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Scegliere a chi vogliamo affidare la vita

In questa ultima domenica, prima dell’inizio della Quaresima, questa parola del Signore è un invito molto forte e toccante all’abbandono fiducioso in Lui.


La prima lettura, dal profeta Isaia, parte da un lamento, probabilmente ripetuto e sulle labbra di tutti, nel tempo difficile dell’esilio: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato».

Pensiamo quante volte anche a noi è capitato di dire così o, forse più facilmente, di sentire così! Sono i momenti più difficili della vita, in cui ci sembra di essere proprio abbandonati da lui. Ci sentiamo indifesi, feriti, senza protezione e senza sicurezze, quasi in balia degli eventi o delle persone o della natura.

In questi tempi della vita ci viene spontaneo domandarci: “ma il Signore dov’è? Si è dimenticato di me, di noi?”.

A questa domanda, che è la domanda più forte dei credenti di ogni tempo, specialmente nei momenti di prova, a questo interrogativo il profeta risponde con una nuova domanda, cui segue un annuncio: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?».

È una domanda retorica, non perché sia inutile, ma perché ci mette davanti agli occhi, con grande forza, un’evidenza della vita: una donna non può dimenticarsi del suo bambino! È più facile che (si) dimentichi (di) se stessa, piuttosto che di suo figlio!

Tutti lo sappiamo che è così: lo abbiamo sperimentato noi stessi!

Nelle parole del profeta c’è quasi un gioco di parole: perché ‘commuoversi’ nella lingua ebraica si dice con un verbo che fa riferimento al muoversi delle viscere della donna e poi subito dopo si ripete qui «il figlio delle sue viscere». Una donna non può non commuoversi nelle viscere per il figlio delle sue viscere!

Il legame che si è intessuto tra madre e figlio, anche quando è rotto con il taglio del cordone ombelicale, rimane, al di là della pur necessaria separazione.

È un legame indissolubile!

Eppure il profeta, parlando a nome del Signore, dice: ebbene, «anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai».

C’è qui un ragionamento per assurdo: anche se una donna si dovesse dimenticare del figlio delle sue viscere, cosa assurda, cosa che non dovrebbe accadere, anche se purtroppo qualche volta accade, ebbene “a me che sono il tuo Dio, non può accadere”.

Dio ci ama con un amore che è ancora più grande di quello materno, e paterno. Dio è per noi più che padre, più che madre.

Questo è l’annuncio del profeta.

Naturalmente, ci sono dei momenti della vita in cui questo ci appare chiaro. Sono i momenti più belli, quelli nei quali comprendiamo e facciamo l’esperienza di essere custoditi, accolti, accompagnati e protetti da una Presenza che veglia e vigila su di noi.

Ma ci sono altri momenti della vita, e sono probabilmente i più frequenti, nei quali la Presenza e lo sguardo di Dio che ci accompagna e ci protegge sembra svanire completamente. Non sentiamo nessuna protezione, Dio sembra abbandonarci.

Gesù stesso, nella sua passione, sulla croce, ha provato questo sentimento. È umano, profondamente umano.

Sono momenti tremendi.

Proprio perché crediamo che Dio si prende cura di noi, proprio perché abbiamo fede, questi momenti di prova sono ancor più difficili.

Quindi non è la mancanza di fede che ci fa gridare a Dio il suo abbandono, ma è proprio la fede che ci fa chiedere: “dove sei? Sei scomparso?”.

Se non avessimo la fede, se non ci aspettassimo che Dio si prende cura di noi, non ci sentiremmo abbandonati.

La paura e il sentimento dell’abbandono di Dio nascono proprio ‘dentro’ l’esperienza della fede.

A questa grande domanda Gesù risponde, a modo suo, nel Vangelo di questa domenica. Lui pone, da subito, una alternativa netta: scegli a chi vuoi affidare la tua vita, scegli il ‘padrone’ a cui vuoi servire.

L’alternativa è chiara se va alla radice: la ricchezza o Dio!

Ci può sorprendere questo.

Ma dobbiamo comprendere bene le parole di Gesù.

Non c’è nessuna ingenuità o nessun ‘idealismo’ pauperistico in queste sue parole. Non c’è nessun romanticismo. Anzi, al contrario, c’è un profondo realismo.

La tentazione di ognuno di noi, di tutti, è di pensare che la ricchezza risolva tutti i problemi. Con il denaro, infatti, posso curarmi, avere e godere di tutte le comodità, affrontare tutte le avversità, divertirmi e procurarmi tutto ciò che desidero.

Ma sappiamo tutti che, dietro a questo sguardo superficiale, c’è un auto-inganno: la ricchezza è un dio che non ci può salvare! Basterebbe pensare alla morte …

Le parole di Gesù insistono però in modo netto, sul rapporto con Dio. È Lui che dobbiamo ‘cercare’.

È a Lui che anela il nostro desiderio.

È solo Lui che potrà compiere ogni nostra aspirazione.

Gesù dice: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». «Queste cose» sono le cose di cui abbiamo bisogno, qui rappresentate sinteticamente nel cibo e nel vestito.

Gesù ci invita ad andare all’essenziale, a ciò che conta davvero: la ricerca, mai esaurita, di un Dio che regna sovrano, attraverso il suo amore, la sua provvidenza, la sua cura, più che materna e paterna sulla nostra vita.

Se noi ‘cerchiamo’ Dio, abbiamo la fede, che non è semplicemente un possesso, raggiunto una volta per sempre, ma è una ricerca continua, una tensione mai compiuta.

In questo affidamento a Lui, allora, i nostri occhi diventano capaci di vedere quello che, senza la fede, non riusciamo a vedere. Vediamo, e sentiamo, che nelle cose si nasconde la sua tenerezza, la sua cura, il suo amore per noi.

Allora, invece che cadere nella preoccupazione di chi ha paura di non avere mai abbastanza per garantirsi da solo la vita, all’improvviso ci accorgiamo che quello che abbiamo ci ‘basta’.

Allora impariamo a gustare quello che ci è dato, impariamo a essere ‘contenti’ delle nostre cose.

Allora impariamo a vivere la ‘pena’, cioè il dolore, la fatica, le asprezze di ogni giorno senza la paura di essere travolti, ma con la lucida certezza che ci basta affrontare queste fatiche una per volta, giorno per giorno, passo dopo passo.

Gesù non ci invita affatto ad un quietismo romanticheggiante. Certo, ci dice di guardare «gli uccelli del cielo» e «i gigli del campo» che hanno cibo e vestiti. Nemmeno Salomone, il grande re di Gerusalemme, poteva competere, nella sua gloria, con la bellezza di un giglio, un semplice fiore.

Ma queste due parole di Gesù, riferite agli «uccelli del cielo» e ai «gigli del campo», indicano il lavoro dell’uomo e della donna: la semina, la mietitura, la raccolta nei granai, e poi la fatica della filatura, per procurarsi il necessario vestito.

Dunque, Gesù non ci chiede di non lavorare e di aspettare che le cose piovano dal cielo come per gli uccelli e i fiori.

Al contrario, ci chiede di operare in modo attivo. Ci chiede di darci da fare affidando a Lui le nostre opere, e riconoscendo che tutto ci viene da Lui.

È un agire fiducioso. E’ un abbandono attivo.

È un agire nel quale noi rispondiamo ai suoi doni e, con gratitudine, impariamo a gustarli e a goderne senza preoccupazione, con gioia e semplicità!



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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