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XX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – 17 agosto 2014

Prima Lettura dal libro del profeta Isaìa (Is 56,1.6-7)
Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli».


Seconda Lettura dalla lettera di s. Paolo ai Romani (Rm 11,13-15.29-32)
Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti? Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 15,21-28)
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

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omelia-17-agostoE’ bella la Parola di Dio che risuona per noi, questa domenica: bella, perché ricca di speranza.

Nella prima lettura il profeta annuncia un giorno in cui si compirà la «salvezza» del Signore e la sua «giustizia»: stanno «per venire», stanno «per rivelarsi». Non è lontana, la «salvezza» del Signore, anzi è vicina, è prossima! E sarà caratterizzata, questa «salvezza», da un fatto nuovo, inaudito, sorprendente.
Sarà un giorno particolare (anche) per «gli stranieri», certo solo per quelli «che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore».
In quel giorno anche questi «stranieri» saranno condotti «sul monte santo», a Gerusalemme. Anch’essi, come appartenenti a pieno titolo al popolo dell’alleanza, il Signore li colmerà di gioia nella sua «casa di preghiera».
Questo significa che l’appartenenza al popolo dei salvati non sarà più una questione di razza, di etnia, di colore della pelle, di lingua o di cultura. Ci sarà un giorno in cui, dice il Signore, «la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli». Sarà una casa universale, per tutta l’umanità.
E’ molto bella e coraggiosa questa parola del profeta Isaia: annuncia che il popolo eletto andrà oltre i confini di Israele.
Questa Parola ci introduce molto bene al Vangelo di oggi.

Però anche la seconda lettura di San Paolo ai Romani, ci parla di un argomento simile.
Paolo, che era un ebreo fino al midollo, orgoglioso della sua appartenenza al popolo di Israele, proprio lui, era diventato «apostolo delle genti», dei pagani, come dice lui stesso. Sorpreso dal Signore Gesù, sulla strada di Damasco, Paolo era diventato testimone di quel Gesù che aveva perseguitato nei suoi discepoli e stava percorrendo tutto il mondo allora conosciuto per annunciare il Vangelo.
Ma, mentre annunciava il vangelo ai pagani (non ebrei) e vedeva con dolore crescente che i suoi compatrioti ebrei lo rifiutavano, nasceva in lui una domanda angosciosa: “e il mio popolo, Israele? Che fine farà?” E risponde così: «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!».
Dio non si pente. E’ fedele, anche oltre il rifiuto.
Anzi, proprio il rifiuto di Israele è stato occasione per la «riconciliazione del mondo» perché tutti «ottengano misericordia».
Perciò è possibile continuare a sperare nella «riammissione» di Israele. Questo, rimane, per sempre, popolo eletto. Anche esso otterrà misericordia.
Tutti sono stati disobbedienti a Dio. Tutti speriamo nella sua misericordia.

Questo è proprio l’annuncio del Vangelo di oggi, da un altro punto di vista.
Gesù si ritira, forse per un momento di riposo, in una zona fuori dai confini della Palestina, verso «Tiro e di Sidòne». Ed è proprio lì che avviene un incontro sorprendente.
Gli si avvicina una donna straniera, una cananea. E’ una donna disperata, che si rivolge a lui gridando, a motivo del suo immenso dolore. E’ una madre che invoca e supplica Gesù per ottenere la guarigione di sua figlia. Invoca pietà e compassione da Gesù: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio».
La risposta di Gesù è davvero sorprendente. Sembra totalmente indifferente al grido di dolore di questa madre. Al limite della maleducazione: «Ma egli non le rivolse neppure una parola».
Addirittura sono i suoi discepoli che sembrano migliori di Gesù. Questa volta sono loro che si avvicinano a lui e lo implorano, lo supplicano, a nome di quella donna. Magari lo fannno solo per essere liberati da quella presenza invadente, ma in ogni caso loro stessi sembrano più sensibili al dolore dello stesso Gesù.
Ma Gesù rimane fermo.

Che cosa c’è dietro questa sua fermezza?
La risposta è evidente nelle sue parole. Ed è questo il primo messaggio che ci vuole dare l’evangelista Matteo: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
La fermezza di Gesù è la fedeltà di Dio alle sue promesse. I suoi doni sono irrevocabili. Anche dinanzi al rifiuto del destinatario del dono. Dio non si ritrae. E’ stabile. E’ forte. Per questo Gesù va, anzitutto, «alle pecore perdute della casa d’Israele».
E’ bellissima questa fedeltà di Dio. E’ la fedeltà dell’amore. Gesù compie, una volta per sempre, tutte le promesse di bene fatte da Dio al suo popolo.

Ma c’è un secondo passo, ancora più bello.
La donna straniera, che ha sentito la risposta di Gesù, gli si avvicina di nuovo, con una tenacia davvero straordinaria. Ed è questa tenacia che rivela una fede bellissima.
Si avvicina a Gesù. Si prostra dinanzi a lui. Il suo grido di dolore ora ha ceduto il passo ad una semplice preghiera: «Signore, aiutami! ».
E’ un’invocazione ancora più bella della precedente, la sua prima.
Adesso la donna straniera, semplicemente, si limita ad affidarsi all’’aiuto’ di Gesù. Come se gli dicesse, in una fede incondizionata: “tu sai di che cosa ho bisogno… aiutami tu, io mi affido a te”.
Questa donna, in nome di Gesù, sembra andare oltre Gesù, oltre il suo (apparente) rifiuto.

Stavolta Gesù le risponde. Ma le sue parole sono dure, ancora una volta: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Era un proverbio di allora. E Gesù lo riferisce a sé e al rapporto tra Israele e gli altri popoli. Israele è il popolo eletto, come un figlio per Dio. Gli altri popoli, rispetto a quello eletto, non hanno la stessa dignità. Sono come «cagnolini» rispetto ai «figli».
La parola di Gesù, che riflette quello che pensavano gli ebrei, sembra una autentica provocazione per questa donna. Gli avrebbe potuto rispondere: ”Oh, anche tu ci escludi, anche tu sei come gli altri, che ci trattano dall’alto in basso”.
No, non è così. La donna continua il dialogo con Gesù mostrando un coraggio e una fiducia in lui straordinari. Riprende l’immagine di Gesù, ma rilancia: «È vero, Signore – … -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Questa donna insegna a tutto Israele, a tutti noi, qualcosa di decisivo del nostro rapporto con Dio.
Questa donna si sente indegna del dono di Dio, del «pane» che è per i «figli». E proprio per questo lo invoca, questo dono del pane, anche per sé. Non pretende nulla. Le bastano addirittura «le briciole», quello che avanza, per non togliere nulla ai «figli», ai quali spetta il dono del «pane».

Si riconosce indegna del dono. Un dono non può mai essere preteso, altrimenti cadiamo nell’arroganza presuntuosa di chi esige ciò che invece può essere solo accolto come grazia.
E allora, solo allora, la grazia accade.

Gesù, con parole che rivelano Dio, loda la fede di questa donna e le offre quel che chiedeva.
Le parole di Gesù hanno fatto crescere la fede di questa donna. Proprio lei, ora diventa un modello straordinario per tutti i discepoli.

Anche noi, invochiamo il dono di Dio per noi stessi, come invocando una briciola. Senza pretese.

Apriamo gli occhi al dono di Dio e alla grazia meravigliosa che egli realizza nella nostra vita.

don Maurizio

17 agosto 2014



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