accogliamo un ricco, sontuosamente vestito. Anche questo sarebbe un miracolo, qualcosa di stupefacente.

Ogni volta che ‘accade’ la carità, tra noi, è Gesù stesso che accogliamo e che si rende presente.

Questo è sempre un grande miracolo!

don Maurizio



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