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XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

PRIMA LETTURA Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni , vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».


SECONDA LETTURA Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

VANGELO Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
 
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In questa domenica noi celebriamo la solennità di tutti i santi.
La Parola di Dio che ci introduce a questa ‘memoria’ è molto ricca.

Tutte e tre le letture sono pervase da una forte tensione e apertura verso il futuro, sempre in rapporto con il nostro presente. Perché questo è la santità: non è un destino che riguarda solo il nostro futuro, ma è un ‘dono’ che tocca anche il nostro presente!
Il rischio è che noi pensiamo ai santi in modo disincarnato, come se la ‘santità’ riguardasse solo il ‘cielo’ e come se toccasse solo qualche privilegiato, particolarmente fortunato e prediletto da Dio. Non è così.
La santità è un ‘destino’ che riguarda tutti i credenti e non è un ‘compito’ o una ‘missione’ impossibile, davanti alla quale ci possiamo scoraggiare, perché troppo al di sopra delle nostre forze!

L’Apocalisse parla di questi «centoquarantaquattromila segnati» sulla fronte con il «sigillo».
C’è un gioco di numeri, chiaramente simbolico, dentro questa cifra. Non significa certo che i ‘santi’ siano solo «centoquarantaquattromila» e che, una volta esaurito questo numero, non ci sia più posto per chi arriva dopo. Sarebbe una cosa ridicola.
«Centoquarantaquattro mila» si ottiene moltiplicando dodici per dodici per mille, come a dire che questa è la Chiesa, il nuovo Israele, che comprendo l’antico, con le sue tribù, ma è aperto a tutti gli uomini, perché fondato sulla testimonianza dei dodici apostoli.
Ognuno di questi «centoquarantaquattromila», sulla fronte, ha impresso, per sempre, il «sigillo», il marchio indelebile di Dio. «Sigillo» in greco si dice ‘caractér’: per questo noi diciamo che nel Battesimo riceviamo in dono il ‘carattere’, cioè «il sigillo del Dio vivente», il segno indelebile della nostra appartenenza a lui!
E’ il «sigillo» della sua alleanza con noi, il «sigillo» di un amore che nulla potrà spezzare.

Poi però l’Apocalisse parla, subito dopo, di «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare». Vedete, è chiaro che i «centoquarantaquattromila» non sono un numero chiuso o limitato. I ‘salvati’ – cioè i santi – sono tutti coloro che si lasciano salvare da Gesù.
Infatti, proprio al termine della prima lettura, alla domanda di Giovanni, uno degli anziani che sta dinanzi al trono di Dio e all’Agnello, dice che questa immensa moltitudine è composta da tutti coloro «che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
E’ un bellissimo paradosso. Il sangue, di solito, ‘sporca’ di rosso qualunque panno con cui venga a contatto. E invece qui le vesti di ognuno diventano candide, lavandosi col sangue dell’Agnello.
Anche questa è un’immagine simbolica.
Il sangue dell’Agnello è una figura della croce, sulla quale è per amore che Gesù ha donato la sua vita. Lavare le proprie vesti nel sangue della croce significa allora lasciarsi trasformare dalla grazia di questo amore che ci salva e ci riscatta dal nostro male.
Le nostre vesti, infatti, si infangano, si sporcano. E’ un’immagine per dire il male, la violenza, la menzogna, le infedeltà che tutti abbiamo compiuto nella nostra vita. E’ l’amore di Gesù che ci rinnova e ci salva.
Per questo noi siamo più che vincitori, grazie a Gesù – infatti gli uomini e le donne che compongono questa immensa moltitudine hanno in mano le palme della vittoria. Si sono lasciati amare come ‘figli’, da Dio.

La seconda lettura sintetizza così la santità. I santi sono coloro che, nella loro vita, hanno vissuto come ‘figli di Dio’, lasciandosi amare dal suo amore di Padre, lasciandosi generare da lui.
E’ l’amore che salva il mondo, perché solo l’amore è in grado di spezzare la nostra rigidità, le nostre chiusure.
Che cos’è che fa crescere un bambino come un figlio, se non l’amore, la tenerezza, la cura, l’affetto dei suoi genitori?
Giovanni dice «noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato». Questa parola ci apre ad una bellissima speranza. L’amore con cui noi credenti sappiamo di essere amati dal Signore, un giorno, sarà così pieno e sovrabbondante che noi non possiamo nemmeno immaginarlo.
La gioia e la gratitudine di essere figli sarà immensa e sovrabbondante, «perché lo vedremo così come egli è». Potremo gustare l’amore, la tenerezza, il perdono di Dio ‘senza veli’, senza barriere, senza ostacoli, impedimenti, senza egoismi e meschinità.
In una parola saremo beati.

Arriviamo così, alla formidabile pagina del Vangelo, che riporta una delle parole più famose di Gesù. Per nove volte, nella redazione di Matteo, risuona ‘beati’.
E questo è molto bello.
La parola del Vangelo di Gesù è una promessa di beatitudine, di felicità, di pienezza, di compimento.
Tutti noi, tutti gli uomini, hanno un profondo desiderio di felicità, anche se molti sono profondamente delusi e pensano che, in fondo, questa felicità sia solo un’illusione, smentita dalle fatiche, dal dolore, da tutto ciò che, in questa vita, sembra rubarci la felicità e la gioia.
Non lasciamoci rubare la felicità!
Non lasciamo che le fatiche, le delusioni, le difficoltà spengano il nostro desiderio di gioia, di pienezza, di compimento.

Ma chi è davvero in grado di non deluderci? Chi ci può insegnare la via della felicità e della beatitudine? Quanti maestri, nella storia e anche oggi, pretendono di insegnarci il cammino della felicità?
E’ proprio qui che ci incontriamo con Gesù. Lui non è solo un maestro. Se fosse così sarebbe solo uno dei tanti saggi che hanno segnato la storia e il cammino dell’umanità.
Pur essendo uno dei tanti uomini, Gesù non è uno dei tanti … E’ uno, unico!
Le sue parole ci dicono la promessa di Dio, ma questa promessa non è solo questione di parole. La presenza di Gesù è l’amore, la prossimità di un Dio che cammina sulle nostre strade, come compagno di viaggio, per sorreggere la nostra speranza.
Il ‘cuore’ delle beatitudini, il ‘segreto’ della felicità che Gesù ci dona e ci promette è l’affidamento a Dio e quindi a lui stesso.

Il povero è colui che non mette la sua speranza nel denaro, ma si affida a Dio come un mendicante che tutto si attende da lui e quindi è disponibile a condividere con altri le sue ricchezze, i doni che ha ricevuto.
Chi vive così è beato.
Ed è beato chi, pur piangendo, sa di essere consolato da una grazia smisurata, è la grazia dell’amore.
Ed è beato chi non è un prepotente, un arrogante, uno che si fa giustizia da solo, uno che attende in dono tutto da Dio e così agisce con mitezza.
Ed è beato chi si lascia saziare non dalla propria pretesa di essere giusto dinanzi a Dio, ma dalla fede in lui che solo ci salva.
Ed è beato chi è misericordioso, perché sa di aver ricevuto misericordia.
Ed è beato chi opera la pace, perché vive come un figlio, non come uno schiavo, un ladro, un violento, un approfittatore.
Ed è beato chi si lascia perfino perseguitare in nome di tutto ciò, chi è disposto ad accettare «ogni sorta di male» su di sé, per causa di Gesù e del Vangelo.

E’ la grazia che salva.
Questa è la beatitudine del nostro cammino, che attende con fiducia l compimento di una speranza che solo Dio potrà colmare!

don Maurizio



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