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XXVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

PRIMA LETTURA Dal libro della Gènesi
Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda».
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse.
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
Allora l’uomo disse:
«Questa volta
è osso dalle mie ossa,
carne dalla mia carne.
La si chiamerà donna,
perché dall’uomo è stata tolta».
Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.


SECONDA LETTURA Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza.
Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.

VANGELO Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro. 

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Tutti sappiamo che oggi, 4 ottobre 2015, il Papa Francesco ha convocato, a Roma, il Sinodo Ordinario sulla famiglia. Molti vescovi, cardinali, laici, coppie, teologi, ‘convengono’ oggi a Roma, da Pietro, per ripensare il modo in cui noi cristiani oggi possiamo vivere e testimoniare la bellezza e la grazia, insieme alle fatiche e alle sfide, del sacramento del Matrimonio.

Tra il Sinodo straordinario dello scorso anno e quello ordinario di quest’anno ci sono state tante occasioni di riflessione, di confronto, di dialogo e anche di polemiche nella Chiesa.
Non è un caso, ma è un dono di Dio e una singolare coincidenza che, proprio oggi, XXVII domenica del tempo ordinario, ci sia stata proclamata questa Parola di Dio: due splendidi passi del Vangelo e della Genesi.
Il lavoro dei Padri sinodali, in queste tre settimane, dovrà partire proprio da questa Parola come criterio di riferimento per tutte le scelte pastorali e per tutte le discussioni che le accompagneranno, le precederanno e le seguiranno. E noi dovremo fare come loro. La testimonianza della Chiesa oggi, come sempre, deve sempre partire e ritornare alla Parola della Rivelazione.
E’ in questo tesoro che dobbiamo attingere, se vogliamo essere davvero cristiani, fedeli discepoli di Gesù Signore, lui che, come dice la lettera agli Ebrei, nella seconda lettura di oggi, è «il capo che guida alla salvezza» tutti noi ed è insieme un fratello – dice ancora la lettera agli Ebrei «colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli».

Allora, mettiamoci in ascolto profondo del Vangelo di Marco.
Non è possibile qui, in pochi minuti, riprenderlo in tutta la sua straordinaria ricchezza e bellezza. E allora mi limiterò a sottolineare qualche pennellata e qualche tratto per aiutarci a guardare questo splendido disegno.
L’occasione per le parole di Gesù nasce da una domanda provocatoria dei farisei, grandi conoscitori della Legge, che discutevano tra loro – dividendosi in fazioni opposte – su un famoso passo dell’Antico Testamento, dal libro del Deuteronomio, in cui veniva permesso il divorzio.
Gesù dunque rimanda i suoi interlocutori a questo passo: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?».
I farisei, che lo interrogano, vogliono ‘metterlo alla prova’ e cioè vogliono vedere da che parte si schiera Gesù: dalla parte di chi permetteva il divorzio per qualunque ragione, anche per una minestra bruciata, o dalla parte di coloro che lo ammettevano solo in casi gravi, e cioè per l’adulterio. E questo lo poteva fare solo l’uomo, non la donna … non c’era affatto parità: un uomo poteva ripudiare, rimandare la moglie, ma una donna no!

Gesù non entra in queste diatriba.
Rimanda i suoi uditori all’inizio della creazione, al bellissimo passo che noi oggi abbiamo ascoltato e anche ad un altro passo, sempre della Genesi, che noi oggi non abbiamo letto e che viene poco prima.
Prima di questa doppia citazione dell’Antico Testamento, Gesù dice che Mosè ha scritto la norma del ripudio «per la durezza del vostro cuore» e cioè a motivo del peccato, che appunto ci rende duri, ostinati, sordi alla Parola che Dio ci rivolge.

Il passo della Genesi è una parte del secondo racconto di creazione che c’è nella Sacra Scrittura. E’ un testo bellissimo, che Gesù riprende, non a caso!
Noi non conosciamo l’autore che lo ha scritto, anche se sappiamo che è un testo molto antico, forse circa mille anni prima di Cristo. Sappiamo bene però che chi l’ha scritto non era presente al momento della creazione e tantomeno poteva essere presente quando Dio creò l’uomo e la donna.
Allora perché questo autore ha raccontato quello che non ha visto?
La risposta è molto semplice: raccontando l’origine, la nostra origine, questo testo ci dice chi siamo noi oggi, chi è l’uomo, che cosa ci appartiene nella nostra identità più profonda, strutturale, chi siamo noi al di là delle differenze di razza, di etnia, di costumi, di popoli.

Bene, il primo versetto che abbiamo letto ci dice che ‘adàm, questo uomo che il Signore Dio aveva plasmato con la polvere della terra, che in ebraico si dice adamà (‘adàm viene dunque da adamà), questo ‘adàm che si trovava in uno splendido e meraviglioso giardino, era però infelice, perché era solo.
Con sguardo benevolo, quasi tra sé e sé, senza nemmeno rivolgersi a quest’uomo, Dio dice: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Questo è profondamente vero: l’uomo, nessuno di noi, è fatto per restare ‘solo’. La solitudine sarebbe la morte.
Un bambino, piccolo piccolo, se lo lasciate solo, muore. Magari sopravvive, se qualcuno si prende cura di lui (un animale, per esempio, dandogli da mangiare!), ma non imparerebbe a parlare, a camminare eretto, a usare le mani per lavorare, non avrebbe nessuno a cui sorridere, non avrebbe nessuno con cui piangere, non avrebbe nemmeno nessuno con cui discutere, magari litigare …
Sarebbe una cosa non solo noiosa, ma anche terribile!

Ecco, questo dice l’autore sacro: «Non è bene che l’uomo sia solo».
E poi annuncia la splendida intenzione di Dio: «voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Sono parole bellissime.
Una volta si traduceva: ‘un aiuto che gli sia simile’, ma questo non rendeva il testo originario. «Un aiuto che gli corrisponda» significa: un aiuto che gli stia davanti, lo guardi negli occhi e sia guardato da lui, che gli possa parlare e lo possa ascoltare.

Poi l’autore sacro sottolinea – quasi divertito – che tra tutti gli animali della terra, che sono anch’essi esseri viventi, come noi, non ce n’era nessuno che potesse essere «un aiuto che gli» corrispondesse. Gli animali ci possono essere di grande compagnia, ci possono aiutare nel nostro lavoro, ma non sono capaci con noi di vera reciprocità. Non parlano!

Allora l’autore sacro parla del sonno di ‘adàm.
Questo sonno dice che sta accadendo qualcosa di immensamente grande, di cui ‘adàm non può essere spettatore, proprio come nessuno di noi può essere spettatore della sua nascita. Noi non possiamo vedere Dio mentre ci crea. Assistiamo solo al ‘frutto’, alla sua opera compiuta …
E allora, mentre ‘adàm dorme – e dunque nessuno di noi può sapere il ‘come’ – prende carne e ossa (quello che in modo approssimativo diciamo ‘costola’, fianco), con questo plasma una donna e la conduce all’uomo.
Qui l’autore sacro fa parlare l’‘adàm per la prima volta. Sono parole in rima, come una poesia che nasce dallo stupore grato. Finalmente come un innamorato, ‘adàm dice: “questa volta sì. E’ lei che avrei desiderato, ma non potevo ‘farla’ io”.
E chiama, per la prima volta, questo «un aiuto che gli corrisponde» issha, mentre chiama sé ish.
Incontrando l’altra, ‘adàm si riscopre una nuova persona.
Con lei, e per lei, la donna – e questo vale, reciprocamente anche per la donna – lascia il padre e la madre, e inizia un cammino, una storia, per diventare «un’unica carne».
In questo rapporto di comunione, ma non di fusione, Dio stesso è all’opera; «l’uomo non divida – non spezzi, non frantumi – quello che Dio ha compiuto».

Questo è il sacramento: un dono di grazia, l’uno/a con l’altra/o, l’una/o con l’altro/a!
In questo dono – che diventa per la libertà dei due un compito e un impegno, a volte difficile e perfino gravoso – c’è la figura bellissima dell’amore di Gesù per la sua Chiesa.



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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