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Un grido e una domanda, l’ascolto e la risposta.

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la XXX domenica del tempo ordinario (28/10/18): dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,46-52), dai brani tratti dal libro del profeta Geremìa (Ger 31,7-9) e dalla lettera agli Ebrei (Eb 5,1-6).


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Il Vangelo di questa domenica è un quadretto delizioso e indimenticabile.

Con poche pennellate l’evangelista disegna la figura, altrimenti sconosciuta, di quest’uomo cieco. Sappiamo solo il suo nome: «Bartimèo, figlio di Timèo». Di lui il Vangelo dice anche che «sedeva lungo la strada a mendicare». Nient’altro è detto di lui.

Eppure già da queste parole possiamo indovinare un mondo.

Quest’uomo sta ai margini della vita sociale, appunto lungo la strada. Non aveva prospettive né possibilità. Non aveva futuro. Viveva delle offerte degli altri. Con la sua cecità, doveva rimanere immobile, nello stesso punto, a meno che qualcuno non lo conducesse altrove. È un uomo povero, che dipende in tutto dagli altri.

Già qui c’è qualcosa di istruttivo per noi.

Non tanto – o solo – perché anche oggi ci sono molti ‘mendicanti’, con l’aggravante che noi spesso non li conosciamo e quindi non sappiamo se sono poveri davvero o altro ancora, ma soprattutto perché quest’uomo ci rappresenta tutti.

Quest’uomo ci rivela che, al di là delle nostre certezze e sicurezze, siamo un po’ tutti ‘mendicanti’, dipendenti dagli altri, bisognosi – prima o poi – del loro aiuto.

Quest’uomo non è uno che sfrutta gli altri, ma è uno che invoca l’aiuto degli altri. Per questo ci raffigura.

Ma, ancor più, è straordinario ciò che segue.

«Sentendo che era Gesù Nazareno», cioè sentendo – con le orecchie, perché nei ciechi l’udito è straordinario, finissimo! – che stava passando lungo la strada quel famoso Gesù di Nazareth, uomo di grandi prodigi e carità, sentendo questo ‘passaggio’, Bartimeo «cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».

Marco dice che cominciò a gridare.

Ve lo immaginate quest’uomo, che stava seduto per la strada, e a un certo punto si mette a gridare, a urlare, per attirare l’attenzione su di sé da parte di Gesù?

L’evangelista sottolinea che «molti lo rimproveravano perché tacesse».

Capite? Quest’uomo disturbava, non era conveniente il suo grido, il suo urlo di dolore, che continuava, non si spegneva. Anzi più volevano farlo tacere, più lui gridava: «ma egli gridava ancora più forte…».

E che cosa grida quest’uomo?

Sono bellissime le sue parole, ripetute in due righe due volte, al punto che ci pare quasi di sentirle: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Questo grido dice una speranza, ma senza formulare in modo preciso la richiesta. Non dice, Bartimeo: “fammi guarire”, ma grida affidandosi a Gesù. Chiede ‘pietà’ per sé, e cioè attenzione e misericordia per la sua miseria.

Avrebbe, forse, potuto chiedere soldi … ma non era il caso. Quest’uomo non aveva bisogno solo di soldi.

Davanti a Gesù, egli capisce che quest’uomo sa e può offrirgli molto di più, gli può offrire la possibilità di rinascere, di tornare a vivere, non più ai margini della strada, ma lungo la strada, come tutti.

La cosa ancora più bella è che Bartimeo ripete, in continuazione, questo grido di preghiera, questa supplica. La ripete, sempre più forte … finché non verrà ascoltato!

È bello ricordare che, nella tradizione orientale russa, questo grido di Bartimeo è diventato la preghiera del pellegrino russo, quell’uomo che vagava alla ricerca di qualcuno che gli insegnasse il ‘segreto’ della preghiera continua. Finché, dopo aver sentito prediche bellissime e sapienti sulla preghiera, senza però riuscire a ‘scoprirne’ il senso e il modo, arrivò a uno ‘staretz’, un eremita che viveva ai confini di un oscuro villaggio della grande Russia e questi gli insegnò, via via, che il seguito della preghiera poteva scoprirlo ripetendo prima cento, poi trecento, poi trentamila, poi … sempre, la preghiera/invocazione del cieco Bartimeo.

Alla fine, questo pellegrino – anch’egli immagine della nostra vita – riuscirà a ‘pregare’ in ogni istante, perché dentro di lui risuonava sempre – come il mormorio di un vento leggero – la preghiera del cieco: Gesù, «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Questa preghiera lo accompagnava, nei momenti belli e difficili, qualunque cosa facesse. Si addormentava con questo ‘sottofondo’, quasi una ninna nanna, e si svegliava con il mormorio di questo ‘venticello’ sullo sfondo.

Aveva scoperto la preghiera perpetua, quella che gli orientali chiamano la ‘preghiera del cuore’.

Questo è il principio del ‘rosario’. Anche questa è una preghiera ripetuta, senza sforzo, come il mormorio di una presenza che ci accompagna, affidandoci così al Signore.

Mentre «molti» rimproveravano il cieco «perché tacesse», Gesù, invece, si ferma.

Gli altri non vogliono che Lui venga disturbato. Non vogliono ‘impicci’, e poi per un uomo così insignificante! “Gesù”, così pensavano questi «molti», “aveva ben altre cose da fare!”.

E invece Gesù ha attenzione per questo ‘ultimo’, per questo povero. È venuto, anzi, proprio per lui, che è figura di tutti noi.

È molto bello poi quanto segue: «Chiamatelo!», dice Gesù con forza.

Poteva andare Lui da Bartimeo e, invece, chiede che siano gli altri, quelli che prima si mettevano in mezzo tra Gesù e il cieco, perché non disturbasse Gesù, chiede che siano proprio loro a chiamare il cieco e a portarlo a Gesù.

Vi immaginate lo sconcerto, magari la vergogna di questi?

Questa cosa è molto significativa: è come se Gesù ci dicesse che dobbiamo ‘scoprire’ il povero, chi ci cammina accanto, ed è bisognoso, magari non solo economicamente, ma di uno sguardo, di qualche minuto di ascolto, di una parola buona, o di un aiuto qualsiasi. Gesù cerca le nostre mani, il nostro volto, le nostre orecchie, anche oggi, per compiere il bene, il suo bene!

«Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Come sono cambiati quelli che stavano intorno a Gesù, forse i discepoli stessi. Prima lo zittivano, ora gli fanno coraggio, gli infondono speranza: “il Maestro «ti chiama!», finalmente ha ascoltato!”.

Il Vangelo dice che Bartimeo, «gettato via il suo mantello», che era tutta la sua ricchezza, la sua casa, la sua protezione dal caldo e dal freddo, dalla pioggia e dal vento, ecco gettata via ogni sua ricchezza, «balzò in piedi (perché non si alza semplicemente, ma scatta in piedi, pieno di vita, lui che prima stava sempre seduto!) e venne da Gesù».

Quest’uomo è ‘toccato’ da una speranza improvvisa, da un dono che – forse – adesso è lì vicino a lui e gli può cambiare radicalmente la vita!

È molto semplice, essenziale, quasi scarno il dialogo tra Gesù e quest’uomo.

Sembrerebbe una domanda banale, quella di Gesù – «Che cosa vuoi che io faccia per te?» – ma non lo è affatto.

Questa domanda fa parlare Bartimeo.

Gesù si mette in ascolto di lui, gli fa formulare il suo desiderio profondo, la sua speranza: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».

Commovente, questa parola del cieco! «Che io veda – dunque prima non era stato cieco – di nuovo!».  Quanto aveva sofferto quando aveva perso la vista! Era stata per lui come una morte.

Tra questa richiesta del cieco e la risposta di Gesù passa solo un attimo, ma è un attimo di eternità e di grazia: «Va’, la tua fede ti ha salvato».

“È per la tua fede, dice Gesù, che sei salvato. Non sei solo guarito dalla tua cecità, ma più profondamente, sei: «salvato», sei stato toccato da una grazia che apre, da oggi in poi alla tua vita un meraviglioso orizzonte di speranza”.

Tutto questo nasce dall’incontro con Gesù, anche per noi!

 don Maurizio



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