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Superare ipocrisia e autocompiacimento: è Gesù il Maestro, il Signore; Lui solo è il testimone del Padre.

Se dovessimo essere sinceri, fino in fondo, dovremmo dire che davvero questa pagina del Vangelo, oggi, è sconcertante.


È vero che Gesù si colloca sulla linea che fu già dei profeti: lo abbiamo ascoltato nella prima lettura, dal profeta Malachia che, con parole durissime, si rivolge ai sacerdoti del tempio: «Voi invece avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete distrutto l’alleanza di Levi». Perciò, dice il profeta, il Signore li ha resi – o loro sono diventati – «spregevoli e abietti» davanti a tutti.

Sono parole di accusa gravissime, rivolte contro i sacerdoti di Israele: “avete tradito il dono che vi era stato affidato; avete distrutto l’alleanza; invece di istruire gli altri, siete stati per loro un inciampo, un ostacolo, un impedimento; avete sbagliato strada e l’avete fatta sbagliare agli altri”. Parole che dovrebbero far rabbrividire anche i sacerdoti della nuova alleanza, noi preti, perché è così facile anche per noi cadere nei vizi e nei difetti gridati dal profeta.

Al contrario, le parole di Paolo, dalla seconda lettura, descrivono lo stile particolare di questo grande apostolo.

Con poche pennellate, Paolo scrive ai Tessalonicesi e dice i sentimenti che hanno ispirato il suo stile di pastore: si paragona alla amorevolezza e alla dolcezza di «una madre che ha cura dei propri figli». Dice di essersi affezionato a loro, al punto che non avrebbe voluto trasmettere il Vangelo, ma la sua vita stessa, «perché ci siete diventati cari». Paolo apostolo si paragona ad una madre e a un padre. Non si è risparmiato nulla: «lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio».

E, oltre a questo, Paolo ringrazia quei cristiani perché, dice, essi hanno accolto la parola di Dio «non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti».

Sono molto belle queste lodi di Paolo ai suoi fratelli nella fede. Gli abitanti di Tessalonica hanno accolto il Vangelo con grande disponibilità. E l’apostolo ringrazia Dio per questo!

Sarebbe bello se, anche nelle nostre comunità, pastori e fedeli, potessero dire questo gli uni degli altri!

Purtroppo non è (sempre) così!

Nessuno di noi può sfuggire alle parole di Gesù, nel Vangelo. Sono parole provocatorie, graffianti, che fanno male.

Gesù le rivolge agli scribi e ai farisei, che sono un po’ come i teologi, gli esperti della Scrittura di allora, coloro che predicavano e insegnavano la Parola di Dio. Sono parole che toccano con forza incredibile chi oggi, nell’interno della Chiesa, ha un compito analogo: i teologi, specialmente i moralisti, i predicatori, i preti, ma anche tutti coloro che nella comunità hanno il compito di insegnare e di trasmettere – da laici – la Parola di Dio: dai genitori ai catechisti.

Sono parole che non possono lasciare indifferente nessuno, quando insegna e predica il Vangelo.

Sono parole che scuotono anche me, mentre vi parlo.

Qui Gesù è duro come non mai. Si scaglia con incredibile sincerità contro l’ipocrisia.

Questo è l’unico peccato che Gesù non poteva sopportare. Anche perché, in realtà, l’ipocrisia è “il” peccato.

Ogni peccato è menzogna, ma l’ipocrisia è il peccato dei peccati: è il peccato negato. Se un peccatore si confessa, infatti, la sua menzogna (il peccato) diventa occasione di verità dinanzi a Dio e così egli si lascia toccare dalla grazia del perdono.

Invece l’ipocrita non confessa nulla. Al contrario si nasconde dietro la propria menzogna, come se fosse uno scudo che lo protegge dalle insidie della verità e della luce.

L’ipocrita si nasconde dinnanzi a Dio e si nasconde dinanzi a se stesso. Si inganna, pretendendo di ingannare anche gli altri.

L’ipocrita è un attore, uno che recita, che finge, si inabissa nella sua falsità.

Per questo Gesù è così duro. Non c’è altro modo per ‘stanare’ chi è falso, se non mettendogli dinanzi agli occhi la verità di ciò che egli insiste a negare.

In fondo, per la sua durezza, Gesù vuole spingere questi ipocriti a convertirsi alla grazia che, sola, li può salvare!

Sono tre le accuse, gravissime, di Gesù a questi scribi e farisei.

La prima è che «dicono e non fanno». Dicono bene, predicano bene, ma razzolano male. Fanno esattamente il contrario di quello che dicono. Si nascondono dietro le proprie parole e così si auto-ingannano.

Meschini! Hanno compreso la Parola, ma non ci credono, non si affidano.

Al contrario, la usano per il proprio potere personale. Si fanno belli di quello che dicono. Ma non ascoltano quello che dicono. Loro si sottraggono alla Parola che annunciano. Sono dei falsi maestri.

In fondo, «uno solo è il vostro Maestro».

Le parole di Gesù sono profondamente vere. In fondo, l’unico che ha vissuto e fatto quello che ha detto, è Lui.

A noi che predichiamo, non rimane che confessare: predico e dico quello che non faccio! Vorrei, ma non riesco. Non posso.

Solo Lui, il Signore, è il Maestro!

La seconda accusa è: «legano [infatti] fardelli pesanti e li pongono sulle spalle della gente». Qui Gesù rivela come l’ipocrisia diventi ‘persecutoria’ verso l’altro.

L’ipocrita, quello che dice e non fa, è specialista nel chiedere e nell’accusare gli altri per quello che lui fugge. Gesù dice che questi ipocriti non vogliono muovere «neppure con un dito» i pesi che caricano «sulle spalle della gente».

Devo confessare che questa parola mi colpisce fortemente e sempre di più. È una tentazione così forte anche per noi!

Quante volte siamo così esigenti e rigidi con gli altri e – a volte spinti magari anche da ‘buone intenzioni’! – finiamo per opprimere la vita altrui!

Così, il Vangelo diventa un peso, un obbligo pesante, difficile e addirittura, a volte, ‘impossibile’!

Da grazia, la grazia che annuncia il Padre celeste, il Vangelo diventa una gabbia o una tortura.

Se davvero, questi ipocriti, credessero a ciò che annunciano, non si ‘vendicherebbero’ sugli altri chiedendo e imponendo loro ciò in cui essi non credono.

Questo non significa che noi dobbiamo annacquare il Vangelo, al contrario!

Il Vangelo è acqua pura. Gesù è sorgente di acqua viva. Le parole di Gesù sono ‘comandi’ che nascono dall’amore, non sono precetti astratti e impossibili.

Non c’è nessun idealismo nella morale del Vangelo: il compito e l’impegno nascono dal dono.

Poi c’è la terza accusa: è la vanità. Dopo il risentimento, l’ipocrisia è la fiera della vanità.

Fanno tutto «per essere ammirati dagli uomini». Ciò che li spinge è l’esibizione. Vogliono fare colpo sugli altri, per strappare la loro (falsa) ammirazione.

Si fanno ammirare per ciò che non hanno, per ciò che non sono, per ciò che non fanno! Esibiscono i filatteri, le piccole strisce di pergamena, racchiuse in piccole scatole, dove sono scritti i passi della Legge, usati come pendagli sul braccio e davanti agli occhi e le fanno diventare ‘frange’ da esibire.

In realtà, non amano la Parola. La fanno diventare solo occasione di compiacimento, una mostra di sé.

Si compiacciono dei «posti d’onore nei conviti, … nelle sinagoghe».

Vogliono essere sempre i primi nella scala sociale e religiosa. Sono ‘assetati’ di gloria (effimera) e di potere (illusorio!). Cercano i saluti della folla. Più saluti, più onori!

Si compiacciono di essere chiamati «”rabbì” dalla gente». Sentendosi chiamare ‘maestri’, si illudono di esserlo. Sono vittime della trappola che tendono agli altri.

Al contrario, «uno solo è il vostro Maestro, uno solo è la vostra ‘guida’, il Cristo».

Questa parola rimette ogni cosa, e noi stessi, al suo posto. È Gesù, l’Unico, il Maestro, il Signore. Lui solo è il testimone del Padre che è nei cieli.

Noi siamo tutti fratelli, tutti discepoli, tutti figli.

Questa è la verità.

Non c’è altra strada per essere ‘riconosciuti’ ed ‘esaltati’ dal Signore: lasciamo che Lui sia la nostra grazia e diventiamo ‘servitori’ di questo dono gli uni gli altri.

don Maurizio



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