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Dio Trinità è grazia, amore e comunione che si rivelano a noi.

masaccioNon è casuale che, dopo aver festeggiato solennemente il culmine della Pasqua nella Pentecoste, noi celebriamo oggi la solennità della santa Trinità di Dio!

Come abbiamo mai noi potuto pensare che Dio, che è l’Unico, sia in tre persone? Uno più uno più uno fa tre, non (fa) Uno! La fede cristiana è monoteista, non politeista. Noi non crediamo in molti dei, ma in unico Dio, Padre, Figlio, Spirito. Quante volte lo confessiamo nella liturgia, nella preghiera personale, quante volte lo abbiamo sentito ripetere …

La Parola di Dio, in questa solennità ci aiuta a rispondere a queste domande, che appartengono al cuore della nostra fede.

La prima lettura, dal libro dell’Esodo, è un testo molto bello. Appena prima del passo che abbiamo ascoltato oggi, l’Esodo dice di una domanda, una richiesta che Mosè rivolge a Dio, con audacia straordinaria. Dio stesso lo aveva in qualche modo autorizzato a questa audacia, poiché gli aveva rivelato il suo «Nome» e gli aveva mostrato in mille modi come egli avesse trovato «grazia» ai suoi occhi.

Da qui la richiesta di Mosè: «mostrami la tua gloria!».

E il Signore Dio esaudisce questo desiderio di Mosè, ma subito gli aggiunge: «ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessuno uomo può vedermi e restare vivo». Così Dio concede a Mosè, dice il racconto con una bellissima immagine, di vederlo, ma soltanto di spalle, come per proteggerlo, al suo passaggio «nella cavità d’una rupe» e con il palmo della sua mano.

È a questo punto che viene il testo di oggi.

Mosè ci rappresenta tutti.

C’è, in ogni uomo, in ognuno di noi, un anelito, un desiderio, che è il più profondo, e che raccoglie tutti gli altri nostri desideri. È il desiderio di Dio. È l’aspirazione all’incontro con colui che sta alla nostra origine e che è anche il nostro ‘destino’: solo incontrandolo, noi possiamo trovare quella felicità cui aspiriamo.

Da qui una specie di tensione, che ci abita nel profondo. Noi vorremmo vedere colui che non possiamo vedere.

Per questo siamo tentanti di farcene una rappresentazione nostra, siamo tentati di ridurre Dio all’oggetto del nostro desiderio. Siamo tentati di dimenticare che Dio è al di là di ogni nostra immagine.

Spazzare via gli idoli è la condizione necessaria per fare spazio alla rivelazione del Dio vivente.

L’Esodo dice che il Signore si rivela a Mosè «nella nube»: un’immagine forte per dire, ancora una volta, l’impossibilità di ridurre Dio alla nostra immagine.

Però, quel Dio che non si fa vedere, è un Dio che parla e si rivela come un Dio misericordioso e pietoso, «lento all’ira» e ricco di misericordia e di fedeltà.

Misericordia, compassione e fedeltà. In queste parole c’è l’anticipo di quello che ci rivelerà la Parola che è Gesù.

Davanti al Signore che passa, mentre lui ne ascolta la Parola, Mosè si curva a terra e si prostra. Riconosce di non sapere di Dio se non quello che Dio stesso gli vorrà rivelare e gli rivela.

Da qui la sua preghiera di intercessione per il popolo: «Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato». Mosè riconosce l’infedeltà del suo popolo, ma invoca, come più grande, il perdono e la misericordia di Dio.

All’attesa di Mosè e di tutta la legge risponde, quando il tempo è compiuto, la Parola di Gesù a Nicodemo, il Vangelo di Giovanni.

Questo rabbino, affamato di verità, va da Gesù di notte, e quindi con grande cautela, ma ci va perché è spinto dal desiderio di ascoltare con calma e distensione la Parola. E Gesù lo istruisce.

Le parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi sono quelle centrali, nel discorso di Nicodemo. Qui è contenuta, in nuce, la rivelazione della Trinità, da parte di Gesù, perché qui Dio si è manifestato come amore sovrabbondante e grazioso, un Dio che ‘dona’.

Certo, il testo di Giovanni qui non parla esplicitamente dello Spirito Santo, ne parla altrove, appena prima, ai versetti 6-8 del capitolo terzo.

Le parole di Gesù a Nicodemo, qui, ci trasmettono un’immagine molto ‘dinamica’ di Dio: egli «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio».

È molto importante in questa parola quel «tanto … da dare». L’amore di Dio è talmente sovrabbondante che arriva a dare, cioè donare, il Figlio, l’’unico’, «unigenito».

Dio ci coinvolge nella nostra storia colmandola della sua grazia, perché noi accogliamo questo suo dono. È il Figlio, il Dio che prende carne. Egli è «mandato nel mondo» non certo «per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

C’è il male, nel mondo, nella nostra storia, un male che non ha certo origine da Dio, ma dall’opera dell’uomo che non si è fidato – e continua a non fidarsi – dei doni di Dio. Gesù non è venuto per «condannare il mondo», la storia umana, a causa del nostro male, ma è venuto per farci grazia, per salvarci, per riscattarci, per condurci altrove, per risollevarci. Egli attende la nostra risposta.

Perché questo atto di dono si realizzi nella storia, è necessario che trovi qualcuno che lo accoglie: «Chi crede in lui non è condannato» e quindi non andrà «perduto», ma ha già, fin d’ora, «la vita eterna».

Grazie alla fede noi rispondiamo all’amore che ci anticipa e ci fa grazia!

Chi non crede, invece, si condanna da solo, perché non crede, perché non ci si fida, perché respinge l’amore, preferendo rimanere nella trappola delle sue illusioni.

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio», questa Parola ci apre uno squarcio di luce sulla Trinità, che è la sovrabbondanza del Dono, Colui che dà, Colui che riceve, il Dono dato e ricevuto!

Nella seconda lettura, dalla seconda lettera ai Corinzi, proprio alla conclusione del suo scritto e del suo saluto, esprime la nostra fede nella Trinità in un bellissimo saluto, che noi abbiamo ripreso nella liturgia eucaristica: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi»

Dio Trinità è grazia, amore, comunione che si comunicano a noi. L’amore è insieme grazia e comunione.

Questo è Dio! Così Dio si comunica a noi.

Per questo, poco prima, Paolo esprime in poche parole il frutto in noi di questo dono: «siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace». Solo così «il Dio dell’amore e della pace sarà con voi».

Nelle parole di Paolo ci sono cinque sintetiche esortazioni che ci rivelano le grandi colonne della vita cristiana.

La gioia è il frutto del dono di Dio. Noi ‘gioiamo’ perché, pur nelle fatiche della vita, sappiamo che l’amore gratuito di Dio ci è dato al di là del nostro merito.

A noi, in risposta, è chiesto di tendere alla perfezione: è la perfezione dell’amore gratuito, che ci è anticipato. Il cristiano non è un insoddisfatto che non raggiunge mai una perfezione impossibile. La ‘perfezione’ sta nel riconoscerci amati e nel camminare in questo amore, senza mai giungere a essere noi i padroni.

Per questo noi cristiani ci facciamo coraggio a vicenda. Non ci scoraggiamo gli uni gli altri. Non ci tagliamo i panni addosso, gli uni gli altri. Ci stimoliamo. Ci incoraggiamo. Ci guardiamo con benevolenza.

Ci chiede, perciò, Paolo di avere «gli stessi sentimenti».

Per l’altro ho gli stessi sentimenti che ho per me. E così l’altro per me. Sono i sentimenti di chi sa di essere amato e colmato dalla grazia.

Per questo, infine, possiamo vivere «in pace»: è la pace di Dio che ci autorizza a vivere in pace gli uni con gli altri, e a ritrovare – così – la pace con noi stessi.

Sarà, questa, la sua pace tra noi e in noi!

don Maurizio



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