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Non essere increduli, ma credenti!

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la II domenica di Pasqua, dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31), dai brani tratti dagli Atti degli Apostoli (At 5,12-16) e dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 1,9-11a.12-13.17-19).


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Oggi è la seconda domenica di Pasqua, al termine dell’Ottava della Pasqua, che racchiude questa settimana molto speciale come in un’unica grande festa, una festa senza dubbio più importante tra tutte, certo, dentro la memoria di tutta la vita di Gesù!

Molti si chiedono anche oggi: ma sarà proprio vero tutto quello che si dice di Gesù, tutto quello che si fa in nome di Gesù, nella Chiesa?”.

Ecco, in questo tempo pasquale noi cristiani ricordiamo in modo particolare che Gesù è risorto! Questa è la ragione fondamentale della nostra testimonianza di cristiani, in questo nostro mondo: se Cristo non fosse risorto, sarebbe del tutto ‘vana’ la nostra fede, come dice l’apostolo Paolo.

L’autore del libro dell’Apocalisse, nella seconda lettura, raccontando la ‘Rivelazione’ – questo significa ‘Apocalisse’ – che gli è stata ‘consegnata’, parla di una ‘visione’. «Un Figlio d’uomo», solennemente vestito, che dice di sé di essere «il Primo e l’Ultimo», perché tutto è stato creato in Lui e tutto sarà ‘ricapitolato’ in Lui, gli annuncia con grande forza: «Io sono … il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre».

Quest’uomo ha «le chiavi della morte e degli inferi» e cioè ha potere sul ‘nemico’ che è la morte. Egli ha sconfitto la morte che credeva di aver sconfitto Lui, togliendogli la vita. Ma non è così!

Egli, Gesù, è colui che vive per sempre, è l’Eterno Presente!

Ecco, proprio Lui, Gesù, dice a Giovanni: «scrivi dunque le cose che hai visto…». È il comando di fissare per scritto, per tutti, quello che Egli, l’Eterno, ha potuto vedere e ascoltare.

Questa è la ragione per la quale è stato scritto tutto il Nuovo Testamento.

Lo dice in modo molto chiaro la finale del Vangelo di oggi. È un testo molto bello, solenne, che è una risposta ai dubbi di molti.

Con molta onestà, l’autore del quarto Vangelo scrive che «Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro». Il Vangelo, il Nuovo Testamento tutto, raccontano la storia di Gesù, ma non possono raccontare tutti i ‘segni’, tutte le opere meravigliose che egli ha compiuto nella sua vita. Sarebbe impossibile! «Ma – aggiunge – questi [segni] sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome».

Sono parole davvero molto belle. Tutto ciò che è scritto nel Vangelo è offerto come una testimonianza affidabile perché tutti coloro che leggono possano, se vogliono, credere e così partecipare al dono di vita in Gesù.

È il dono del risorto!

I Vangeli sono testi di fede, per condurre alla fede. Non sono ‘dimostrazioni’ che potrebbero ‘costringere’ a credere. Sono, piuttosto, testi che raccontano segni che noi possiamo comprendere sempre di più a partire dalla fede con cui li ascoltiamo.

La fede è questa adesione libera ad un dono che ci è offerto, è la pienezza della libertà che si affida alla grazia sorprendente che le è donata!

Il Vangelo di Giovanni, oggi, è una pagina molto bella che ci aiuta ad approfondire che cosa sia questa ‘fede’ alla quale siamo chiamati.

Questa fede è un cammino condiviso, di un individuo non isolato. È la fede di una comunità. Nello stesso tempo però, essa è scelta eminentemente personale, che ciascuno è chiamato a compiere in prima persona, senza che nessuno possa sostituirsi a lui.

Una volta, fino a qualche decennio fa, questo aspetto comunitario, di tutti, della fede era molto evidente, al punto che – da noi – non c’era (quasi) nessuno che potesse dirsi non cristiano. Il rischio era che, in questa situazione, rimanesse come ‘nascosto’ il carattere personale della fede, con il pericolo che tutta la pratica diventasse un’abitudine, qualcosa di scontato, di ‘obbligatorio’, di costringente.

Oggi, invece, è molto evidente che la fede è una scelta personale, assolutamente libera, che nessuno ci può imporre, nemmeno i genitori ai figli o le mogli ai mariti, o viceversa. La fede, così risulta fortemente ‘personalizzata’, frutto di scelta.

Il rischio, in questa situazione, è che si perda il carattere comunitario della fede personale, con il pericolo che ciascuno si ‘fabbrichi’ una fede solo sua e così, poi, alla fine questa sua ‘fede’ risulta ancor più incerta, perché affidata solo alle sue risorse, con tutte le fragilità e le incertezze di cammini troppo personali. Il rischio è che ciascuno si faccia ‘un Gesù suo’, che risponde più ai propri desideri e alle proprie attese, affidato alla fragilità e alla volubilità delle emozioni.

La fede è l’uno e l’altro, personale e comunitaria, e ogni epoca ha i suoi vantaggi e i suoi rischi.

Oggi ci è chiesto di vivere la nostra fede attenti ai rischi dell’individualismo e dei venti passeggeri delle emozioni – che sono importantissime, ma non sono mai separate da tutto il resto della vita! – ma rafforzando la nostra scelta personale, partecipando attivamente alla fede di tutti.

Il Vangelo di Giovanni dice che «i discepoli per timore dei Giudei» si trovavano tutti insieme e si erano come ‘barricati’ nello stesso luogo, con le porte chiuse. Comprensibilmente avevano paura dei Giudei, che pochi giorni prima avevano ucciso Gesù. Avevano paura di fare la stessa fine.

Paura, blocco, isolamento, chiusura su di sé. Questa è una tentazione che, anche oggi, può colpire noi cristiani.

Ci possiamo sentire come isolati in un mondo non più cristiano, indifferente e, a volte, ostile.

La tentazione, allora, è quella di opporci a questo mondo, di chiuderci in noi stessi, facendo le nostre cose, ma senz’anima, rinunciando ad essere testimoni di Gesù, per tutti. Il Vangelo racconta di come Gesù ‘spezzi’ questo circolo chiuso, che diventa vizioso.

Compare all’improvviso, senza preavviso, senza che lo sentano o lo vedano arrivare: «venne Gesù, stette in mezzo e disse…». È forte quel «venne» e quello «stette». Gesù sta, stabilmente, rimane «in mezzo» ai discepoli.

È la Presenza del Risorto!

Le sue prime parole, secondo tutti gli evangelisti, sono: «Pace a voi!». In questo Vangelo sono ripetute per ben tre volte! E sono accompagnate dal dono dello Spirito Santo, che è fonte di pace e di gioia. È Lui, il ‘soffio’ e il respiro del Risorto, che ci fa partecipi di quella pienezza di vita che è la pace del Risorto!

Questa pace è perdono, un perdono che nella Chiesa viene donato a tutti coloro che lo accolgono. È perdono delle colpe, è liberazione dal male compiuto e dal ricordo che ci schiaccia, ci opprime, ci angustia!

Questo è un grande dono, nella Chiesa: il perdono è donato nel Battesimo, a chi vuole, e ai cristiani già battezzati nel Sacramento della Riconciliazione.

Il Vangelo di Giovanni sottolinea come «i discepoli gioirono al vedere il Signore».

Vedete come è bello! Questa è la Pasqua – il passaggio – dei discepoli, il movimento dalla paura alla gioia.

La ‘fonte’ di questa gioia è la Presenza del Risorto tra loro. Questo dovrebbe avvenire anche oggi. Nelle nostre celebrazioni dovrebbe essere ‘palpabile’ la gioia di ritrovarsi, facendo memoria del Risorto, che è tra noi.

Il Vangelo di oggi, poi, racconta in modo diffuso, di Tommaso, uno dei Dodici.

Non era con gli altri, quando era venuto Gesù.

Tommaso non crede a quello che gli altri gli dicono. Vuole vedere lui, mettere il suo dito, mettere la sua mano.

E quando Gesù, otto giorni dopo, sempre nel primo giorno dopo il sabato, quel giorno che noi chiamiamo domenica appunto facendo memoria del Signore (in latino Dominus), Gesù si rivolge direttamente, subito, proprio a Tommaso.

Gesù, ormai, sa tutto, vede tutto e ci ama. Invita, dunque, Tommaso a mettere il dito e a tendere la mano sulle sue mani, le sue ferite, il suo fianco, con il segno dello squarcio della lancia.

Tommaso, che ha visto e ascoltato, rimane come folgorato e pronuncia una bellissima e sintetica formula di fede: «Mio Signore e mio Dio!».

È una formula meravigliosa, facile da ricordare e ripetere.

Ha accolto l’invito di Gesù a «non essere incredulo, ma credente!».

Sulla base della sua testimonianza, e di tutta la Chiesa, Gesù annuncia che saranno beati o meglio saremo beati tutti noi che crediamo, pur senza aver visto.

Ci doni il Signore di camminare in questa fede!

don Maurizio



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