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«Signore, è bello per noi essere qui!». Sperimentare la gloria della Sua presenza.

Transfiguration_Raphael«Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore». Così nella prima lettura, dal libro della Genesi, viene descritta la risposta di Abram al perentorio comando del Signore: «Vàttene dalla tua terra … verso la terra che io ti indicherò».


Il Signore, che per Abram era un dio sconosciuto, gli chiede di lasciare tutto: terra, parentela, casa paterna, per incamminarsi in direzione di una terra che non conosce, di cui non sa nulla.

Certo, questo imperativo si accompagna a una promessa: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò … Benedirò coloro che ti benediranno … e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Ad Abramo, che non ha figli, il Signore promette una discendenza numerosa e forte: questa sarà la sua benedizione! Il Signore promette ad Abramo anche benedizione per i suoi amici e addirittura per «tutte le famiglie della terra». È qui annunciata la ‘paternità’ universale di Abram: egli è un modello di fede per tutti gli uomini!

È per questa fede che egli si mette in cammino. È la risposta ad un appello che lo muove, lo apre all’orizzonte di una promessa inedita, sconosciuta e meravigliosa. Per questo la fede è sempre un cammino affascinante e insieme carico di imprevisti e di difficoltà.

La Quaresima è una bella immagine di questo cammino: sono quaranta giorni, un tempo di ascolto della Parola, un sentiero di grazia sui passi di Gesù.

Nella seconda lettura, Paolo scrive a Timoteo che Dio, nel Vangelo di Gesù, «ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia». Dio ci chiama a rispondere con fede al suo progetto di grazia. È un appello che, come per Abramo, va al di là delle nostre opere, le nostre forze, perfino i nostri desideri.

È ‘oltre’, il progetto di Dio, è trascendente, la sua chiamata. Per questo è bella: è un appello che nasce dalla grazia, anche se ci conduce per sentieri sconosciuti, inesplorati.

È in questa luce che dobbiamo leggere il Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima.

Per la prima volta, poco prima, a Cesarea di Filippo, Gesù ha annunciato ai suoi discepoli il suo destino di Figlio dell’uomo, il Figlio del Dio vivente.

A Pietro, che lo aveva pubblicamente riconosciuto, rivolge poi un durissimo rimprovero, perché lo aveva anche rimproverato, prendendolo in disparte. Pietro non accettava le parole di Gesù, che aveva parlato di morte e di resurrezione: lo avrebbero ucciso e poi sarebbe risorto. Subito dopo Gesù prende «con sé Pietro, Giacomo e Giovanni» e li conduce «in disparte, su un alto monte».

È il monte Tabor, che domina la pianura nella regione dell’alta Galilea. È un momento drammatico nel cammino di Gesù, che oramai intravede una conclusione ‘tragica’ della sua vita, ma non per questo perde la sua fiducia e la sua speranza nel Padre.

Come Abramo e più di Abramo, anche il cammino di Gesù sarà aspro e difficile. E anche per i suoi discepoli sarà così. La trasfigurazione che Matteo, come tutti gli evangelisti, racconta dopo il primo annuncio del suo destino da parte di Gesù, si iscrive in questo cammino tortuoso e in salita.

Ma, sul Tabor, sul monte, davanti a quei tre discepoli che saranno i testimoni più diretti della sua agonia nel Getsemani, accade qualcosa di sconvolgente: «e fu trasfigurato davanti a loro».

Sembra che gli evangelisti facciano fatica a trovare le parole per descrivere quello che accade: «il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce».

Sole e luce, un’inondazione di luce che parte dal volto di Gesù e si diffonde in tutto il suo corpo. La sua figura diventa luminosa e raggiunge, invade, quasi ‘tocca’ gli occhi dei tre testimoni. Luce. Nient’altro.

Subito, però, accanto a Gesù, in amabile conversazione, «apparvero loro Mosè ed Elia». Si delinea il senso di quell’onda travolgente di luce: Gesù è il compimento pieno della Legge. Mosè, e dei profeti, Elia.

Gesù è la carne di quel Dio che è entrato nella storia di Israele, a partire da Abramo, fino ad oggi.

Sul monte dove Mosè aveva ricevuto la Legge, sul monte dove Elia aveva incontrato Dio, ma solo di spalle, riconoscendolo nella brezza e nel mormorio di un vento leggero, ora essi possono ‘vedere’ Dio e conversare con Lui, faccia a faccia.

In un attimo di luce, tutto è compiuto. La promessa di Dio viene qui rivelata in tutta la sua luce meravigliosa. Davanti a questo spettacolo incandescente, Pietro non riesce a dire se non che non se ne vorrebbe andare più via. Pietro vorrebbe restare lì, rapito dalla bellezza, per sempre!

«Signore, è bello per noi essere qui!».

Per Pietro, come per gli altri due, è un momento soave di pace e di gioia. È un attimo di bellezza pura. È un attimo di eternità. Per questo propone a Gesù di costruirgli «tre capanne» perché Mosè ed Elia possano rimanere con Lui e con loro! Ma gli avvenimenti si succedono in modo vorticoso.

Mentre «egli stava ancora parlando», in quell’attimo eterno, all’improvviso, «una nube luminosa li coprì con la sua ombra». Notate: la nube è luminosa. Non è una nube oscura. No! È luminosa. Tutto è luce. Una luce in cui non vedi se non luce. Per questo la luce è una nube, che copre i tre discepoli «con la sua ombra». Si trovano dentro la nube di Dio. È una scena di teofania, di rivelazione divina!

Loro, poveri discepoli, non sono più spettatori. Sono coinvolti ‘dentro’ questa «nube luminosa», che ha Gesù al centro.

Dalla «nube» esce «una voce». Nella nube risuona una voce. È la voce di Dio, è la voce del Padre: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

La «voce», richiamandosi alle parole del profeta Isaia sul servo sofferente, il servo del Signore, proclama che Gesù è il Figlio, l’amato, colui nel quale il Padre trova la sua gioia, il suo ‘compiacimento’. È difficile dire il significato di questo compiacimento: qui c’è tutta la relazione tra il Padre e il Figlio.

I discepoli non vedono il Padre. Vedono solo Gesù, che del Padre è il volto. Però del Padre ascoltano la voce. E questa voce li invita ad ascoltare il Figlio.

Il Dio che aveva chiesto ad Abramo di ascoltare la sua voce, di credere alla sua promessa, ecco quel Dio lì ora chiede ai discepoli, quindi anche a noi, ora, di ascoltare Gesù.

È Lui la Parola. È Lui il compimento di ogni promessa. Che cosa vogliamo di più? Che cosa possiamo sperare di più?

Come travolti da questa esperienza ineffabile, i tre discepoli cadono «con la faccia a terra». Sono davanti a Dio, che nessun uomo può vedere. Ma lo può – e lo deve, con immensa gratitudine! – proprio ascoltare!

I discepoli sono «presi da grande timore». È il sentire di chi avverte la sua grande piccolezza, dinnanzi al rivelarsi del mistero di Dio.

Sono lì, faccia a terra, quando Gesù «si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete».

Li tocca Gesù, quasi li scuote, ma con delicatezza. Li invita a non temere e ad alzarsi. Attorno a sé, questi discepoli non vedono più nessuno, «se non Gesù solo». Non è un sogno, quello che hanno visto. Non è un’allucinazione.

Hanno sperimentato la gloria della Presenza.

Questa luce non dovranno dimenticarla, quando arriveranno i giorni del Venerdì Santo. Ma la dimenticheranno. Eppure poi la ritroveranno, questa luce, sul volto del Risorto.

Per ora, dovranno custodire nel silenzio questo ricordo. Un giorno ne saranno testimoni. Il cammino continua.

Dio è fedele alla sua promessa. Al di là delle fatiche e delle asprezze, al di là delle prove del cammino, ci chiama ad alzarci, a seguirlo. Ascoltiamolo!



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