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XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO – 28 settembre 2014

Prima Lettura Ez 18,25-28 Dal libro del profeta Ezechièle
Così dice il Signore: «Voi dite: Non è retto il modo di agire del Signore. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».


Seconda Lettura Fil 2,1-11 Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Parola di Dio. Forma Breve: Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (2, 1-5) Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù.

Vangelo Mt 21,28-32 Dal Vangelo secondo Matteo
omelia-28-settembreIn quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

 

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La parabola che abbiamo ascoltato fa parte di un più ampio discorso che Gesù rivolge, secondo il Vangelo di Matteo, ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Sono parole piene di franchezza che, dietro al rimprovero, nascondono soprattutto un invito alla conversione e un ammonimento ad aprire gli occhi.
Questi capi dei sacerdoti e anziani del popolo avevano certamente i loro motivi per resistere a Gesù e vedevano in lui un’insidia al proprio potere! Questa gente in Gesù vedeva una minaccia e un pericolo.

Può capitare anche a noi di cadere in un atteggiamento simile, magari per altri motivi. Possiamo vedere in Gesù una minaccia per le nostre comodità, i nostri piccoli difetti, i nostri angusti punti di vista, le nostre abitudini egoistiche.

A noi che siamo qui, oggi, a celebrare l’Eucarestia, è chiesto di metterci in ascolto di questa Parola del Signore.
Gesù racconta una piccola parabola. Un padre, con i due figli. All’uno e all’altro chiede di andare a lavorare nella sua vigna e ottiene due risposte opposte.
Uno gli risponde: «Non ne ho voglia». Ma poi si pente e ci va. L’altro gli risponde. «Sì, signore». Ma poi non vi andò.
«Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?»: domanda Gesù.
La risposta è evidente. I suoi uditori non possono che rispondergli: alla fine, la volontà del padre l’ha compiuta il figlio che, pur avendo detto di no, in un primo momento, poi aveva accettato, nella pratica, di andare a lavorare. Non vi era andato controvoglia. Aveva scelto di andare, pur non avendone ‘voglia’.

Questa parolina – ‘voglia’ – è molto importante, nella vita dell’uomo. Lo è sempre stata e questa parabola lo dice molto chiaramente. Però possiamo ben pensare che oggi riguardi soprattutto noi che viviamo in un tempo e un clima che è molto sensibile alla ‘voglia’, sia in senso positivo che in senso negativo.
“Ho voglia di … un gelato”. “Ho voglia di … andare in ferie”. “Ho voglia di … incontrare una persona e di divertirmi”.
La ‘voglia’, in senso positivo, dice una inclinazione a fare qualcosa che, in genere, non è molto impegnativo. E’ difficile dire: “ho voglia di andare a lavorare, ho voglia di andare a Messa”. E’ impossibile dire: “ho voglia di fare qualcosa che non mi piace”.

Ecco, la ‘voglia’ è l’inclinazione a fare qualcosa che ci piace.
Un filosofo, che aveva ben visto questo rischio, parlava di ‘vogliuzze’. Gli uomini del nostro tempo, diceva, sono pieni di ‘vogliuzze’, piccole voglie, molto leggere, variabili. Così, rischiamo di lasciarci andare, un po’ qui e un po’ là, come trasportati dal variabile vento della voglia.
Questo vale anche, e soprattutto, per le cose di cui abbiamo voglia o per cui abbiamo poca voglia. Quando diciamo ‘non ho voglia’, ci lasciamo facilmente prendere da un senso di disimpegno. Una volta la chiamavano l’accidia, una specie di nausea, un sentimento che ci spinge ad evitare la fatica, tutto ciò che sa di sforzo.
La ‘non voglia’, lo vediamo tanto bene nei bambini, ma non solo, ci spinge a rimandare, a ‘trastullarci’, con qualcosa che ci attrae, a prendere tempo: lo faccio dopo, domani…
E alla fine, quando arriva questo ‘domani’, sempre rimandato, ci sentiamo quasi costretti a fare quella cosa e ci diventa ancora più odiosa, antipatica.

Ma ora torniamo alla parabola, da cui però non ci siamo mai allontanati.

Questo primo figlio tra l’altro ci ricorda tanto il primo figlio della parabola del padre misericordioso, nel Vangelo di Luca. Anche in quella parabola, più elaborata nel suo racconto, il primo figlio non aveva più voglia di stare con il padre e se ne era andato, per seguire le sue piccole voglie, quelle che tanto lo attiravano, seducendolo.
Questo figlio però pian piano aveva capito la ‘trappola’ che si nascondeva nella sua vita ed era tornato indietro.
Anche questo figlio della parabola del Vangelo di Matteo, dopo aver detto: «Non ne ho voglia», poi si pente e va.

Spiegando ai suoi uditori il senso delle sue parole, Gesù esplicitamente paragona questo figlio ai pubblicani e alle prostitute. Questi, «i pubblicani e le prostitute», sono dei grandi peccatori, gente che ha rifiutato Dio con la sua vita, per seguire le trappole della ‘voglia’ …
Però, aggiunge Gesù, quando hanno sentito le parole di Giovanni Battista che li invitavano alla conversione, questi peccatori gli hanno creduto. Si sono fidati della parola di Giovanni, e possiamo ben dirlo, della parola di Gesù, che Giovanni Battista annunciava!
Questa gente, apparentemente tanto lontana, ha ascoltato con profondità la Parola e si è lasciata convertire.

Il profeta Ezechiele, nella prima lettura, diceva: «se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso […] egli certo vivrà e non morirà».
E’ sempre possibile ‘fare retromarcia’, convertirci al bene, accogliere la Parola del Vangelo e il dono di Dio, nel perdono. E’ sempre possibile, per tutti.
Perciò Gesù dice ai sacerdoti e agli anziani: «nel regno di Dio», questi, che si convertono, «vi passano avanti», e cioè prendono il vostro posto, e voi invece perdete il posto cui credevate di aver diritto”.
Perché il Regno di Dio è grazia!

Invece l’altro figlio, come il secondo della parabola di Luca, a parole dice di sì e nella pratica fa tutt’altro.
Questo figlio è l’immagine perfetta dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo. In questi le parole diventano come uno scudo o un velo o un muro dietro cui nascondersi.
Sono parole false, menzognere.
Nel migliore dei casi, la promessa nasconde un’intenzione buona, ma molto debole, molto fragile, evanescente. Questo figlio dice, con apparente sicurezza, «Sì, signore». È come se dicesse a suo padre: “fidati di me… sono migliore di mio fratello”. Ma alla fine, questo figlio dice di no, si rifiuta di obbedire.
Questo, dice Gesù, è quanto accade ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Dicono e non fanno. Si nascondono dietro le loro parole, dietro false promesse, come se potessero ingannare Dio.

In realtà, questi ingannano se stessi. Perdono un’occasione preziosa. Perdono la loro stessa vita.
Come dice il profeta Ezechiele: «Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso».

Umilmente invochiamo il Signore, non ci faccia nascondere dietro belle parole.
Ci doni di lasciarci convertire alla sua parola di grazia e di perdono!

don Maurizio

28 settembre 2014



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