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L’adozione di padre in nonno

lps-griffiniRiportiamo di seguito un articolo apparso sul numero del mensile “Noi Genitori e Figli”, uscito il 6 luglio, a firma di Paola Tettamanzi, in cui la giornalista intervista il fondatore e presidente di Amici dei Bambini Marco Griffini che racconta la sua esperienza di padre e nonno adottivo.


«Nessuno, uomo o donna, può vivere al di fuori di una relazione d’amore. E per tutti è aperta la via dell’accoglienza, l’essere adottati come figli e l’adottare come padri e come madri». A parlare così è Marco Griffini, fondatore e presidente di Ai.Bi., l’associazione Amici dei Bambini, nonché nonno di cinque nipotini. Giorgio, Margherita e Paolo, biologici. Noufal e Tawefek, due bei maschietti originari del Marocco salvati dalla vita in istituto, in Africa, e adottati l’uno a quattro anni e l’altro a dieci mesi. Le loro mamme, Greta, 38 anni, e Valentina 32, di origine africana, sono le prime due figlie di Marco Griffini e della moglie Irene. Insieme a Francesco, brasiliano, di 27 anni, sono stati sottratti alla più grande delle ingiustizie che un bambino possa subire: l’abbandono. E la scelta fatta come padre, Marco Griffini, ora la vede replicata dalla figlia. Una soddisfazione straordinaria capace di riempire il cuore di felicità di qualsiasi uomo: un figlio che non solo approva e condivide quanto realizzato dal proprio padre, ma che decide a sua volta di percorrere la stessa strada. La conferma che questo messaggio forte e significativo è passato da una generazione all’altra, imprimendosi attraverso le strade misteriose dell’amore e della riconoscenza, nel dna familiare. «Una scelta umana di profondo valore perché – argomenta il presidente dell’Ai.Bi. – accogliere vuol dire tante cose. Certo. È facile vedere quello che sta in superficie: l’impegno solidale, il dono di una nuova speranza, l’offerta di una grande occasione di riscatto a un fratello più sfortunato. Ma non è tutto».

E qui Griffini si ferma, quasi a cercare le parole migliori per esprimere un concetto ancora più profondo. «In chiave cristiana – riprende il presidente Ai.Bi. – l’adozione assume un significato totalizzante, denso e coinvolgente. Come dire? Accogliere nell’adozione significa aprire la porta a Gesù stesso, significa chinarsi sul Signore umiliato dalle ferite, dai patimenti e dalle ingiustizie per ricreare, insieme a lui e attraverso di lui, una condizione di vita accettabile. Chi sono i bambini abbandonati se non quegli ultimi in cui Gesù stesso di è identificato? “Quello che farete al più piccolo dei miei fratelli l’avrete fatto a me”». Una considerazione che può aprire la strada a prospettive capaci di rovesciare una vita, di capovolgere convinzioni assodate, di sbriciolare i luoghi comuni impastati di egoismo e di benessere fine a se stesso. Marco Griffini ha più volte espresso queste convinzioni in conferenze, convegni, saggi, tanto da mettere a punto tracce non marginali di una teologia dell’adozione fondata su alcune intuizioni originali. In questa prospettiva Giuseppe può in qualche modo essere visto come un riferimento importante per tutti i padri adottivi perché, pur nella consapevolezza di non essere il genitore biologico del nascituro, decise “per scelta di giustizia” di accoglierlo nella sua casa e di non denunciare la madre. Ha scritto a questo proposito don Marco Chiodi, docente di Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale: «La questione teologicamente più rilevante riguarda l’esperienza singolare di Cristo che viene interpretata con accenti nuovi e singolari proprio alla luce dell’esperienza di abbandono e di affidamento del bambino, proprio come quest’ultima è reinterpretata a partire dalla Rivelazione di Gesù nel suo affidamento al Padre».
Dalla dialettica abbandono-affidamento, emerge con forza il concetto di giustizia. «Giustizia – tiene a sottolineare Griffini – non generosità, non solidarietà, non spirito umanitario, perché adottare un bambino rimasto senza genitori è innanzi tutto una scelta giusta, una scelta che restituisce a un piccolo penalizzato dalla vita ciò che gi è dovuto in nome di quello statuto umano che tutti dovremmo riconoscere come irrinunciabile».
Parlare di giustizia vuol dire insomma ricordare il diritto a crescere con un papà e una mamma, il diritto a una casa, a un’istruzione, a una condizione di vita dignitosa. Ogni bambino senza genitori desidera più di ogni altra cosa avere accanto a sé un padre e una madre. «È un sentimento talmente connaturato che i nostri bambini – ricorda il nonno adottivo – quando vedono una coppia senza figli subito ci chiedono: perché non ne adottano uno?”». Oggi purtroppo la società in cui siamo immersi considera l’adozione, che dovrebbe essere un atto naturale e dovuto, un gesto eccezionale, qualcosa da lasciare a pochi stravaganti.

«È vero esattamente il contrario. Adottare, cioè accogliere, abbracciare un piccolo – riprende Griffini – dovrebbe rientrare nella normalità delle relazioni familiari, parentali, come succedeva un tempo, quando i rapporti non erano regolati dall’interesse economico ma da un senso diffuso di giustizia. Oggi far passare la cultura dell’adozione è tutt’altro che agevole. Io credo che si possa dire di aver fatto davvero breccia in questo muro di indifferenza e di egoismo che ci circonda – dice ancora il presidente dell’Ai.Bi. – quando un figlio adottivo diventa a sua volta genitore adottivo. In questo caso possiamo dire che si concretizza la reazione nucleare dell’adozione, nel senso che l’adozione viene lanciata e rilanciata, in un susseguirsi di scelte e di condivisione che ha come prospettiva solo l’infinito».

In questo infinito, per un nonno adottivo, ci sono innanzi tutto i nipotini. «Io e mia moglie abbiamo più occasioni di esercitare la nostra nonnitudine con i nipotini adottivi, che abitano accanto a noi, che non con quelli di sangue, perché mia figlia si è trasferita a Torino. Noufal ha oggi 8 anni e ha alle spalle un’esperienza molto brutta perché fino a quattro anni ha vissuto in un istituto per piccoli disabili mentali, in cui era l’unico sano. Oggi è un ragazzino molto riflessivo, pacato, con una dimensione spirituale sorprendente per la sua età, tanto che in famiglia, scherzando gli diciamo: “Tu se continui così diventerai un prevostone”». Nonno Griffini, che come presidente Ai.Bi. è impegnatissimo dodici mesi l’anno, sette giorni su sette, spesso in giro per il mondo, riesce a godere della compagnia dei nipotini, soprattutto durante i pochi giorni di vacanza che riesce a strappare ai grattacapi dell’associazione. «Andiamo tutti insieme in una casa in montagna, la dimensione ideale per portare i bambini a fare lunghe passeggiate nella natura, giocare con loro, trascorrere finalmente del tempo senza fretta. Ecco io credo che la dimensione educativa del nonno si debba manifestare innanzi tutto con modalità ludiche. La nonna no. Lei dev’essere una seconda mamma, capace di stabilire norme e di provvedere anche ad aspetti organizzativi». Di bambini e genitori adottivi Marco Griffini parla con trasporto, con entusiasmo trascinante, lasciando che le parole salgano dal cuore. Non sono teorie, sono idee incarnate, concetti che rimandano ai fatti che hanno segnato tutta la sua vita, quella della sua famiglia, dei suoi amici, delle tante coppie che in questi anni hanno trovato nell’Ai.Bi. un aiuto decisivo per imprimere, attraverso l’adozione, una svolta alla propria esistenza. «Credo che un bambino solo, che non viene adottato, non potrà mai sentirsi figlio e quindi, non sentendosi amato, non saprà amare. Adottare significa regalare al mondo la capacità di amare. C’è un obiettivo più importante di questo?»



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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