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Il primato dell’accoglienza.

Forse lo ricordate, forse no, ma la scorsa domenica il Vangelo parlava della domanda fatta da Gesù ai suoi: «Voi chi dite che io sia?», con la risposta di Pietro («Tu sei il Cristo») e Gesù che aveva iniziato a «insegnare che avrebbe dovuto soffrire molto, essere consegnato, ucciso e poi dopo tre giorni, risorgere».

E poi c’era stata la reazione contraria di Pietro e la risposta di Gesù.

Una cosa molto simile accade nel Vangelo di oggi.

Dice il Vangelo che Gesù, con i suoi discepoli, attraversava la Galilea, ma non voleva che lo si sapesse. Infatti in quel tempo, «andava insegnando», ripetendolo più volte, che sarebbe stato consegnato nelle mani di chi lo avrebbe ucciso, ma poi che sarebbe risorto!

Il Vangelo sottolinea che i discepoli «non capivano» queste parole e poi «avevano timore di interrogarlo». Questo sottolinea una distanza tra Gesù e i discepoli, una incomprensione. Non lo capivano. E, oltretutto, avevano paura «di interrogarlo» e di chiedergli. Non si lasciano istruire da Lui.

A me sembra che oggi noi cristiani siamo in una situazione simile. In un mondo in cui molti non sono più cristiani, diversamente da un tempo non lontano (per noi), mi sembra che noi cristiani diamo troppo per scontato di conoscere Gesù, di conoscere la sua Parola, di conoscere la nostra fede.

Mi sembra invece che, tra noi, c’è molta ignoranza del Vangelo.

Una volta si andava a catechismo (dottrina!), oltre alla Messa, e poi si viveva in un mondo, una cultura, una società fondamentalmente cristiana. Oggi non è più così. Quel mondo è finito.

E poi noi ci accontentiamo di troppo poco. Nel caso migliore, la maggior parte dei cristiani convinti va a Messa la domenica. Dieci minuti di omelia, ascoltata più o meno distrattamente! Poi tutto finisce lì.

Al massimo sentiamo parlare di quello che dice il Papa, ma con il ‘filtro’ dei giornali e della Tv. Con il grandissimo rischio di manipolazione: leggiamo solo i titoli, magari sentiamo una frase, fuori dal contesto. E poi i giornalisti parlano solo di certi temi, di attualità e dei discorsi del Papa riportano solo quello che vogliono loro (pedofilia, immigrazione e immigrati, veleni in Vaticano …).

Così, noi cristiani ci allontaniamo pian piano, quasi senza accorgerci. Lentamente, anche se veniamo in chiesa, diventiamo come gli altri. Nei nostri giudizi, a volte spietati, nelle nostre idee, ci comportiamo in modo molto simile a chi cristiano non è …

Il Vangelo dice che non solo i discepoli di Gesù avevano paura di interrogarlo, per chiedergli quel che non avevano capito, ma, ancor più, parlottavano tra loro, tenendosi ben lontano da Gesù!

Quando finalmente giungono in casa, è Gesù che li affronta, con delicatezza, ma con grande franchezza: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?».

Alla domanda di Gesù essi rispondono ‘tacendo’: «ed essi tacevano».  Erano in forte imbarazzo. Oppure non avevano alcuna disponibilità o voglia di parlare con Gesù su certe cose. Lo volevano tenere fuori dalla loro vita – non vi sembra che sia così anche per molti di noi?

Il grosso rischio è che per noi, essere cristiani, vuol dire venire a Messa. Dare al Signore tre quarti d’ora alla settimana e tutto finisce lì. Si, magari, facciamo i volontari all’oratorio o in chiesa, ma ci limitiamo a preparare le feste o poco più … La nostra vita rimane lontana!

Nel caso dei discepoli – forse come per noi – i discorsi che avevano fatto erano lontanissimi da quello che Gesù insegnava: per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande! Gesù aveva parlato loro della sua morte e resurrezione, del rifiuto che avrebbe incontrato e loro avevano discusso su chi era il più grande tra loro.

Che contrasto e che distanza!

Forse anche oggi è proprio così: c’è una grande distanza tra noi e Gesù!

La risposta di Gesù è bellissima. Non si arrabbia con i discepoli. Non comincia a lamentarsi. Non fa delle grandi prediche.

Gesù conosceva bene i discepoli, ma soprattutto voleva loro bene. E allora, con grande pazienza si siede in mezzo a loro e dice: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

Qui potremmo fare molte riflessioni sullo stile di vita nella nostra società dove domina la competizione, in tutti i campi: nel lavoro, nello sport, nella politica. Potremmo fare molti esempi. Ne faccio uno solo.

Ho letto, in questi giorni, una intervista a Sofia Goggia, una campionessa di sci, che ha vinto alle ultime olimpiadi invernali di PyeongChang l’oro olimpico!

In quella intervista Sofia Goggia diceva che anche nel mondo dello sci è molto facile arrivare al doping. Diceva: “essenzialmente per due motivi: la voglia estrema ed esasperata di trionfare e la disperazione di non essere all’altezza delle aspettative”.

Ecco, questo è solo uno degli esempi, ma è molto significativo. C’è sempre la tentazione di voler essere i primi, in tutto, e di ricorrere a tutti i mezzi per primeggiare.

Questo succede anche nelle nostre comunità.

L’apostolo Giacomo dice: «dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni». E poi: «Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni …? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere …».

Ecco, magari non arriviamo a ‘uccidere’.

Però l’invidia è una tentazione molto facile, per tutti. E, dall’invidia, nascono molti mali. Chi è invidioso non riesce ad apprezzare il bene che fa l’altro. Ha sempre da criticare. Trova sempre quel che non va. Ha sempre da ridire. Naturalmente perché lui si crede un uomo migliore.

Magari non lo dice, ma in fondo lo pensa.

Ecco che cosa ci chiede Gesù: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

In fondo, pensate, non è quello che fa, in una famiglia, la mamma – o anche il papà – per i propri figli? La più grande è quella che serve.

Ecco, è quello che dovrebbe succedere nelle nostre comunità.

Invece di criticare, di invidiare, di vedere sempre quello che non va negli altri, dovremmo essere più sapienti, pacifici, miti, arrendevoli. Come dice Giacomo, nella seconda lettura, «la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti».

Alla fine del Vangelo, per essere proprio chiaro, Gesù ricorre ad un gesto molto bello, semplice, ma eloquente.

Prende un bambino, lo pone in mezzo al gruppo dei discepoli, lo abbraccia …

È stupendo questo gesto di Gesù. Prende uno che, apparentemente, ha poco valore, perché non ha la forza per farsi valere, un bambino. Lo abbraccia, lo accoglie, lo mette in mezzo, gli dà attenzione, non lo scarta, non lo emargina.

E poi accompagna questo gesto con parole bellissime: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me…». È il primato dell’accoglienza.

La nostra società, il nostro mondo, sta dimenticando l’accoglienza. Parlo, anzitutto, di quell’accoglienza ‘spicciola’, piccola, verso le persone che ci stanno accanto, magari un collega di lavoro o il vicino di casa. Imparare ad ascoltarsi, con benevolenza, con spirito di pace e di bene, senza subito sospettare dell’altro, senza difenderci con cattiveria …

Mi sembra che questo ‘stile’ manchi molto, non solo nella nostra società, ma anche nelle nostre comunità, a volte nelle nostre famiglie.

Naturalmente, mi auguro – davvero! – di sbagliare!

Mettiamo dunque al centro Gesù.

Accogliendo non solo a parole il ‘piccolo’ accoglieremo anche Lui, accogliendo Lui accogliamo Dio, il Padre della nostra vita.

Diventiamo, noi, nel nostro piccolo, come possiamo, gente che fa ‘opere di pace’, di giustizia e di carità.

don Maurizio



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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