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Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.

In questa domenica, cinquanta giorni dopo la Pasqua, solennità della Pentecoste, celebriamo una festa fondamentale e decisiva della nostra fede cristiana.


Peccato che noi non la percepiamo così!

La Pentecoste è il culmine della Pasqua. È una festa che, per noi cristiani dovrebbe essere tanto importante come la Pasqua stessa e il Natale.

Certo, ognuna di queste solennità è inscindibilmente legata all’altra, ma ciascuna ha una sua specificità, che la rende affascinante e preziosa.

Ecco, la Pentecoste è la festa dello Spirito, il dono di Dio, che ci costituisce nella Chiesa testimoni della Pasqua di Gesù.

Le tre letture, nella liturgia di questo giorno, sono una guida preziosa per introdurci a questa dolcissima ‘compagnia’ dello Spirito: «consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo», dice uno dei passaggi della bella ‘Sequenza’ che abbiamo appena proclamato prima dell’Alleluja!

Potremmo tracciare così, in sintesi, il cammino che ci invita a fare oggi la Parola di Dio: il Vangelo ci parla della promessa che Gesù fa del dono dello Spirito; il racconto degli Atti ci dice del compimento di questa promessa; scrivendo ai Galati, nella seconda lettura, Paolo parla del «frutto dello Spirito».

Le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni sono una promessa molto bella per tutti noi. Gesù rivolge queste parole ai discepoli nel lungo discorso dell’Ultima Cena. «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre…».

Ecco la promessa del dono. È Gesù che ci anticipa e ci rivela l’arrivo di un Altro.

In questo Vangelo lo Spirito viene descritto da Gesù con due espressioni: «il Paraclito», una parola greca che significa sia ‘consolatore’ sia (avvocato) difensore. Questo significa che lo Spirito ci è ‘dato’ in un tempo difficile, un tempo di prova, un tempo arduo, un tempo che ci mette alla prova.

È il nostro tempo. È il tempo difficile della Chiesa. È il tempo difficile della testimonianza di Gesù, che non è più tra di noi!

Che cosa significa ‘Paraclito’ lo dice molto bene la Sequenza che abbiamo ascoltato: «nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto».

Fatica, calura opprimente, pianto … sono pane quotidiano della nostra vita.

Lo Spirito non ci toglie queste ‘prove’, ma ci dà il vigore di resistere e di affrontarle, attraversandole: è riposo quando siamo affaticati, quando non vediamo il frutto delle nostre opere, dei nostri sforzi; quando ci pare di essere inconcludenti e inefficaci.

Lo Spirito è riparo nella calura: ci offre un’ombra di ristoro, per recuperare le forze; ci offre un po’ di sollievo quando viene meno il vigore del cammino.

Lo Spirito, ancora, ci offre conforto quando siamo toccati e ‘commossi’ da un dolore che ci fa piangere, ci sovrasta, ci stende a terra, e sembra non esserci nessuna altra consolazione se non il pianto.

Lo Spirito può essere ‘Paraclito’, però, solo perché è lo «Spirito della Verità».

Gesù dice che, senza lo Spirito, noi non abbiamo la forza di portare il peso delle sue parole. Le ascoltiamo, ma non diventano nostre, perché ci sembrano pesanti, difficili, se non impossibili.

Lo «Spirito di Verità»non dice cose diverse e nuove, rispetto a Gesù. Egli, dice Gesù: «prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Le parole di Gesù, che sono la Parola del Padre, sono le parole dello Spirito. Egli ci permette di accoglierle, di farle nostre, di comprenderle sempre di più, di gustarne i colori e le sfumature, di comprenderne la bellezza. Perché lo Spirito è Luce: «manda a noi … un raggio della tua luce», dice la Sequenza. E ancora: «O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli».

Lo Spirito è luce che ci invade, nel profondo, perché possiamo amare e gustare la Verità di Gesù.

Ecco che cosa accade il giorno della Pentecoste: il compimento della promessa di Gesù.

È un racconto bellissimo, sempre affascinante, quello degli Atti degli Apostoli. Mentre i discepoli «tutti insieme» si trovavano «nello stesso luogo», i Dodici, i discepoli, con Maria, la madre di Gesù, «all’improvviso», in modo del tutto imprevisto, perché è un dono, «dal cielo»accade qualcosa di meraviglioso e stupefacente: «dal cielo», cioè da Dio, «venne» qualcuno.

Non accade soltanto qualcosa. Viene qualcuno.

Lo Spirito, però, non ha volto umano.

Il racconto di Atti lo rappresenta con tre immagini, tre metafore: il fragore, il vento impetuoso, le lingue di fuoco.

Questo tocca tutti e ciascuno, singolarmente.

Tutti sentono questo ‘rumore’, un suono forte, indecifrabile, che dice che qualcosa sta avvenendo, ma non sai bene che cosa sia!

Poi questo vento impetuoso, gagliardo, che tutto scuote. Lo senti sul volto, ma non lo vedi. Ne senti la forza, e non puoi resistere.

E infine il «fuoco», che è calore, luce, anch’esso inafferrabile e affascinante.

Questo «fuoco» – il fuoco del roveto ardente, così come il vento e il fragore del Sinai! – si divide e si ‘poggia’ su ciascuno dei presenti.

Le ‘lingue di fuoco’ diventano una nuova lingua. «Colmati di Spirito Santo» i discepoli «cominciarono a parlare in altre lingue».

Vedete, lo Spirito ‘modifica’. Si fa vedere attraverso ciò che produce in noi. Non lo vediamo in se stesso, ma solo mediante ciò che esso opera.

Non sono, però, solo «altre lingue». Queste «altre lingue» sono la ‘stessa lingua’.

Ciascuno dei presenti a Gerusalemme, perché una grande folla si era radunata avendo sentito quel grande fragore, ciascuno li sente parlare la «propria lingua».

Non si perdono le differenze, ma ci si capisce. Lo Spirito crea l’unità nella molteplicità. La differenza non diventa dispersione, incomprensione, paura … ma ci convoca nell’unità.

È questo la Chiesa Cattolica, la Chiesa universale: la sempre difficile unità nella diversità.

San Paolo, nella lettera ai Galati, descrive in modo mirabile «il frutto dello Spirito»: «il frutto dello Spirito» è uno solo, diversamente dalle «opere della carne» che sono tante, ci fanno del male, ci dividono, ci separano, ci oppongono gli uni gli altri, perché ciascuno vuole tutto, tutti vogliono tutto: «inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie …». E quello che Paolo chiama qui la carne.

Invece lo Spirito è uno solo e produce un solo ‘frutto’ e questo frutto è l’«amore», l’ascolto, l’ospitalità reciproca.

Paolo dice che questo unico frutto, che è l’amore, si moltiplica in mille opere, in mille ricchezze: nei frutti dell’unica lingua.

Qui Paolo descrive in modo poetico e insuperabile la ricchezza e la molteplicità dell’unico amore (agape): «gioia, pace, magnanimità», e cioè pazienza, «benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé».

Come vedete sono tutte virtù silenziose, non particolarmente appariscenti, direi umili, quasi nascoste, ma proprio per questo ben visibili.

In questo stile di vita riconosciamo «il frutto» dello Spirito, l’opera di Dio nella Chiesa.

Certo, si tratta sempre di un cammino, dove non siamo mai arrivati: «se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito».

Nel cammino della vita, ci illumini, ci sostenga, ci consoli, ci conforti, la dolcezza del Dono di Dio!

don Maurizio



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