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Una bocciatura di cui andar laicamente fieri?

di Gianmario Fogliazza

laicometro

Non senza sorpresa abbiamo appreso di essere tra le quaranta associazioni che l’Uaar (unione degli atei e degli agnostici razionalisti) ha considerato per la sua prima versione sperimentale di quello che proporrebbe come “laicometro”, ovvero un progetto teso a verificare quanto il mondo del non profit sia “laico”.

La ricerca sarebbe stata condotta da soci dell’Uaar sulle associazioni considerate tra le più importanti e seguite in base agli elenchi del cinque per mille. Questi i parametri che sarebbero stati esaminati: statuto; neutralità dei propri spazi; pluralità dei convegni che organizzano, non-organizzazione/promozione di atti di culto; attenzione per alcuni temi laici (indicativamente: laicità della spesa pubblica, laicità della scuola, diritti riproduttivi, diritto di famiglia, diritti sessuali, libertà di espressione, scelte di fine vita). Ad ogni associazione è stato quindi assegnato un punteggio per ognuno dei parametri esaminati (+2 impegno concreto pubblico in direzione “laica”; +1 impegno al proprio interno in direzione “laica”; 0 neutralità; –1 impegno al proprio interno nella direzione opposta; –2 impegno concreto pubblico nella direzione opposta).

Secondo l’Uaar non solo saremmo quindi tra le associazioni più importanti e seguite, ma avremmo conseguito il primo e assoluto posto quale associazione “meno laica”, totalizzando il massimo di una presunta “negatività”, toccando il fondo della scala di riferimento: alla sorpresa non può non aggiungersi anche l’imbarazzo e forse un po’ di orgoglio.

Nel comunicato dell’Uaar si segnala – per il vero con un’interessante imprecisione – che lo statuto di Ai.Bi. Amici dei Bambini non conterrebbe elementi religiosi, “ma – ecco le presunte mancanze –l’associazione, condividendone valori e finalità, risulta legata alla Fondazione Ai.Bi. istituita dall’associazione di fedeli cattolici “La Pietra Scartata”; inoltre Ai.Bi. fa parte del Forum delle Associazioni Familiari e sul suo sito – dove si legge che scopo dell’associazione «è tentare di dare ad ogni bambino abbandonato una famiglia» – non mancano esplicite condanne delle adozioni omosessuali”.

Che dire. Rispettiamo il libero esercizio di opinione, tuttavia non ci riconosciamo nelle coordinate del pensiero – temiamo marcatamente ideologico – che governa la lettura della realtà condotta quasi dogmaticamente da tale organismo: sulla persona, sulla società, sullo Stato, sull’idea o natura stessa di laicità e di libertà abbiamo decisamente altre prospettive … laddove laico e credente sono in una persona profili assolutamente compatibili, non antagonisti o alternativi. Già Magris richiamava come “laico” non volesse “dire affatto, come ignorantemente si ripete, l’opposto di credente (o di cattolico) e non indica, di per sé, né un credente né un ateo né un agnostico. Questo termine non è un sinonimo di ateo o miscredente, ma implica rispetto per gli altri e libertà da ogni idolatria” (C. Magris, Il senso del laico, in Corriere della Sera, 20 gennaio 2008).

Non consideriamo, infatti, una minaccia per la laicità dello Stato l’organizzazione di atti di culto o la professione di una fede religiosa, di persone singole o associate; non riusciamo a cogliere inoltre come sia interpretato il dato relativo alla cosiddetta pluralità dei convegni organizzati, così come curiosa risulta la considerazione della scelta dei temi che indicherebbero lo “spessore laico” dell’organismo. Per quale ragione dedicarsi ai bambini orfani o abbandonati non sarebbe tema squisitamente laico? Speriamo non siano solo i cattolici a preoccuparsi laicamente della dignità delle persone – sempre, in ogni loro condizione, circostanza e in ogni loro stagione -, della dignità dei figli, del senso della generazione umana, delle persone ibernate al loro stato embrionale, delle donne stuprate e violentate madri stupende dei loro figli, delle mogli abbandonate perché hanno custodito nel grembo i loro figli, delle persone eliminate prima di essere partorite (tra cui le bambine semplicemente perché femmine), dei figli abbandonati per il colore della loro pelle, per la loro disabilità, per la loro presenza “socialmente ingombrante”.

Tra i temi “laici” indicati dall’Uaar vi sarebbero il “diritto di famiglia” e i cosiddetti “Diritti riproduttivi”. Evidenziamo che, paradossalmente ,quando “si pensa ai figli” taluni sono assolutamente assorbiti dai desideri di alcuni adulti e dai loro presunti diritti, spesso ben pretesi, argomentati e talvolta conseguiti – con buona pace dei diritti di tutti gli altri soggetti nel caso coinvolti -, piuttosto che contemplare anzitutto i desideri e i diritti dei figli: ecco che mentre si rivendica l’ennesima modalità per soddisfare il desiderio di diventare genitori, ci si scorda che l’adozione è e resta l’unica possibilità per un minore orfano o abbandonato di tornare ad essere figlio e non solo un bambino.

Suggeriamo di non accostare l’adozione alle tecniche di potenziale genitorialità concepita a prescindere dall’identità filiale del soggetto che viene accolto. Pensare al figlio come al “prodotto” di un qualsiasi concepimento, esito di un combinato disposto di “materiale organico e genetico” perfetto, non ci appartiene; consideriamo le possibilità terapeutiche offerte dalla procreazione medicalmente assistita quali opportunità da iscrivere nella storia personale di una relazione coniugale, chiamata a misurarsi con la propria ipofertilità o sterilità, mentre riprende e ricerca, anche faticosamente, il senso di un desiderio che pensiamo non debba mai tradursi in dispotico e autoreferenziale processo; siamo infatti consapevoli della presenza tra i nostri interlocutori, acuti sostenitori del diritto di disporre della vita altrui, di una strana e curiosa combinata, sia nella “produzione” della vita che nella sua “interruzione”, quasi l’individuo debba o possa rispondere solo a se stesso del proprio e altrui benessere.

Riconoscere che il diritto ad avere figli sia incoercibile non costituisce un problema: ma questo non autorizza a considerare legittime tutte le modalità per conseguire lo status di “genitori”. L’acquisto e la vendita di bambini è ancora (chissà per quanto tempo?) considerato un “traffico” di minori, neppure se la loro cessione dovesse avvenire con equo accordo economico tra le parti; tali figli anche se poi amati, resterebbero “venduti e acquistati” e ciò non comprometterebbe la loro dignità, ma porrebbe rilevanti questioni circa la loro strumentalizzazione, ridotti ad oggetto come mai nessuna persona vorrebbe essere trattata.

Da sempre riteniamo che i bambini orfani o abbandonati abbiano il diritto di tornare ad essere figli. L’istituto giuridico delle adozioni è di “loro proprietà” e non di altri; certo riusciranno ad esercitare tale diritto solo grazie ad una disponibilità di altri soggetti e noi, genitori adottivi non necessariamente cattolici, fermamente riteniamo debbano essere una mamma e un papà, soggetti non sostituibili o artificialmente surrogabili.

Le questioni relative alla genitorialità, alla filialità, a come viene a costituirsi e costruirsi tale legame, al senso della generazione umana, sono comunque e decisamente laiche o se si preferisce, dal profilo civile, ancorché squisitamente cattoliche, …

Col teologo Sequeri riteniamo che l’irreligione agnostica non sia una buona mossa, così come non lo è l’arroccamento confessionale: il mondo e i nostri figli, hanno bisogno di laici “adulti”. Il “vitello d’oro” oggi ha la forma di un’ottusa alleanza fra libertà di arbitrio e volontà di potenza che mira alla perfetta passività di entrambe: godimento virtuale, anoressia totale; mentre presunti saggi discutono sulle nostre radici fra Atene, Gerusalemme e Roma, e presunti devoti dialogano sul luogo più esatto per adorare Dio, l’“Idolo” fa il suo lavoro per il dominio delle città del mondo, a qualsiasi religione appartengano. Adesso sembra democratico, laico, politicamente corretto. Ma lo fa per soldi. Che vogliamo fare? Credenti o non credenti, quanti siamo, è ora di onorare l’impegno senza svicolare in dialoghi troppo socratici: o siamo contro l’idolo che ci mangia i bambini, o siamo fiancheggiatori della sua devozione intoccabile (P. Sequeri, Contro gli idoli postmoderni, Torino 2011).

Un’iniziativa legittima, quella dell’Uaar, ma non necessariamente autentica e automaticamente qualificata per promuovere un “laicometro” attendibile e affidabile, autorizzata a rilasciare patenti di una certa “laicità” di cui facciamo serenamente meno, senza per questo sentirci cittadini di serie B o meno titolati di altri ad essere laicamente impegnati e presenti nella costruzione di una società libera, giusta e solidale.



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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